Il David, icona dell’arte italiana, è espressione dello spirito di un’intera epoca e ancora oggi affascina milioni di visitatori provenienti da tutto il mondo.
Nel corso dei secoli molte parole sono state usate per descriverlo, ma probabilmente le migliori sono quelle di Vasari, che così ne scrisse: “e veramente che questa opera ha tolto il grido a tutte le statue moderne et antiche, o greche, o latine che elle si fussero […]. Perché in essa sono contorni di gambe bellissime et appiccature e sveltezza di fianchi divine; né ma’ più s’è veduto un posamento sì dolce né grazia che tal cosa pareggi, né piedi, né mani, né testa che a ogni suo membro di bontà d’artificio e di parità, né di disegno s’accordi tanto”.
Con questa premessa, addentriamoci nella storia e nell’analisi dell’intramontabile capolavoro del Buonarroti.
L’episodio biblico
Il soggetto, rappresentato da Michelangelo e da altri prima di lui, deriva da un episodio tra i più avvincenti della Bibbia: la battaglia tra l’esercito israelita del re Saul e quello dei Filistei.
Giunti allo scontro decisivo, Golia – “gigante alto sei cubiti e un palmo […] protetto da una corazza a scaglie il cui peso raggiungeva i cinquemila sicli di bronzo” (I Sam. 17) – sfida l’armata israelita a battersi contro di lui.
A farsi avanti è un giovane e coraggioso pastore, inesperto dell’arte della guerra: David.
Munito solo di bastone, fionda e di cinque pietre, David affronta Golia con sicurezza: lo guida la forza di Dio, che lo ha scelto in segreto come prossimo re di Israele.
Dopo uno scambio di battute tra i due rivali, il duello si consuma in breve tempo: Golia non fa in tempo ad estrarre la spada che il giovane eroe ha già messo mano alla fionda per scagliare un sasso che si conficca nella fronte del gigante, abbattendolo. David non si lascia sfuggire l’occasione e finisce il Filisteo tagliandogli la gola con la sua stessa spada.
Ed è proprio a questa immagine del David vittorioso con la testa del nemico ai piedi, che i fiorentini erano abituati quando Michelangelo, nel 1501, accetta l’incarico di scolpire la sua versione dell’eroe. Una versione che avrebbe rivoluzionato e cambiato per sempre la rappresentazione del giovane re biblico.
La versione di Michelangelo: analisi del David
Le virtù di David, la sua fierezza e invincibilità erano state da tempo interpretate in senso simbolico dagli artisti fiorentini, primo fra tutti Donatello, autore di due David. Il primo, in marmo, del 1412-1416 circa e l’altro, collocabile attorno al 1440 e primo nudo in bronzo del Rinascimento. Entrambe le opere sono oggi conservate al Museo Nazionale del Bargello di Firenze, dove si trova anche l’analoga scultura realizzata da Andrea Verrocchio tra il 1472 e il 1475. In tutte, per quanto diverse in stile e composizione, l’eroe è rappresentato a combattimento concluso, con la testa decollata di Golia sotto di lui.
Michelangelo fa una scelta totalmente nuova. Il suo David, nudo come e persino più di quello di Donatello (non presenta nemmeno i calzari e il copricapo), è immortalato nell’attimo prima dello scontro. Nella mano destra tiene una pietra, il braccio disteso lungo il corpo; nella sinistra impugna la fionda adagiata sulla spalla, secondo lo schema a chiasmo noto e più volte utilizzato dal Buonarroti.
Il volto è concentrato e attento, tutta la figura trasmette tensione, la muscolatura vigorosa è pronta a scattare, lo sguardo orgoglioso è fisso verso il nemico. Tutto ancora deve compiersi, ai suoi piedi nessun macabro trofeo. La sua nudità è reale ma solo apparente, a questo David non servono abiti né armi per essere un eroe credibile.
Anche le dimensioni contano. La statua, alta 517 centimetri per 5560 chili di peso, fu scolpita nell’arco di tre anni dall’artista, neanche trentenne, su richiesta dell’Opera del Duomo.
Il blocco di marmo era stato inizialmente abbozzato da Agostino di Duccio e Bernardo Rossellino, poi abbandonato perché giudicato troppo difficile da lavorare.
Per uno stipendio mensile di 6 fiorini d’oro (ma il prezzo della statua verrà aumentato a 400 ducati poco dopo), Michelangelo accetta l’incarico. Non solo deve fare i conti con un materiale complesso e già parzialmente intaccato, ma deve anche misurarsi con un soggetto dai precedenti illustri e dal forte valore simbolico per la città di Firenze.
Per riuscire nell’impresa, si rifà alla statuaria classica vista a Roma – dove ha soggiornato fino a qualche mese prima – eguagliandola e persino superandola in bellezza e maestosità. La superficie del David è lavorata in ogni dettaglio e perfettamente levigata, eccezion fatta per la base trattata a rustico. Come scrisse Vasari nelle sue Vite commentando la statua: “[…] chi vede questa, non deve curarsi di vedere altra opera di scultura fatta nei nostri tempi o negli altri da qualsivoglia artefice”.
Dovettero pensarlo anche i committenti la prima volta che la videro.
La collocazione: una storia a più riprese
Il 25 gennaio 1504 una commissione composta dai maggiori artisti dell’epoca (tra gli altri, Leonardo da Vinci, Sandro Botticelli, Filippino Lippi, il Perugino) si riunì per decidere quale fosse la collocazione migliore, poiché lo sperone della Cattedrale ipotizzato inizialmente venne considerato inadatto per un tale capolavoro.
La delibera del maggio dello stesso anno decretò che il luogo più idoneo fosse invece Piazza della Signoria, davanti a Palazzo Vecchio (sede del potere cittadino), al posto della Giuditta di Donatello, che venne spostata nella Loggia dell’Orcagna. È probabile che Michelangelo lavorò alla rifinitura dell’opera fino a settembre dello stesso anno. In questi mesi si verifica anche un episodio tanto buffo quanto indicativo della personalità dell’artista. Pare che un giorno il gonfaloniere Pier Soderini, guardando dal basso la statua, ne avesse criticato il naso, ritenuto troppo grosso. Armato di scalpello, Michelangelo, dopo aver nascosto un po’ di polvere di marmo in una mano, finse di correggerlo lasciando cadere giù la polvere. Un intervento che il gonfaloniere, del tutto ignaro dell’inganno, giudicò perfetto!
L’8 settembre il colosso, emblema della forza e dell’indipendenza dei fiorentini, fu svelato ai cittadini lasciandoli strabiliati, e così la fama del suo geniale autore crebbe senza pari.
Da contraltare alla sua magnificenza, non mancano, nella storia del David, disavventure e vicende che hanno messo a rischio la sua integrità.
Nel 1512 fu infatti colpito da un fulmine con gravi conseguenze per la stabilità del basamento originale, poi andato perduto e oggi sostituito da una copia; mentre nel 1527, durante i tumulti legati alla cacciata dei Medici, fu vandalizzato: il braccio sinistro fu ridotto in pezzi, ricostruiti per volontà del duca Cosimo nel 1543. Negli stessi anni, complice il clima censorio della Controriforma, si verifica anche la copertura dei genitali attraverso un tralcio metallico appoggiato ai fianchi della statua.
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Bisogna attendere il XIX secolo perché si cominci a pensare a un possibile trasferimento della statua in un luogo più adatto alla sua conservazione.
Una questione sollevata dallo scultore Lorenzo Bartolini nel 1842 e proseguita pubblicamente fino al 1872, quando si decise di spostare il David all’interno della Galleria dell’Accademia. Ancora oggi a Casa Buonarroti (una delle tappe imperdibili per chi vuole vedere le opere di Michelangelo a Firenze) è conservato il modellino dell’enorme imbracatura di legno che l’anno seguente avvolse il gigante e ne permise il trasferimento – durato ben 10 giorni – dalla piazza al museo.
Eppure il David dovrà aspettare altri 9 anni chiuso in una cassa prima di poter essere nuovamente ammirato nella sua nuova collocazione: il tempo necessario all’architetto Emilio De Fabris di realizzare la grande Tribuna destinata ad ospitarlo. Un ambiente studiato per esaltarne le caratteristiche formali: in questa moderna abside inondata di luce il David svetta, unico.
Il percorso stesso immaginato dal museo, contribuisce a generare un crescendo visivo ed emotivo: nell’arioso corridoio che conduce alla Sala del Colosso, sono infatti esposti i Prigioni, sempre di Michelangelo; una serie di sculture non-finite che anticipano, con la loro dinamica incompiutezza, lo spettacolo del David. Un’esperienza coinvolgente e totalizzante che ti invitiamo a vivere in prima persona.