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Giotto

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Simbolo della profonda riforma della tradizione figurativa dell’Occidente, protagonista dello straordinario periodo di articolazione e innovazione che caratterizza la pittura fiorentina del Trecento, si deve a Giotto anche l’ascesa del ruolo dell’artista e il suo riconoscimento sociale. In un’Italia frammentata e in lotta, Giotto è il primo artista ad avere rilevanza sovraregionale e influenzare, non solo il suo tempo, ma i secoli a venire.

Origini, formazione e la fama presso i contemporanei

Originario del Mugello, a nord di Firenze, Giotto di Bondone nasce intorno al 1265.
Nelle Vite de’ più eccellenti pittori, scultori e architettori Vasari (1511-1547) racconta che, all’età di 10 anni, mentre pascolava le pecore affidategli dal padre, passava il tempo a disegnare nella terra e sulle pietre paesaggi e animali. Un giorno da quei sentieri passa Cimabue (1240 ca.-1309) – tra i più grandi maestri toscani dell’epoca – che resta impressionato dalla strepitosa abilità del giovane nel ritrarre, con tanta naturalezza e con un semplice sasso, una pecora. Giotto è subito invitato a studiare presso la sua bottega a Firenze. Leggenda o storia vera certo è che ben presto Giotto supererà in stile e fama l’illustre maestro.

Le sue straordinarie qualità pittoriche, dalle sperimentazioni spaziali e lo studio della prospettiva, alla veridicità nel ritrarre paesaggi, elementi atmosferici e architettonici, così come gesti, volti ed espressioni dei personaggi, gli valgono importantissime commissioni tra le quali: gli affreschi della Basilica di San Francesco ad Assisi, la Cappella Scrovegni a Padova, le innumerevoli commissioni da parte di corti reali, come quella degli Angiò a Napoli, oltre agli incarichi fiorentini.

A 35 anni la sua notorietà è tale da essere incluso da Dante Alighieri (1265-1321) nella Divina Commedia: «Credette Cimabue ne la pittura | tener lo campo, e ora ha Giotto il grido, | sì che la fama di colui è scura» (Purgatorio, XI, vv. 91-96). Ma Dante non è l’unico a ricordarlo: dal testamento di Francesco Petrarca (1304-1374) sappiamo che Giotto ha dipinto per il poeta aretino un’immagine della Madonna, oggi purtroppo perduta. Giovanni Boccaccio (1313-1375), invece, nella V Novella della Sesta giornata del suo Decameron elogia la bellezza dell’arte di Giotto ironicamente in contrasto con il suo aspetto: «Giotto, fu dotato di un ingegno tanto eccellente che non esiste niente creato dalla Natura, madre e generatrice di tutte le cose per mezzo dei movimenti dei cieli, che egli non sapesse dipingere con lo stilo o la penna o il pennello in maniera così simile a quella, che anzi sembrava proprio quella, tanto che molte volte la vista degli uomini fu tratta in errore, credendo che fosse reale ciò che era solo dipinto. […] Ma, sebbene la sua arte fosse grandissima, egli non era nel corpo e nell’aspetto più bello […]».

L’attività a Firenze

A Firenze ci sono importantissime testimonianze dell’arte pluridisciplinare di Giotto. Di esempi pittorici abbiamo ancora oggi: il Crocifisso dipinto (1290-1295) di Santa Maria Novella, la serie di affreschi della Cappella Bardi (ca. 1325), il Polittico Baroncelli (ca. 1328) entrambi in Santa Croce e la bellissima Maestà di Ognissanti (ca. 1305-1310) agli Uffizi. Il dipinto è testimonianza del definitivo superamento della frontalità bizantina, dove lo spazio – non più bidimensionale – è uno spazio fisico, articolato dall’edicola del trono sul quale la Vergine, imponente, esprime una sacralità straordinaria. I suoi tratti sono naturali, umanizzati, quasi accenna ad un sorriso che lascia intravedere i denti. E’ il primo sorriso della storia dell’arte italiana. Il Bambino, seduto amabilmente sulle sue ginocchia, con la mano destra benedice lo spettatore. La grande attenzione al dato reale è leggibile anche nei volti degli angeli e nei dettagli sorprendentemente verosimili del legno nodoso del trono o del marmo del pavimento, nella bellezza dei fiori mariani offerti alla Madonna.

Maestà di Ognissanti (ca. 1305-1310)
Madonna col Bambino in trono, angeli e santi (Maestà di Ognissanti), 1305-1310 c.

Nell’antica Cappella del Podestà al Palazzo del Bargello, si trovano alcuni frammenti di affreschi dipinti da Giotto tra il 1334 e il 1337, anno della sua morte, e venuti a luce solamente nel 1937. La Cappella, che ospitava i condannati a morte prima dell’esecuzione, è affrescata con le Storie della Maddalena, santa protettrice dei peccatori, e con il Giudizio Universale. Giotto, oltre al suo genio, ci fa dono del più antico ritratto di Dante Alighieri, il cui volto è riconoscibile tra gli eletti del Paradiso.

Sottovalutato è invece il ruolo di Giotto architetto, probabilmente perchè di questa attività ci sono giunte pochissime testimonianze: dal testo del Vasari, sappiamo che nel 1334 la Signoria di Firenze affida a Giotto il compito di sovrintendere l’Opera di Santa Reparata (la vecchia cattedrale) e tutti i lavori pubblici della città; per questo incarico viene pagato cento fiorini d’oro annui.
L’unica architettura pervenuta è il maestoso Campanile della cattedrale di Santa Maria del Fiore, con base quadrata di circa 15 metri per lato, alto quasi 85 metri. L’artista dirige la costruzione fino ai primi ordini poi, a seguito della sua morte, la struttura viene affidata al suo allievo Andrea Pisano (1290 ca.-1348) e infine completata da Francesco Talenti (1305 ca.-1369) nel 1359. L’esterno è rivestito di marmi bianchi, rossi e verdi a motivi geometrici e floreali intervallato da nicchie al cui interno sculture e rilievi illustrano le Virtù cristiane, i Sacramenti, le Arti liberali ma anche scene bibliche come la creazione di Adamo ed Eva.
Il grande Campanile è oggi visitabile e per arrivare alla sua sommità è necessario salire 398 gradini.

La fama presso i posteri e la morte

La fama e l’influenza sui posteri è legata senz’altro alle grandi innovazioni pittoriche, alla plasticità, alla tridimensionalità dei corpi e architetture, alla fluidità dei movimenti e all’attenzione per il dettaglio così realistico da sembrare vero; troni, strutture architettoniche, ricami dorati, veli trasparenti e diademi con pietre incastonate sono solo alcuni esempi della completezza dei suoi dipinti.

Giotto muore a circa 70 anni, nel 1337, a Firenze lasciando un vuoto nel panorama pittorico fiorentino, colmato solo nel Quattrocento dalle magnifiche intuizioni di Masaccio (1401-1428).

Foto di copertina: Ritratto di Giotto, dal 1500 al 1550, Scuola Fiorentina, Museo del Louvre, Parigi, Francia

Dove e quando

Mugello (Firenze), 1265 – Firenze, 1337

Arte

Pittura, architettura

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