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Adorazione dei Magi: un viaggio nella magnifica opera di Leonardo

Adorazione dei Magi: un viaggio nella magnifica opera di Leonardo

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Un destino comune lega tra loro le opere di Leonardo sopravvissute fino a noi: nessuna, pare, è stata portata a termine. Eclatante è il caso dell’Adorazione dei Magi, iniziata alla fine del Quattrocento e mai conclusa. Il suo essere non-finita non sminuisce affatto il fascino dell’opera né il genio dell’artista, che qui dà prova, ancora una volta, di una vivacità intellettuale senza pari. La tavola di grandi dimensioni (244 x 240 cm) occupa, sola, la parete centrale della sala di Leonardo della Galleria degli Uffizi, dove è conservata fin dal XVII secolo. Sottoposto di recente a un magistrale restauro, questo capolavoro ha molto da raccontarci.

Origine e storia dell’enigmatico dipinto

Nel luglio del 1481 Leonardo fu incaricato dai monaci di Sant’Agostino di realizzare una pala destinata all’altare maggiore del convento di San Donato a Scopeto. La chiesa si trovava su una piccola collina fuori Porta Romana a Firenze ma venne distrutta durante l’assedio del 1529 e oggi non esiste più. È probabile che Leonardo fosse stato raccomandato ai monaci dal padre, il potente notaio Piero di Vinci, che si spendeva spesso nella promozione del figlio illegittimo, anche se incline alla discontinuità.
Il contratto prevedeva che Leonardo lavorasse alla pala per 24 mesi, massimo 30, ma l’opera non giunse mai a destinazione
Dopo circa un anno dall’inizio, il noto pittore partì infatti per Milano, invitato alla corte di Ludovico il Moro, abbandonando il dipinto. A lungo e invano i chierici sperarono in una ripresa dell’attività. Fino a quando, quasi 10 anni dopo, decisero di affidare un’analoga commessa a Filippino Lippi, che completò la sua opera nel 1496. 

L’Adorazione dei Magi di Filippino Lippi – anch’essa conservata oggi agli Uffizi – fu finalmente collocata all’interno della chiesa. Il confronto tra le due rivela somiglianze compositive che non possono essere causali o attribuite solo al comune soggetto e committente. Con ogni probabilità, il Lippi ebbe modo di osservare la pala incompiuta di Leonardo, traendone ispirazione.Elemento evidente di similitudine è la disposizione a semicerchio dei soggetti rappresentati, con il gruppo della Vergine e il Bambino al centro.

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Adorazione dei Magi, Leonardo Da Vinci

Iconografia e interpretazioni dell’Adorazione dei Magi

Il dipinto si presenta a diversi stadi di compiutezza, con figure appena abbozzate e altre più definite, segni di ripensamenti e coperture. Il tema però è chiaro: l’Epifania, ovvero il momento in cui i Re Magi si recano a prestare omaggio al Salvatore. I tre sono riconoscibili – benché non identificabili con precisione – nelle figure inginocchiate in primo piano: due sul lato sinistro, uno più giovane e l’altro più maturo, e il terzo, anziano, a destra mentre porge un dono al Bambino. 
Alle spalle di Maria si intravede un uomo barbuto, con un oggetto in mano. La critica ha riconosciuto in questo personaggio San Giuseppe che riceve un dono, motivo ricorrente nella pittura fiorentina del periodo, come si può vedere, ad esempio, nell’omonimo affresco del Beato Angelico presso il convento fiorentino di San Marco. 
Attorno al gruppo centrale, in secondo piano, si accalca una folla di persone, mentre sullo sfondo si consuma una zuffa tra cavalieri. Sul lato opposto si intravede una costruzione con archi e scale con sopra alcune figure. Tutti elementi che gli studiosi hanno cercato di decifrare. 

Partendo da sinistra, l’uomo avvolto in un lungo mantello scuro con aria pensosa potrebbe essere Isaia. Nel suo libro, il profeta descrive infatti l’arrivo dei popoli da tutto il mondo per proclamare la gloria del Salvatore. Secondo la sua profezia, a guerre e distruzione sarebbe dunque seguita la pace, con la rinascita del tempio di Gerusalemme. Questa lettura spiegherebbe quindi anche ciò che vediamo dietro la scena principale: una battaglia campestre che si risolve con la ricostruzione del tempio di Salomone, al quale lavorano manovali e operai. Quella che, a un primo sguardo, potrebbe apparire come un’architettura in rovina, sarebbe dunque invece un palazzo in fase di restauro, simbolo di rinascita. A separare i due momenti, la palma del martirio. 

Le pagine di Isaia possono aiutare a comprendere anche la presenza dell’altro albero – probabilmente un alloro, simbolo di immortalità –  che svetta a partire dal nucleo centrale fino al margine superiore della tavola. Si tratterebbe dell’albero di Jesse, dal quale discende la genealogia della Vergine e del Bambino. Accanto al tronco, sulla destra, una figura ne tocca le radici e ne indica le chiome, alludendo alla rinascita del Messia. Ed è proprio qui che si concentra anche il punto focale delle linee prospettiche tracciate da Leonardo in fase preparatoria e non del tutto rimosse. 

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Adorazione dei Magi, Sandro Botticelli

Nella parte destra, altri tre personaggi sono oggetto di indagini e congetture. Nel cavaliere in piedi, contraltare del presunto Isaia, la critica vede un autoritratto di Leonardo trentenne, in linea con l’usanza coeva di rappresentarsi nei propri dipinti (si prenda ad esempio l’Adorazione dei Magi di Botticelli, sempre agli Uffizi).
L’uomo calvo in mezzo al gruppo di destra ricorda nelle fattezze scavate il San Girolamo raffigurato dall’artista nel 1481 e oggi alla Pinacoteca Vaticana.
Infine, durante il restauro, è stata rinvenuta un’iscrizione (non visibile a occhio nudo) al di sotto dell’uomo barbuto che si rivolge al Bambino coprendosi la fronte come a proteggersi da una forte luce, che lo identifica come Giovanni: forse Giovanni da Bologna, priore del convento di Scopeto.

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San Girolamo, Leonardo Da Vinci

Cosa ci ha rivelato il lungo restauro

Dal 2011 al 2017 la pala  è stata sottoposta a un meticoloso restauro realizzato dall’Opificio delle Pietre Dure di Firenze. Un intervento giudicato necessario per preservare la qualità del lavoro e l’integrità del suo supporto ligneo. Molte le scoperte emerse durante la pulitura dell’opera. La più rilevante è che Leonardo disegnò tutto a mano libera, senza l’ausilio di cartoni preparatori, come invece era solito fare. Lo confermano le numerose modifiche e correzioni alla disposizione e ai movimenti di alcuni personaggi, visibili ad esempio nell’area scura di destra. Segno che l’artista stava ancora immaginando la composizione finale e cambiava spesso idea, pur avendola già studiata in due precedenti schizzi, oggi conservati rispettivamente al Louvre e al Gabinetto di Disegni e Stampe degli Uffizi.

Anche per la preparazione della tavola, Leonardo si cimenta in soluzioni nuove. Al classico impasto di gesso e colla, aggiunge fibre vegetali: una pratica diffusa all’epoca solo nei paesi nordici, che però avrebbe contribuito a dare elasticità alle assi lignee. 
L’indagine a infrarossi ha inoltre rivelato che la roccia sulla quale la Vergine poggia i piedi si apre su una sorta di pozzo o burrone. Al di sotto doveva scorrere un corso d’acqua –  che le pennellate più chiare lasciano intuire – come succede nelle due successive versioni della Vergine delle Rocce di Parigi e Londra. 

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Se oggi possiamo godere dello spettacolo eccezionale di quest’opera lo dobbiamo anche alle condizioni di conservazione tutto sommato buone che ne hanno preceduto l’arrivo agli Uffizi. Prima di entrare nella collezione della Galleria, infatti, l’Adorazione dei Magi è rimasta presso il palazzo di Santa Croce di Giovanni di Amerigo Benci. Possiamo immaginare che il ricco mercante, amico dei Vinci, avesse permesso a Leonardo di usare uno degli ambienti del palazzo come suo laboratorio per realizzare la pala e che questa poi vi sia rimasta quando l’artista lasciò Firenze per Milano. D’altra parte è qui, a casa Benci, che anche Vasari la vide per la prima volta, nel 1568. 

“Vedesi bene che Lionardo per l’intelligenza de l’arte cominciò molte cose,” – scrisse il biografo nelle sue Vite, “e nessuna mai ne finì, parendoli che la mano aggiungere non potesse alla perfezzione dell’arte ne le cose che egli si immaginava […]”. 
Da questo punto di vista, l’Adorazione dei Magi non fa eccezione. La varietà dei particolari e delle espressioni dei personaggi ritratti, la fedeltà della raffigurazione botanica, la sperimentazione materiale, tutto testimonia l’ampiezza degli interessi di Leonardo e la sua incontenibile poliedricità, a dispetto – o forse proprio in virtù – del suo essere non-finito.  

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