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Michelangelo Buonarroti
Pittore, scultore, architetto e poeta, Michelangelo ci ha lasciato un’eredità di opere straordinarie. Nato nel 1475 a Caprese, un piccolo borgo dell’aretino, dimostra fin da giovane un talento così eccezionale da essere considerato un genio già dai suoi contemporanei.
Gli anni giovanili e la nascita del suo mito
Il padre Ludovico Buonarroti, di famiglia nobile ma decaduta, era il podestà di Caprese e amministrava il territorio per conto della famiglia Medici. Accortosi del talento precoce del figlio decide di mandare il giovane Michelangelo a bottega presso Domenico del Ghirlandaio, è circa il 1487.
In quegli anni di formazione Michelangelo può ammirare, presso il Giardino di San Marco, la vasta collezione di marmi antichi della famiglia Medici, storica famiglia di banchieri che aveva ormai assunto il ruolo di guida della città, ed è qui che si appassiona allo studio dell’arte classica, passo fondamentale nella sua formazione.
Nonostante l’innegabile talento, è curioso che i suoi esordi siano legati ad un episodio di contraffazione. Intorno al 1496, Michelangelo scolpisce la statua di un Cupido dormiente dietro commissione di Lorenzo di Pierfrancesco de’ Medici. Il progetto è di venderla al cardinale Raffaele Riario spacciandola per un originale antico. Non sappiamo se l’idea di sotterrare il cupido per accelerarne l’invecchiamento sia di Michelangelo, di Lorenzo o del suo commerciante d’arte Baldassarre del Milanese, ma certo è che il prelato non è uno sprovveduto e scopre presto l’inganno, chiedendo il risarcimento. Nonostante questo, al cardinale non sfugge l’indubbio talento del giovane scultore, tanto da commissionargli il Bacco (1496-97) oggi conservato al Museo Nazionale del Bargello. Il valore di Michelangelo è ormai riconosciuto.
Il David
È il 1501 quando Michelangelo inizia a lavorare l’enorme blocco di marmo, commissionato dall’Arte della Lana e dall’Opera del Duomo di Firenze. Già due artisti, Agostino di Duccio e Rossellino, lo hanno abbozzato e hanno rinunciato per via della difficile qualità del marmo. Questo ostacolo non impedisce al giovane Michelangelo di realizzare una delle sculture più clamorose della storia dell’arte: il David. Subito riconosciuto come capolavoro, le autorità istituiscono una commissione di esperti, tra i quali anche Leonardo, Botticelli e Perugino, per deciderne la collocazione che viene infine individuata all’ingresso di Palazzo Vecchio. Di fronte al centro del potere cittadino, e nel cuore di Firenze, la figura del giovane eroe biblico dallo sguardo risoluto diviene il simbolo della città.
La maestosa figura del David, specchio della fierezza e libertà della Repubblica fiorentina, rappresenta una svolta epocale nella storia dell’arte: a differenza degli scultori che lo hanno preceduto, Michelangelo raffigura l’eroe biblico senza spada, armato solo di fionda, mentre lascia intuire all’osservatore la presenza di Golia fuori scena. David non è ancora il vincitore, è in attesa. Tutto, dalla posa allo sguardo, rivela la preparazione psicologica alla battaglia.
Gli anni romani e la Cappella Sistina
Intorno al 1505, Michelangelo viene chiamato a Roma da Papa Giulio II della Rovere è l’inizio di un proficuo ma anche complesso rapporto dovuto all’irascibilità e all’intransigenza dei loro caratteri.
Sarà proprio Giulio II a commissionargli gli affreschi dell’intera volta della Cappella Sistina in Vaticano. È la prima occasione per Michelangelo di cimentarsi nella tecnica dell’affresco e nonostante si consideri uno scultore e non un pittore, nel 1508 accetta l’ambizioso incarico. Ci vorranno quattro anni e mezzo di fatiche, tentativi frustrati, cambi di rotta e ingenti somme per materiali, attrezzature e personale per riuscire a completare l’opera, ma Michelangelo, ancora una volta, supera ogni aspettativa e regala al mondo un’opera spettacolare e destinata a plasmare le sorti dell’arte occidentale.
L’impresa della Cappella Sistina aveva costretto Michelangelo a interrompere un’altra opera di immani proporzioni: il monumento funebre per il papa commissionatogli nel 1505. Solo nel 1520, paradossalmente dopo la morte del pontefice, inizierà il ciclo scultoreo dei Prigioni, concepiti per decorarne la tomba. Il progetto originale dell’imponente sepolcro in marmo fondeva architettura e scultura in un’unica maestosa opera da collocare nella Basilica di San Pietro. Visibile a 360° prevedeva circa quaranta statue. I Prigioni, in particolar modo, con il loro carattere simbolico erano concepiti come decoro per la base della colossale tomba. Secondo alcune fonti, questi soggetti rappresentavano le province assoggettate dal papa, oppure le Arti, ridotte in catene dalla morte di un grande mecenate.
Michelangelo non terminerà nessuna delle opere del monumento, lasciandoci però quattro splendidi non-finiti, le sculture abbozzate dei Prigioni, oggi visitabili presso la Galleria dell’Accademia di Firenze, e che rivelano la maestosità del progetto.
La tomba vedrà la luce quasi trent’anni dopo la morte di Giulio II, sebbene drasticamente ridotta, e si trova oggi nella Chiesa di San Pietro in Vincoli a Roma, dove campeggia l’imponente scultura del Mosè (1513-15).
Michelangelo architetto a Roma e a Firenze, Le Cappelle Medicee
Da sempre interessato all’architettura e alle sue possibilità, le prime commissioni arriveranno solo a partire dal 1518 e nella sua Firenze; dapprima con un progetto mai realizzato per la facciata di San Lorenzo, poi concretamente con l’incarico del cardinale Giulio de’ Medici di realizzare sia la Sagrestia Nuova nelle Cappelle Medicee – parte nella chiesa di San Lorenzo – sia la Biblioteca Laurenziana. tra le due opere, la prima è senz’altro la più celebre. Destinata a contenere i monumenti funebri di Giuliano duca di Nemours e Lorenzo duca d’Urbino, i lavori per la nuova cappella iniziano intorno al 1520, due anni dopo il fallito tentativo di dare una facciata alla chiesa. Per la Sagrestia Nuova realizza quindi un impianto architettonico ispirato a Brunelleschi, dalle geometrie esemplari, nette e slanciate verso l’alto, dove perfettamente si inseriscono le meravigliose sculture delle Allegorie del Tempo: L’aurora, Il giorno, Il crepuscolo, La notte, realizzate tra 1524 e 1531, insieme alle statue dei due giovani Medici.
Conclusa l’esperienza fiorentina, nel 1534 inizia a progettare il nuovo impianto per Piazza del Campidoglio, voluto da Papa Paolo III per preparare Roma alla visita dell’imperatore Carlo V.
La piazza presenta già due edifici, il Palazzo Senatorio e quello dei Conservatori. Michelangelo ne segue la ristrutturazione e progetta un terzo palazzo, conosciuto poi come Palazzo Nuovo, così da creare un trapezio che punta il suo sguardo verso San Pietro, il centro del potere papale. I lavori per questo splendido rinnovamento urbanistico terminano nel 1538 e l’impronta di Michelangelo è ancora oggi chiaramente visibile nella storica piazza.
Arte è Vita
Le opere di Michelangelo si distinguono subito per la loro modernità straordinaria, la capacità e l’originalità espressiva che ogni volta sposta i parametri interpretativi.
Nella Pietà vaticana, realizzata non ancora venticinquenne, il volto di Maria e il corpo di Cristo irradiano beatitudine, grazia e pietà sono i sentimenti protagonisti, non sofferenza e supplizio come nella rappresentazione comune.
La devozione al suo lavoro è totale, non tralascia alcun passaggio, Michelangelo per tutta la vita andrà personalmente, a dorso di mulo, nelle cave a scegliere il marmo per ogni sua opera, marmo del quale riconosce istintivamente caratteristiche e purezza. Come quando nel 1517 per la realizzazione della facciata della Chiesa di San Lorenzo, individua, quasi sulla vetta del Monte Altissimo nelle Alpi Apuane, una vena marmifera che definisce “di grana unita, omogenea, cristallina” e che “ricorda lo zucchero”.
Tanto è dedito alla sua arte da non interessarsi alle cose mondane, come invece era noto fare il più giovane Raffaello Sanzio. I due grandi artisti si erano probabilmente già incontrati durante il soggiorno del giovane urbinate a Firenze tra 1504 e 1508, ma è a Roma, entrambi ospiti della corte papale, che le loro vite iniziano effettivamente ad intrecciarsi. Considerati anche dai colleghi come i due migliori del settore, si cominciano a formare attorno a loro due schieramenti contrapposti, entrambi con l’obiettivo di sottrarre commissioni ed elogi all’altro. Michelangelo inizia ad aiutare, con cartoni preparatori di sua mano, l’amico Sebastiano del Piombo, altro celebre artista attivo a Roma in quegli anni, a realizzare opere migliori e in tempi più brevi rispetto a quelle di Raffaello. D’altro canto, il Bramante non esita a usare la sua grande influenza a corte per favorire il Sanzio, amico e conterraneo. Nonostante queste piccole faide e le grandi differenze caratteriali, entrambi hanno un’evidente stima del lavoro dell’altro. Il più giovane Raffaello studia a fondo le opere del rivale toscano, e dimostra di conoscerne profondamente l’animo. Nel meraviglioso affresco La Scuola di Atene (1509-11) nelle Stanze Vaticane, l’urbinate raffigura tutti quelli che considera i grandi maestri del tempo, tra Leonardo nelle vesti di Platone e Bramante come Archimede, inserisce anche Michelangelo nei panni di Eraclito. Non solo identifica il rivale come uno dei più grandi filosofi ateniesi, riconoscendone dunque la grandezza, ma lo raffigura in stato meditativo, in disparte, corrucciato e in contemplazione, mostrando quanto Raffaello fosse riuscito a carpire del carattere del Buonarroti. Infatti, il grande artista ha pochi, ma molto cari, amici e vive una vita frugale. In molti all’epoca lo credono povero, o quasi. In realtà, Michelangelo aveva accumulato un’immensa fortuna in proprietà immobiliari e ducati d’oro, ritrovati solo dopo la sua morte. Dalle sue lettere col padre Ludovico sappiamo che l’artista mantiene economicamente praticamente tutta la famiglia. I Buonarroti, come già citato, erano una famiglia di nobiltà antica ma né il padre, né lo zio Francesco erano stati in grado di ben amministrare il patrimonio di famiglia. Michelangelo, divenuto una vera celebrità, invia regolarmente denaro al padre e ai fratelli, cosa che spesso sarà motivo di litigi. Il padre, nonostante accetti e ricerchi le ricchezze del figlio, poco sopporta il mestiere di artista, il quale considera indegno di un nobile di città. In un caso, addirittura, le due parti finiscono per passare per vie legali, forse a causa delle crescenti pretese della famiglia. Nel 1523, in una di queste lettere, Michelangelo arriva a scrivere:
“Se io vi dò noia a vivere, voi avete trovato la via di ripararvi, e rederete quella chiave del tesoro che voi dite che io ò; e farete bene: perchè e’ si sa per tutto Firenze come voi eri un gran rico e come io v’ò sempre rubato, e meritò la punizione: saretene molto lodato! Gridate e dite di me quello che voi volete, ma non mi scrivete più, perché voi non mi lasciate lavorare: che a me bisognia ancora scontare ciò che voi avete avuto da me da venticinque anni in qua.”
In quest’ottica possiamo capire meglio il rapporto che l’artista ha col denaro. Forse la sua ossessione col risparmio deriva proprio dalla consapevolezza che dalla propria fortuna dipendono le sorti dell’intera famiglia, senza contare l’infanzia vissuta col trauma delle ristrettezze economiche causate dalla cattiva gestione del padre.
La Pittura e il Tondo Doni
Anche nella pittura Michelangelo riesce a rompere con le convenzioni del suo tempo e introdurre nuovi punti di vista. Il Tondo Doni (1505-06), oggi nella collezione degli Uffizi, ne è un esempio per le sue straordinarie caratteristiche: Maria è seduta a terra, come una donna del popolo, mentre il suo corpo è raffigurato in torsione, colta nell’atto di prendere tra le braccia suo figlio. I soggetti delle sue pitture sono solidi, vigorosi, connotati da un forte chiaroscuro e dall’uso di colori brillanti.
Le forzature e tensioni anatomiche, così come l’uso intenso dei colori, saranno ripresi dagli artisti della generazione successiva, i cosiddetti manieristi. La forza dei corpi di Michelangelo, la divina grazia delle opere di Raffaello e il misterioso languore di Leonardo, saranno spunto per la cosiddetta figura Serpentinata, ovvero sensuale e avviluppata su sé stessa, che ritroveremo in opere di pittori come Bronzino o nelle sculture del Giambologna.
Michelangelo poeta
Fatto meno noto al grande pubblico, è la passione di Michelangelo per la letteratura e in particolare per la poesia. Grande conoscitore e ammiratore delle opere di Dante, Petrarca ma anche Lorenzo de’ Medici e Agnolo Poliziano, l’animo del Buonarroti trova spesso sfogo anche attraverso le rime. E proprio Rime è intitolata la raccolta di più di trecento componimenti dell’artista pubblicata postuma dal nipote. Preziosissimo strumento per l’interpretazione della sua vita e del suo lavoro, rivelano un animo scontroso e sofferente, una solitudine incolmabile nonostante la fama.
La pietà Rondanini
All’età di 89 anni, Michelangelo ancora lavora alla Pietà Rondanini, che sebbene incompiuta colpisce per la sua grande potenza espressiva. L’ardore che permea ogni suo lavoro non lo abbandona nemmeno a pochissimi giorni dalla morte, accorsa a Roma un piovoso 18 Febbraio del 1564.
Secondo la testimonianza del suo amico e confidente Daniele da Volterra «Egli lavorò tutto il sabato, che fu inanti al lunedì che si ammalò; lavorò tutto il sabato della domenica di carnevale, e lavorò in piedi, studiando sopra quel corpo della Pietà».
Il nipote Leonardo organizza il ritorno della salma a Firenze, ma le autorità romane si oppongono: non hanno nessuna intenzione di lasciare andare le spoglie di un tale genio. È così che la fazione fiorentina, trafugato il corpo, lo trasferisce nottetempo nella città natale, per poi deporlo nella chiesa di Santa Croce dove da allora si trova.
La morte di Michelangelo rappresenta la fine di un’epoca, il termine di un formidabile crescendo artistico che ha elevato gli animi dei suoi contemporanei. La sua influenza, la sua memoria, vivono ancora e continuano a stupire il mondo.
Foto di copertina: Michelangelo Buonarroti, 1545 circa, Daniele da Volterra, Metropolitan Museum of Art, New York, USA
Caprese 1475 – Roma 1564
Pittura, scultura, architettura e poesia
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