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Masaccio
Pittore simbolo del Quattrocento, Masaccio è stato determinante per lo sviluppo, in pittura, della prospettiva e di una nuova e rigorosa visione che, partendo dagli insegnamenti di Giotto (1265-1337 ca.), prende le distanze dagli eccessi decorativi del Gotico Internazionale e inaugura di fatto il Rinascimento.
Nonostante la sua precoce scomparsa, a soli 26 anni, il suo enorme talento è riconosciuto già dai suoi contemporanei e la sua eredità immortale.
Primi anni e arrivo a Firenze
Originario di San Giovanni Valdarno, Tommaso – da cui Maso – di ser Giovanni di Simone nasce il 21 Dicembre del 1401. È presto soprannominato Masaccio perché non ha cura delle cose mondane, non si occupa dell’abbigliamento e dimostra poco interesse anche nel riscuotere i compensi.
Ha solamente 17 anni quando, nel 1418, Masaccio arriva a Firenze e già nel 1422 è documenta la sua iscrizione come maestro “dipintore” all’Arte dei Medici e Speziali. Questa corporazione, infatti, è quella che a Firenze radunava non solo medici e speziali, ma anche artisti, cartolai e ceraioli. Alla stessa Arte, erano iscritti altri grandi protagonisti della storia della cultura Trecentesca, quali Dante Alighieri (1265-1321), Giotto e Ambrogio Lorenzetti (1290 ca.-1348).
Non abbiamo notizie certe della sua formazione, ma senz’altro la vitalità artistica, culturale, sociale e la prosperità economica della Firenze dell’epoca, non possono non influenzare lo sguardo e le consapevolezze del giovane artista.
In città può ammirare nuove opere architettoniche, come la Cupola del Duomo che Brunelleschi (1377-1446) sta costruendo proprio in quegli anni, così come la forza plastica della scultura di Donatello (1386-1466); riuscendo per primo a tradurre gli stessi principi prospettici e plastici in pittura.
Un talento subito riconosciuto
È il 1424 quando inizia la collaborazione con il più anziano Masolino da Panicale (1383-1440 ca.), che li vedrà assieme nella realizzazione della magnifica Sant’Anna Metterza (1424) oggi agli Uffizi e per i celeberrimi affreschi della Cappella Brancacci nella chiesa di Santa Maria del Carmine (1424-1428) che rivelano appieno la portata rivoluzionaria della pittura di Masaccio.
Dipinta per la chiesa di Sant’Ambrogio, la Sant’Anna Metterza è simbolo della devozione della città per l’omonima santa; nel 1343 infatti, nel giorno della sua ricorrenza, i fiorentini avevano cacciato il tiranno Duca di Atene e riconquistato la libertà.
Il termine Metterza è dialettale due-trecentesco per “mi è terza”, diretto collegamento con l’iconografia della pala che vede la figura di Anna, madre della Vergine e progenitrice di Cristo, in posizione dominante, con la mano aperta in gesto di protezione, sottolineando la sequenza generazionale tra i personaggi.
I due pittori si dividono i soggetti da raffigurare; a Masaccio Madonna e Bambino, oltre all’angelo in alto a destra, Sant’Anna e le altre figure a Masolino.
Anche se la doppia paternità dell’opera dovrà attendere il 1940 e Roberto Longhi per essere ufficialmente riconosciuta, la forza plastica e le solide volumetrie delle figure di Masaccio spostano con prepotenza il centro della composizione e il fuoco dell’attenzione.
Le innovazioni stilistiche e di tecnica pittorica, eredità delle intuizioni giottesche, sono evidenti nella composizione, nella solidità delle figure che diventano concrete, vere, modellate da un sapiente uso di luci e ombre. I gesti, le espressioni, trasmettono sentimenti reali, l’emotività dei soggetti è finalmente palpabile.
A Firenze si trova anche l’affresco della Trinità in Santa Maria Novella. Attraverso la magnifica composizione architettonica, simile ad arco trionfale classico, Masaccio crea un ambiente del tutto illusionistico che attraversa la parete della chiesa, regalandoci uno dei primi e più perfetti esempi di prospettiva rinascimentale.
La morte improvvisa e precoce
Durante gli anni venti del Quattrocento Masaccio lavora a Pisa e a Roma e, proprio in quest’ultima città, muore improvvisamente alla sola età di 26 anni, nell’estate del 1428.
Le cause della morte sono ancora un mistero e diverse le teorie: da malattie ereditarie all’avvelenamento, ad un fatale agguato di banditi.
Certo è che la sua scomparsa si fa subito sentire nel circolo artistico della Firenze rinascimentale: pare, infatti, che Brunelleschi si fosse rammaricato con gli amici dichiarando «noi habbiamo fatto una gran perdita». Leon Battista Alberti (1404-1472) poi, nel prologo al suo De Pictura (1435), dopo essersi meravigliato delle opere d’arte presenti a Firenze lo cita tra gli artisti più vicini all’arte antica, insieme a Brunelleschi, a Donatello e a Lorenzo Ghiberti (1378-1455). Infine, anche lo stesso Leonardo da Vinci ne ammira il lavoro nel suo Libro di pittura: dopo Giotto «l’arte ricadde, perché tutti imitavano le fatte pitture, e così andò declinando, insino a tanto che Tomaso fiorentino, scognominato Masaccio, mostrò con opra perfetta come quegli che pigliavano per altore altro che la natura, maestra de’ maestri, s’affaticavano invano».
Come testimonia il Vasari, Masaccio fu sepolto a Firenze nella chiesa del Carmine solo nel 1443, 25 anni dopo la morte e senza una vera tomba. Oggi, infatti, nel luogo di sepoltura si trovano due epigrammi che ricordano la fama e il successo critico del pittore, ieri come oggi.
Durante gli anni venti del Quattrocento Masaccio lavora a Pisa e a Roma e, proprio in quest’ultima città, muore improvvisamente alla sola età di 26 anni, nell’estate del 1428.
Le cause della morte sono ancora un mistero e diverse le teorie: da malattie ereditarie all’avvelenamento, ad un fatale agguato di banditi.
Certo è che la sua scomparsa si fa subito sentire nel circolo artistico della Firenze rinascimentale: pare, infatti, che Brunelleschi si fosse rammaricato con gli amici dichiarando «noi habbiamo fatto una gran perdita». Leon Battista Alberti (1404-1472) poi, nel prologo al suo De Pictura (1435), dopo essersi meravigliato delle opere d’arte presenti a Firenze lo cita tra gli artisti più vicini all’arte antica, insieme a Brunelleschi, a Donatello e a Lorenzo Ghiberti (1378-1455). Infine, anche lo stesso Leonardo da Vinci ne ammira il lavoro nel suo Libro di pittura: dopo Giotto «l’arte ricadde, perché tutti imitavano le fatte pitture, e così andò declinando, insino a tanto che Tomaso fiorentino, scognominato Masaccio, mostrò con opra perfetta come quegli che pigliavano per altore altro che la natura, maestra de’ maestri, s’affaticavano invano».
Come testimonia il Vasari, Masaccio fu sepolto a Firenze nella chiesa del Carmine solo nel 1443, 25 anni dopo la morte e senza una vera tomba. Oggi, infatti, nel luogo di sepoltura si trovano due epigrammi che ricordano la fama e il successo critico del pittore, ieri come oggi.
Durante gli anni venti del Quattrocento Masaccio lavora a Pisa e a Roma e, proprio in quest’ultima città, muore improvvisamente alla sola età di 26 anni, nell’estate del 1428.
Le cause della morte sono ancora un mistero e diverse le teorie: da malattie ereditarie all’avvelenamento, ad un fatale agguato di banditi.
Certo è che la sua scomparsa si fa subito sentire nel circolo artistico della Firenze rinascimentale: pare, infatti, che Brunelleschi si fosse rammaricato con gli amici dichiarando «noi habbiamo fatto una gran perdita». Leon Battista Alberti (1404-1472) poi, nel prologo al suo De Pictura (1435), dopo essersi meravigliato delle opere d’arte presenti a Firenze lo cita tra gli artisti più vicini all’arte antica, insieme a Brunelleschi, a Donatello e a Lorenzo Ghiberti (1378-1455). Infine, anche lo stesso Leonardo da Vinci ne ammira il lavoro nel suo Libro di pittura: dopo Giotto «l’arte ricadde, perché tutti imitavano le fatte pitture, e così andò declinando, insino a tanto che Tomaso fiorentino, scognominato Masaccio, mostrò con opra perfetta come quegli che pigliavano per altore altro che la natura, maestra de’ maestri, s’affaticavano invano».
Come testimonia il Vasari, Masaccio fu sepolto a Firenze nella chiesa del Carmine solo nel 1443, 25 anni dopo la morte e senza una vera tomba. Oggi, infatti, nel luogo di sepoltura si trovano due epigrammi che ricordano la fama e il successo critico del pittore, ieri come oggi.
Foto di copertina: Particolare con l’autoritratto e i ritratti di Masolino da Panicale e Leon Battista Alberti, 1424-28, Affresco San Pietro in Cattedra, Chiesa del Carmine, Firenze
San Giovanni Valdarno (Arezzo), 1401 – Roma, 1428
Pittura
Galleria
“Le cose fatte inanzi a lui si posson chiamar dipinte, e le sue vive, veraci e naturali” (Giorgio Vasari)
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