Orientarsi tra movimenti, termini e artisti può risultare complicato, soprattutto quando ci si confronta con periodi molto lontani da noi. È quello che succede anche con l’arte moderna. A complicare un po’ le cose c’è anche il fatto che, contrariamente a quanto si potrebbe immaginare, l’arte moderna non coincide con l’epoca comunemente definita moderna e contemporanea (che inizia dalla fine dell’Ottocento), ma copre il lasso di tempo che va dalla seconda metà del Quattrocento circa in avanti.
Ed è di questo periodo che ci occupiamo nella nostra breve guida agli stili dell’arte moderna, concentrandoci in particolare sull’Italia.
I precedenti: lo stile gotico e tardo gotico
Per comprendere cosa succede nel periodo che abbiamo circoscritto è necessario fare un passo indietro di qualche anno. Prima del Rinascimento – ma in realtà anche durante, poiché la storia è sempre fluida – l’Occidente europeo è accomunato da uno stile noto come Gotico (dal XII secolo) e poi Tardo Gotico o Gotico internazionale (dal 1300 alla prima metà del Quattrocento, circa). Il movimento, nato in Francia, si diffonde anche negli altri Paesi, con diverse declinazioni. Le opere di architettura sono la prima dimostrazione di questo nuovo gusto: chiese e cattedrali d’Oltralpe svettano verso l’alto, con strutture maestose alleggerite da ampie vetrate colorate. In Italia invece si conserva ancora qualche retaggio dello stile Romanico, con edifici meno slanciati, decorati soprattutto con marmi bianchi rossi e verdi: esempio mirabile sono il Campanile di Giotto (1267 ca.-1337) e la struttura della Cattedrale di Santa Maria del Fiore, entrambi in piazza del Duomo a Firenze.
Pittori e scultori si concentrano principalmente su temi religiosi, condizionati anche dalle vicende del loro tempo, come la terribile peste nera della metà del Trecento. Tavole a fondo oro con soggetti biblici, come l’Annunciazione di Simone Martini (1333) agli Uffizi, o impreziosite da decorazioni sempre più minuziose, figure aggraziate e delicate, come nell’Adorazione dei Magi (1423) di Gentile da Fabriano anche questa agli Uffizi, sono tra le opere principali di questo lungo periodo. Le statue gotiche, allineate ai lati dei portali, sono spesso caratterizzate dalla disposizione a S del corpo, da espressioni serene e volti che sembrano quasi prodotti in serie.
Un approccio nuovo arriverà con Giotto, che introduce in pittura un evidente naturalismo espressivo e la ricerca di una disposizione spaziale più realistica e concreta. Lo stesso farà Lorenzo Ghiberti, scultore e architetto, attivo tra il Gotico e il Rinascimento. Di questa nuova epoca sarà invece protagonista assoluto un suo acerrimo rivale: Filippo Brunelleschi.
Il Rinascimento: l’età del rinnovamento
Rinascimento significa rinascita, rinnovamento, rivoluzione: e di questo si trattò. Una rivoluzione che ebbe origine a Firenze, città mercantile prospera e animata dagli intelletti più vivaci dell’epoca, impegnati nella riscoperta e valorizzazione di opere e testi della classicità. Filippo Brunelleschi fu tra i primi uomini del Rinascimento. Ispirandosi alle rovine e ai palazzi dell’antica Roma, ne trasse una nuova maniera di costruire e ornare gli edifici, come dimostrano ancora oggi l’Istituto degli Innocenti in Piazza Santissima Annunziata (1419-1445) o la fenomenale cupola del Duomo di Firenze (1420-1436).
Pare che si debba a lui anche l’invenzione della prospettiva lineare, applicata per la prima volta da Masaccio nell’affresco della Trinità di Santa Maria Novella. Ciò che colpì gli spettatori che la videro per la prima volta – abituati com’erano alle rappresentazioni eleganti ma statiche tipiche del Gotico – fu l’illusione ottica data dallo spazio alle spalle del Cristo. Uno sfondo non più piatto ma realistico, con una volta a botte scorciata che sembra estendersi in profondità dietro al gruppo. Una rivoluzione pittorica che ebbe enorme fortuna. A questo Masaccio aggiunge anche una nuova fisicità delle figure: non più leggiadre e uniformi, ma piene e massicce, con il gesto della Vergine che indica il Figlio a confermarne la verosimiglianza.
In scultura, fu invece Donatello a rompere per primo gli schemi della tradizione precedente. Il suo San Giorgio (del 1415-1416 ca., inizialmente destinato a una delle nicchie esterne della chiesa di Orsanmichele e oggi al Museo del Bargello a Firenze) ne è la prova. Il Santo viene infatti rappresentato come un cavaliere risoluto, con il corpo ben piantato al terreno ma teso mentre scruta l’orizzonte: una novità rispetto alla raffinatezza inespressiva del Medioevo.
Il Secondo Rinascimento e il Cinquecento
Le innovazioni dei Maestri del Primo Rinascimento furono accolte e portate avanti da molti artisti in tutta la penisola e non solo. Per citarne alcuni, l’esercizio della nuova tecnica prospettica, a volte estremizzata, si può notare nelle opere di Paolo Uccello, Piero della Francesca e Andrea Mantegna. Mentre la ricerca di un equilibrio tra naturalismo e bellezza è evidente in quelle di Antonio Pollaiolo e, soprattutto, di Sandro Botticelli. La sua Primavera, così come la Venere, dimostrano felicemente la precisa volontà di conciliare le conquiste rinascimentali con nuove esigenze di armonia compositiva e con un fitto contenuto simbolico e allegorico.
Ma è con Leonardo Da Vinci, Michelangelo Buonarroti e Raffaello Sanzio che l’evoluzione iniziata alla fine del XIV secolo si compie, raggiungendo apici incredibili. “Nulla c’era in natura che non destasse la sua curiosità e non sollecitasse il suo ingegno”: scrive così E.H.Gombrich di Leonardo, artista geniale, musicista abilissimo e ingegnere ante litteram. Di lui ci sono rimaste solo poche opere, perlopiù incomplete (come l’Adorazione dei Magi degli Uffizi), ma tutte confermano la sua grande capacità di rendere i suoi soggetti vivi, gli sguardi penetranti, i gesti credibili e le emozioni vere. Lo sfumato è una delle sue grandi invenzioni, tuttora usata in pittura, e ha contribuito alla sua fama imperitura.
Di ventitré anni più giovane, ma di oltre quaranta più longevo, Michelangelo Buonarroti segna altrettanto sensibilmente l’arte del Cinquecento, eccellendo in tutte le arti: architettura, pittura e scultura. Il corpo umano e le sue pose, comprese quelle più ardite, saranno l’oggetto principale della sua indagine con esiti magistrali e potenti, che ancora oggi stupiscono. Plasticità e possenza sono i tratti distintivi di una produzione instancabile e sempre prodiga di nuove invenzioni e soluzioni: si vedano, ad esempio, gli affreschi della volta della Cappella Sistina a Roma, il David alla Galleria dell’Accademia, a Firenze, la Pietà Rondanini al Castello Sforzesco di Milano.
Dai tratti più delicati, ma non per questo meno potenti, l’opera di Raffaello è una sintesi perfetta di bellezza formale e vividezza naturale: una caratteristica che gli valse commesse rinomate a Firenze e a Roma. Un compito non facile, dato che il giovane Urbinate dovette misurarsi con contemporanei eccellenti.
Nello stesso periodo in cui si muovono Leonardo, Michelangelo e Raffaello, un altro pittore si afferma sulla scena italiana e internazionale in virtù di uno stile che oggi riconosciamo come prettamente settentrionale, anzi veneto: Tiziano Vecellio. Erede degli insegnamenti di Giorgione, Tiziano sovverte il primato del disegno – tipico della scuola fiorentina – per dare spazio al colore: è con il colore che il pittore cadorino rende luce, atmosfera e incarnato. Famosi e richiestissimi saranno infatti i suoi ritratti.
Sei interessato ad articoli come questo?
Iscriviti alla newsletter per ricevere aggiornamenti e approfondimenti di BeCulture!
Il Manierismo e il difficile confronto con i grandi Maestri
Dopo Leonardo, Michelangelo, Raffaello e Tiziano, cosa può fare di più un artista? Quali altri traguardi della forma e della composizione ci sono da raggiungere? È quello che probabilmente si domandarono gli allievi e i successori dei grandi Maestri rinascimentali. Molti di loro risolsero la questione imitando ed esasperando le loro intuizioni, ad esempio riproducendo i contorcimenti del Buonarroti in figure sempre più sinuose (la famosa figura serpentinata) o vigorose, quasi al limite del ridicolo. Una tendenza che la critica Settecentesca ha etichettato con il nome dispregiativo di Maniera, ovvero di pittura fatta “alla maniera di” qualcun altro senza però gli stessi risultati.
Tuttavia, quello che allora era considerato un periodo di scarsa inventiva, è stato presto rivalutato grazie a opere poi riconosciute come di altissimo livello e che anticipano un altro importante periodo: il Barocco. Sculture come quelle di Benvenuto Cellini o di Giambologna dimostrano quanto gli artisti della seconda metà del Cinquecento fossero mossi dal preciso intento di realizzare opere nuove e suggestive, che esprimessero la loro personalità e le loro doti fuori dal comune.
Tra i pionieri del manierismo pittorico fiorentino non possiamo non citare Jacopo Carducci detto Pontormo che, dagli anni Venti del Cinquecento, si dedica allo studio delle anatomie michelangiolesche, imitando e persino tentando di superare il grande Maestro. Il suo I diecimila martiri. San Maurizio e il massacro della legione tebana (1528-1530), oggi alla Galleria Palatina di Palazzo Pitti, si inscrive in questo percorso verso nuovi modi di raffigurare il corpo umano e la sua disposizione nello spazio del dipinto.
Sovvertire l’ordine dato, anche contraddicendo esplicitamente le conquiste sulla forma e la composizione dei predecessori, era anche alla base degli affreschi di Giulio Romano e dei dipinti del Parmigianino. La sua Madonna dal collo lungo (1534-1540), oggi agli Uffizi, esemplifica questa tensione verso effetti nuovi, innaturali, anticonvenzionali e, proprio per questo, degni di ammirazione. Rompere con il vicinissimo passato era un gesto coraggioso che si tradusse in opere spesso molto complesse da decifrare, ricche di citazioni colte ed enigmi; oppure buffe e grottesche, come il Nano Morgante del Bronzino.
Il Barocco: il ruolo da protagonista della Chiesa cattolica di Roma
Anche il termine Barocco venne usato per la prima volta alla fine del XVIII secolo per descrivere, ancora una volta in senso denigratorio, lo stile che caratterizzò Seicento e Settecento. La Chiesa fu determinante per la diffusione del Barocco che venne utilizzato come strumento di propaganda contro le dilaganti forme di protestantesimo ed eresia. Una propaganda che si esprime in opere maestose e riccamente decorate, che fanno un uso sapiente di luce e spazio, anche ricorrendo a illusioni prospettiche e grande teatralità. Tutto, all’interno degli edifici ecclesiastici, deve stupire i fedeli, persuadendoli della potenza della Chiesa non per effetto di un singolo particolare ma della visione d’insieme.
Michelangelo Merisi, detto Caravaggio, è uno degli esponenti più noti di questo nuovo stile e i suoi dipinti, tutti giocati sul contrasto tra luce e ombra, sono l’espressione massima del sentire di questo tempo: un’emotività manifesta, a volte giudicata persino eccessiva o sconveniente dai suoi stessi contemporanei.
Francesco Borromini e Gian Lorenzo Bernini furono entrambi architetti e scultori barocchi, oltre che feroci antagonisti. Il secondo, in particolare, fu capace di cogliere lo spirito del Barocco in opere di grande impatto come l’Estasi di Santa Teresa (in Santa Maria della Vittoria, a Roma). Il rapimento mistico della Santa viene raffigurato con un’intensità magistrale e inedita, alla quale partecipano non solo l’espressione del volto ma l’intera composizione.
Ma come spesso succede nel corso dell’arte e della storia, ciò che viene negato da un’epoca torna in auge in quella successiva, recuperato da generazioni di artisti vogliosi di affermare una nuova visione del mondo.
Così, verso la fine del Settecento, il Barocco, in declino, cede il passo al Neoclassicismo che, segnato da un nuovo rigore formale e dalla rinnovata attenzione per le forme classiche, durerà fino alla prima metà del XIX secolo. Basta un’occhiata alle sculture di Antonio Canova, come la Venere Italica a Palazzo Pitti, per cogliere la differenza con le intenzioni di Bernini. Armonia, equilibrio e il richiamo esplicito alla scultura ellenistica permeano l’opera di Canova che appare infatti ordinata, composta, molto distante dall’esuberanza emotiva espressa dal Bernini.
Con questo si conclude il nostro percorso attraverso i principali stili e capolavori dell’arte moderna. Ora lasciamo a te, lettore, il gusto di esplorare le sale dei musei e le strade delle città d’arte alla ricerca delle prove di ciò che abbiamo visto insieme: buon viaggio!