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Simone Martini
Tra i più influenti artisti del Trecento, Simone Martini – detto anche Simone Senese – fu pittore e miniatore, portavoce dello stile Gotico Toscano in Europa. Eleganti e sinuosi i personaggi delle sue opere affascinano e incantano ieri come oggi.
Massimo rappresentante del Gotico Senese, Simone Martini fu anche l’unico in grado di contendere a Giotto lo scettro di sommo pittore italiano del Trecento.
Origini e formazione
Non si ha certezza del luogo e dell’anno di nascita di Simone Martini, tanto che la sua intera biografia è ricostruita da documenti e dalle opere eseguite a partire dal 1315.
Probabilmente figlio di tal Martino Senese che, a fine Duecento, lavorava a San Gimignano come artigiano preparatorio dell’arriccio – il primo grossolano strato di intonaco sul quale si abbozza a pennello il disegno preparatorio degli affreschi – Simone sarebbe nato intorno al 1284 a Siena. È logico pensare che dal padre abbia ereditato la naturale abilità nel dipingere grandi affreschi.
Molto probabilmente si forma nella cerchia di Duccio di Buoninsegna (ca. 1255-1319), allora il più noto artista della città, e sono certi i suoi contatti con le botteghe orafe cittadine. Proprio in questi anni infatti l’oreficeria senese si rinnova nello stile e nella tecnica: come gli smalti traslucidi e le incisioni. Verosimilmente, durante la sua giovinezza, Simone ha avuto contatti con la bottega di Memmo di Filippuccio (ca. 1250-ca. 1325), attiva a San Gimignano. Quest’ultima esperienza non solo contribuisce alla sua crescita professionale ma anche a quella personale, poiché nel 1324 il pittore sposa Giovanna, figlia del maestro.
Il raggiungimento della notorietà
Nel 1311 ottiene il primo grande riconoscimento cittadino, quando il Comune di Siena gli affida la realizzazione dell’imponente affresco della Maestà per la sala del Consiglio di Palazzo Pubblico. L’opera è un omaggio alla Maestà di Duccio di Buoninsegna, fatta giusto pochi anni prima per il Duomo della città.
È il 1315 quando Simone completa la prima versione dell’affresco e la sua Maestà segna uno spartiacque con la pittura a lui precedente. Oltre al realismo di volti e gesti introduce nuovi materiali e tecniche fino ad allora estranei alla pittura, come la punzonatura utilizzata per dare maggiori riflessi e tridimensionalità alle aureole, decorate con rilievi e decorazioni proprie dell’oreficeria.
Anche la rappresentazione dello spazio muta, si sviluppa in profondità grazie ai giochi di luce dati dai colori metallici.
La ricchezza dei materiali è incredibile e passa dall’applicazione di vere gemme e pietre preziose, per la veste della Madonna, fino al cartiglio retto dal Bambino Gesù: un vero foglio di carta incollato alla parete.
Nel 1321 Simone ci rimette mano per impreziosire ulteriormente la pittura e modificare il volto di alcuni personaggi.
L’opera è così moderna e piena di novità stilistiche ma al contempo capace di interpretare il gusto dei committenti, da contribuire alla subitanea notorietà dell’artista; da quel momento Simone è chiamato a lavorare per i più grandi mecenati del tempo: re Roberto d’Angiò (1278-1343) di Napoli, i cardinali della della Basilica d’Assisi e, nuovamente a Siena, per il Duomo e il Comune stesso.
È infatti ad Assisi fino al 1318 circa, a lavorare agli affreschi della cappella di San Martino dove ha modo di perfezionare la tecnica dell’affresco e coltivare contatti con la corte papale avignonese.
Nel frattempo, nel 1317, è chiamato a Napoli dalla corte di Roberto d’Angiò, per lui dipinge la spettacolare pala d’altare San Ludovico da Tolosa che incorona Roberto d’Angiò, oggi conservata al Museo di Capodimonte di Napoli. Finiti questi incarichi Simone torna in Toscana.
Nel 1330 infatti riceve un nuovo incarico per la Sala del Consiglio del Palazzo Pubblico di Siena: l’iconico Giudoriccio da Fogliano all’assedio di Montemassi, che si staglia sulla parete opposta alla Maestà, da lui dipinta 15 anni prima.
L’opera si inserisce in un contesto celebrativo voluto dal Comune, che intende adornare le pareti della Sala con scene raffiguranti le conquiste del nuovo Stato senese.
È la prima volta, nella storia dell’arte italiana, in cui un condottiero e il suo cavallo sono protagonisti assoluti della scena: sfilano eleganti in primo piano mentre dietro di loro accampamenti e castelli raccontano della nuova conquista militare. Metafora della potenza senese, l’opera è a buon merito considerata tra i capolavori dell’artista.
Di poco successiva è la magnifica Annunciazione tra i santi Ansano e Margherita (1333), realizzata per il Duomo di Siena e oggi conservata alla Galleria degli Uffizi a Firenze.
La tavola è frutto della collaborazione con il cognato Lippo Memmi (notizie dal 1317-1348) e ne riporta entrambe le firme.
Considerata il punto più alto per raffinatezza e stilizzazione è certamente tra le opere più vicine al gusto gotico transalpino: le figure lineari e slanciate occupano uno spazio concreto e reale, i movimenti sinuosi svelano la grande abilità di Simone nel raffigurare l’introspezione psicologica: il ritrarsi, quasi spaventato, della Vergine alla rivelazione dell’Arcangelo.
Un’opera sontuosa la cui teatralità è amplificata dall’abbagliante fondo oro dal quale spiccano i raffinatissimi dettagli del marmo del pavimento, del manto a scacchi dell’angelo e le sue ali variopinte, del libro socchiuso tra le dita della Vergine, fino al vaso di gigli bianchi, simbolo del figlio di Dio e della purezza di Maria.
Il trasferimento ad Avignone e gli ultimi anni
È probabilmente il gusto raffinatissimo e l’attenzione per i dettagli che portano Simone ad essere molto apprezzato dalla corte papale di Avignone, dove infatti si trasferisce nel 1336.
Proprio qui entra in contatto con grandi esponenti della cultura internazionale ma anche italiana. È significativo, infatti, il rapporto che si crea con Francesco Petrarca (1304-1374), per il quale Simone realizza una delicatissima miniatura detta Allegoria virgiliana (Biblioteca Ambrosiana di Milano, A 79 inf.) e un ritratto dell’amata Laura, purtroppo oggi andato perduto.
Il poeta, colpito profondamente dall’abilità e dalla delicatezza dello stile dell’artista, loda il suo talento in due sonetti del Canzoniere (77 e 78).
Ad Avignone, Simone Martini lavorerà per il Palazzo dei Papi ma anche per committenti privati, tra questi i cardinali Jacopo Stefaneschi e Napoleone Orsini.
Documenti ci confermano la morte avvenuta nel 1344 ad Avignone e il 4 agosto dello stesso anno il funerale celebrato nella chiesa di San Domenico a Siena.
Con la sua scomparsa si conclude la splendida stagione della scuola senese, i suoi allievi e collaboratori infatti si perdono nell’anonimato, rafforzando il ruolo e la statura di questo artista straordinario.
Foto di copertina: Ritratto di Simone Martini nell’edizione del 1769/75 delle Serie degli uomini i più illustri nella pittura, scultura, e architettura, Giovanni Battista Cecchi
Siena, 1284 – Avignone, 1344
Pittura
Galleria
«Ma certo il mio Simon fu in paradiso»: il pittore e miniatore del gotico senese in Europa (Francesco Petrarca, Canzoniere, sonetto 77).
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