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Raffaello
Pittore e architetto, nonostante la breve vita, Raffaello rappresenta l’apice della pittura del suo tempo, un genio alla costante ricerca della grazia e dell’armonia. Nato a Urbino nel 1483, la sua eredità ha inequivocabilmente cambiato il corso della storia dell’arte, influenzandola fino al 1900.
La fanciullezza alla corte dei Montefeltro
La prima infanzia di Raffaello si sviluppa attorno alla corte dei Montefeltro, dove il padre Giovanni Santi lavora come pittore. Sin da piccolissimo è introdotto al dinamico ambiente artistico del Ducato di Urbino, all’epoca uno dei centri di eccellenza della cultura rinascimentale. Dopo che la madre, Magia di Battista di Niccolò Ciarla viene a mancare quando il piccolo Raffaello ha appena nove anni, l’artista resta alle cure del padre e della nuova matrigna. È Giovanni a impartire le prime lezioni di pittura al figlio, mostrandogli le opere di Piero della Francesca, del fiammingo Giusto di Gand e di Antonio del Pollaiolo esposte nel Palazzo Ducale di Urbino. Il padre non solo gode del privilegio di poter entrare e uscire a suo piacimento dal palazzo, ma è anche amico di molti artisti e letterati attivi in città, caratteristiche che si riveleranno fondamentali per indirizzare la personalità e lo stile di vita di Raffaello.
Nel 1494, Giovanni Santi muore e il giovane artista passa sotto la protezione dello zio paterno Bartolomeo. Della sua formazione dopo la morte del padre non si hanno notizie certe. Gira la voce di un probabile apprendistato presso la bottega del Perugino, fatto suggerito dalla similitudine di soggetti e composizioni di alcune opere dell’artista umbro e quelle giovanili di Raffaello, ma non ci sono prove concrete di questo rapporto.
Gli esordi artistici e il soggiorno fiorentino
Il talento del giovane artista non può restare a lungo all’ombra di qualsivoglia maestro: già nel 1500 il pittore, appena diciottenne, firma un contratto per la realizzazione di una pala d’altare. Il documento riporta il nome latino Rafael Johannis Santis de Urbino associato alla parola magister, ovvero maestro, cosa che lascia intuire le già affermate doti dell’artista. Dopo appena due anni riceve la prima commissione fuori dal ducato: assieme al famoso pittore Pinturicchio, realizza il ciclo di affreschi per la Biblioteca Piccolomini di Siena.
Nel 1504, realizza l’opera che in assoluto lo ha fatto accostare di più al Perugino: Lo Sposalizio della Vergine, oggi conservato alla Pinacoteca di Brera. Soggetto, titolo e anche la raffigurazione della scena sono quasi identici all’omonimo quadro del maestro umbro, sebbene Raffaello dimostri una maggiore cura della prospettiva e delle architetture presenti nel fondale. Lo stesso anno parte alla volta di Firenze, soggiorno quasi obbligatorio per qualsiasi artista che si rispetti, dove resta fino al 1508. Qui, immerso nell’ambiente artistico e culturale che ha dato i natali al Rinascimento stesso, il già spiccato talento dell’Urbinate ha modo di sbocciare in nuove e grandiose forme. Ispirato dalle opere di Donatello, Masaccio e Luca della Robbia, ed entrato in contatto con artisti del calibro di Leonardo da Vinci, Michelangelo e Piero di Cosimo, realizza alcune delle sue opere più iconiche. Prima fra tutti, La Madonna del Cardellino, completata per il ricco mercante Lorenzo Naso nel 1506, oggi conservata alla Galleria degli Uffizi. In quest’opera dai colori brillanti vediamo il chiaro apprezzamento di Raffaello per il lavoro di Leonardo nella composizione piramidale e nell’insieme di sguardi e movimenti concatenati, così come nella vaporosa resa del paesaggio. La scena però, anziché avvolta dall’aura di mistero leonardesca, ispira una sincera e calma dolcezza. I gesti sono gentili, familiari, Maria è una madre paziente e felice, non la ieratica raffigurazione del pio dolore per la preannunciata morte del figlio.
Negli anni fiorentini continua a realizzare opere di carattere religioso, prevalentemente in Umbria, ma si avvicina anche alla committenza privata. Realizza due splendidi ritratti per i ricchi Agnolo Doni e Maddalena Strozzi, i celebri Coniugi Doni oggi esposti agli Uffizi. La coppia era appassionata d’arte e in quegli stessi anni aveva commissionato opere ad altri grandissimi artisti, come ad esempio il Tondo Doni di Michelangelo. Molti sono i ritratti realizzati in quel periodo e, curiosamente, anche un celebre Autoritratto. Raffaello si dipinge in vesti semplici, una casacca nera sopra una camicia bianca, la classica tenuta da lavoro del pittore. Con questa piccola opera non solo vuole dichiarare il proprio mestiere, lo vuole glorificare, elevare e rendere dunque degno di essere immortalato su tela. Non solo creatore ma anche attore principale dell’opera, il pittore è per Raffaello una celebrità. Non a caso nel 1508 parte alla volta di Roma, dove diverrà una vera e propria star.
La vita a Roma
Per richiesta di papa Giulio II, giunge dunque nella città eterna per partecipare ai grandi progetti di rinnovamento urbano del pontefice. In pochi anni Roma si riempie di artisti come Michelangelo e il Bramante, con i quali Raffaello collaborerà, e si scontrerà, spesso. La prima grande opera che l’Urbinate realizza a Roma sono gli affreschi per le celebri Stanze vaticane, l’appartamento che Giulio II aveva scelto per sé, non sopportando l’idea di vivere in quelle occupate dal predecessore Alessandro VI. Inizialmente il pittore era stato incaricato di fare delle semplici prove nella volta della Stanza della Segnatura. Il papa, estasiato da quanto appena abbozzato da Raffaello, decide di affidargli l’incarico dell’intero complesso di stanze, distruggendo persino le parti già realizzate il secolo precedente da artisti del calibro di Piero della Francesca e Andrea del Castagno. Non solo, il restauro delle Stanze era già stato avviato da un gruppo di pittori di tutto rispetto, tra cui Perugino, Lorenzo Lotto e Baldassarre Peruzzi, che vengono così liquidati in un attimo alla vista delle prove del Sanzio. Alla fine, Raffaello e i suoi aiutanti realizzano tre degli ambienti principali degli appartamenti del papa: la già citata Stanza della Segnatura, la Stanza dell’Incendio e quella di Eliodoro.
La fama di Raffaello cresce sempre di più e durante gli anni ‘10 del 1500 accumula commissioni su commissioni da parte dei più ricchi esponenti del patriziato romano. Attorno a lui, sebbene ancora giovane, si viene a creare così una bottega di prim’ordine, messa su dal maestro per venire incontro alla crescente mole di lavoro che gli viene affidata. Il pittore si occupa prevalentemente di realizzare i disegni e cartoni preparatori mentre i suoi aiutanti, minuziosamente formati per seguire lo stile del maestro, stendono il colore e si occupano delle rifiniture sotto la sua supervisione. Ovviamente questo rende molto complicata l’attribuzione di numerose opere alla mano del Sanzio, tanto il suo lavoro e quello dei suoi aiutanti si sovrappone per tutto l’ultimo decennio della sua attività.
A lungo si è discusso sulla paternità di un dipinto in particolare: La Velata esposta nella Galleria Palatina di Palazzo Pitti. Non sappiamo di chi sia la commissione, né la data precisa della sua realizzazione e per secoli gli esperti hanno dibattuto se l’opera fosse di Raffaello o solo realizzata nel suo stile. Il primo inventario del Palazzo che la comprende riporta la particolare dicitura “dicono di mano di Raffaello d’Urbino”. Ogni secolo sembra aver visto una nuova interpretazione della questione: nel 1700 di Justus Sustermans, nel 1800 della bottega di Raffaello, oggi universalmente riconosciuta come realizzata dalla sua mano. Uno degli indizi rivelatori pare essere il volto della donna ritratta, troppo simile a quella di altre opere dell’Urbinate, come la Fornarina e la Madonna Sistina. La modella potrebbe essere in tutti questi casi, e in molti altri, Margherita Luti, la donna che fra tutte più aveva amato. La più amata, ma certamente non l’unica. Oltre che la pittura, Raffaello pare amasse molto anche le donne, molto più di quanto fosse opportuno per un uomo per bene dell’epoca. Persino il Vasari parla di questa sua “passione” tanto da vedervi la causa della sua morte prematura.
La tutela del patrimonio artistico
Papa Leone X, nel 1514, insignisce Raffaello del titolo di Praefectus Marmorum et Lapidum Omnium, ovvero il prefetto di tutti i marmi e le pietre della città. La funzione della carica è di sovrintendere ai lavori di scavo e recupero di marmi e pietre dagli edifici antichi situati a Roma e destinati ad essere riutilizzati per la basilica di San Pietro. Dopotutto Raffaello già da tempo si vantava di essere uno dei massimi conoscitori dell’arte e architettura antiche. Nello specifico, il compito è di valutare attentamente quali pezzi vadano salvati da questa spoliazione, valutandone il valore artistico e supportandone la catalogazione. Si tratta della prima vera attestazione dell’impegno di uno stato europeo alla conservazione di quelli che oggi conosciamo come beni culturali. Non solo, nel 1519, in una lettera che oggi sappiamo essere stata redatta da Baldassarre Castiglioni per conto dell’artista, Raffaello esorta il papa a porre più attenzione sulla questione della conservazione. L’epistole attacca i nobili romani che hanno depredato per secoli le rovine e tappezzato i propri palazzi di frammenti della Roma antica, ricordando l’importanza di una mappatura completa della città e delle sue rovine, per evitarne l’ulteriore spoliazione.
Lo stile e l’eredità
Oggi Raffaello è conosciuto come l’artista della grazia. In ogni sua opera riesce a rielaborare le innovazioni dei maestri precedenti interpretandole attraverso il suo linguaggio armonioso e rasserenante. Di Leonardo possiamo vedere la grande connotazione psicologica e la morbidezza dei contorni dei soggetti, specialmente in ritrattistica. Di Michelangelo la plasticità scultorea dei personaggi e l’uso dello spazio. Suoi tratti distintivi sono invece la raffinatezza e la resa reale della natura, con chiari influssi dall’arte fiamminga nella cura dei dettagli. Il suo stile, quasi divino per i contemporanei, getta le basi per l’arte manierista e successivamente per quella barocca e la sua influenza arriva ininterrotta fino al 1900.
Il 6 aprile 1520, a soli 37 anni, Raffaello muore dopo oltre due settimane di febbre. Nelle Vite del Vasari troviamo scritto “E così continuando fuor di modo i piaceri amorosi, avvenne ch’una volta fra l’altre disordinò più del solito, perché a casa se ne tornò con una grandissima febbre […]. Poi confesso e contrito finì il corso della sua vita il giorno medesimo ch’e’ nacque”, suggerendo che la malattia fosse causata dagli eccessi amorosi dell’Urbinate. Oggi, se ci affidiamo alla versione del pettegolo Vasari, l’unica spiegazione che possiamo darci è che Raffaello avesse contratto una qualche malattia venerea.
Quale che sia la ragione della sua morte, ciò che conta è quello che Raffaello ha lasciato al mondo: un’eredità artistica indelebile, meravigliosa, quasi divina.
Foto di copertina: Autoritratto, 1504-1506 circa, Raffaello Sanzio, Palazzo Pitti, Firenze
Urbino, 1483 – Roma, 1520
Pittura, architettura
Galleria
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