Tra i molti meriti che dobbiamo a Dante Alighieri, ce n’è almeno uno indiretto e piuttosto curioso che forse non tutti conoscono: la riabilitazione del palazzo del Bargello di Firenze. È in questo storico edificio, uno dei più antichi della città, che nel 1840 fu riscoperto il ritratto di Dante ad opera di Giotto, già citato da Vasari nelle sue Vite.
Il ritrovamento dell’affresco, tuttora visibile anche se in cattivo stato di conservazione, diede il via ai lavori di ristrutturazione e riconversione del palazzo, che il 22 giugno del 1865 divenne il primo Museo Nazionale italiano dedicato alle arti del Medioevo e del Rinascimento.
Oggi il Museo del Bargello conserva una delle raccolte di scultura e arti applicate più importanti del mondo, risultato dell’unione della collezione medicea e delle donazioni private di conventi e altri musei (tra cui gli Uffizi).
Visitare tutte le 16 sale richiede circa 2 ore di tempo: in questa guida abbiamo selezionato alcuni dei capolavori che hanno segnato la storia di Firenze – e non solo – che ti consigliamo di non perdere.
La Sala di Michelangelo e le sculture del Cinquecento
Costruito nel XIII secolo come palazzo del Capitano del Popolo, dal 1574 fino alla seconda metà dell’Ottocento, il Museo del Bargello divenne la sede del Capitano di Giustizia (detto il Bargello). I suoi ambienti vennero quindi modificati e suddivisi per ospitare le carceri e le diverse magistrature. La stessa sorte toccò all’attuale Sala di Michelangelo che nei restauri successivi fu riportata all’imponente volume iniziale, come la vediamo tuttora.
Situata al piano terra, questa grande sala è così chiamata proprio per via delle sculture cinquecentesche e quelle del Buonarroti che vi sono esposte, prodromi ed emblemi di quella felice stagione artistica che ancora oggi non ci stanchiamo di ammirare.
Il Bacco di Michelangelo Buonarroti
Stupisce oggi pensare che un’opera di Michelangelo possa non essere apprezzata, eppure è quello che successe al suo Bacco (1496-1497), commissionato dal cardinale Raffaello Sansoni Riario per il palazzo della Cancelleria a Roma, e subito ceduto al banchiere Jacopo Galli.
È la prima volta che Michelangelo si confronta con la scultura monumentale (207 cm di altezza) e per farlo rappresenta Dioniso con le fattezze di un adolescente nudo: nella mano destra alzata una coppa di vino, nella sinistra – abbassata lungo il corpo – un grappolo d’uva che un piccolo satiro tenta di morsicare alle sue spalle.
L’abilità di Michelangelo nel rappresentare il corpo umano e la sua conoscenza della scultura classica sono già evidenti, ma il tratto davvero singolare di questa statua in marmo è la posa. Il giovane appare infatti in equilibrio precario, instabile nel modo in cui il busto si inclina mentre una gamba si solleva: una postura del tutto insolita per il soggetto e di cui non risultano precedenti greci o romani.
Non sappiamo se sia stata questa invenzione michelangiolesca o qualche altro aspetto a deludere il cardinale, ma è sicuramente ciò che valse all’opera il titolo popolare di Bacco ubriaco. Un’ebbrezza che lo sguardo distante, perso nel vuoto, del dio sembrerebbe confermare.
Il Bacco fa parte delle collezioni medicee dal 1572: esposto inizialmente agli Uffizi, venne trasferito al Bargello alla fine dell’Ottocento dove oggi affianca anche altre opere di Michelangelo Buonarroti (1475-1564). Dopo essersi soffermati su ciascuna di queste, consigliamo di volgere lo sguardo a un’altra scultura in cui l’equilibrio è protagonista: il Mercurio volante di Giambologna.
Il Mercurio volante di Jean de Boulogne (detto Giambologna)
Di origine fiamminga, Jean de Boulogne (1529-1608) detto Giambologna trascorse gran parte della sua vita a Firenze, dove avviò una fiorente bottega capace di attirare artisti internazionali e di guadagnarsi commissioni di prestigio.
Tra i principali estimatori del Giambologna c’è anche la famiglia Medici per la quale il Mercurio alato, scultura in bronzo, viene realizzato nel 1580. Destinato alla residenza medicea a Roma, dove rimane a completamento di una fontana per due secoli, il Mercurio alato viene riportato a Firenze per volontà del granduca Pietro Leopoldo di Lorena, che volle collocarlo agli Uffizi. Nel 1870 è quindi spostato, insieme ad altre opere, al Museo del Bargello, dove oggi lascia increduli turisti ed estimatori di tutto il mondo.
Dinamico e leggiadro, il messaggero degli dei raffigurato da Giambologna si presenta come un giovane dalle forme eleganti e dalla posa audace. Il corpo è proteso verso lo spettatore, il viso rivolto altrove. Al braccio destro allungato con l’indice puntato in alto fa eco la gamba slanciata verso il vuoto, mentre tutto il lato sinistro funge da contrappeso. Una composizione mirabile e ardita, completata da quello che è probabilmente il dettaglio più spettacolare dell’opera: il perno di bronzo a forma di sospiro di Zefiro su cui si regge l’intera scultura. Sorretto dal vento, il Mercurio alato sembra davvero sul punto di spiccare il volo e abbandonare per sempre ogni gravità terrena.
Quella che oggi ci appare come una scultura interamente bronzea era in origine corredata da un caduceo in legno su cui si attorcigliavano serpenti in cera.
Un materiale, la cera, comune ai bozzetti e ai modelli preparatori dell’epoca. In questa stessa sala è possibile vederne un altro, questa volta di Benvenuto Cellini (1500-1571), raffigurante Perseo con la testa di Medusa a cui probabilmente seguì l’analogo in bronzo, anch’esso esposto qui. Entrambi dovettero fungere da prototipi per la realizzazione della scultura che si trova oggi nella Loggia dei Lanzi, in Piazza della Signoria.
A riprova che il tema mitologico, e tra tutti quello di Medusa, col quale anni dopo si cimentò anche Caravaggio,- visse una lunga e felice riscoperta.
Il Salone di Donatello e la scultura quattrocentesca
Proseguendo nella visita, salito il grande scalone che conduce alla loggia del piano superiore, si entra nel trecentesco Salone di Donatello.
Qui sono esposti i capolavori di Donatello e della scultura del Quattrocento, da Ghiberti a Brunelleschi a Luca della Robbia. Ed è qui che venne allestita, sul finire del XIX secolo, la prima grande mostra dedicata al maestro fiorentino.
Proprio dal padre della scultura rinascimentale, ti consigliamo di iniziare l’esplorazione di quest’area del museo.
Il San Giorgio di Donatello
Varcata la soglia della sala, sulla parete destra, si trova la grande statua che un tempo completava una delle quattordici nicchie esterne della Chiesa di San Michele in Orto, nota anche come Orsanmichele, a Firenze. Il progetto di decorazione dell’Oratorio prevedeva infatti che fossero celebrate le Arti cittadine attraverso la rappresentazione del loro santo protettore.
La corporazione dei Corazzai e degli Spadai incaricò Donatello (1386-1466) di realizzare un San Giorgio, santo guerriero, che ben si prestava allo scopo.
È il 1417 circa quando Donatello termina la scultura che segna la fine di ogni legame con la tradizione gotica, per inaugurare uno stile nuovo, più vicino alle opere dell’antichità classica, che si ritiene avesse avuto modo di studiare durante la sua permanenza a Roma. Il suo San Giorgio è infatti un giovane eroe dall’aspetto maestoso, fermo e teso allo stesso tempo. Le gambe allargate a compasso, ben piantate a terra, lo scudo in piedi vicino al corpo conferiscono solidità e sicurezza a tutta la figura; mentre la parte alta del busto, in particolare la testa leggermente ruotata e l’espressione del volto con la fronte aggrottata e lo sguardo vigile, fanno presagire un movimento imminente.
È come se il santo avesse appena avvistato il pericolo e fosse pronto a reagire, magari imbracciando la lancia o la spada in bronzo, andata perduta insieme all’elmo, che in origine doveva stringere nella mano destra.
Alla base del San Giorgio è ancora conservata un’altra prova dell’abilità rivoluzionaria di Donatello: la predella in marmo che raffigura San Giorgio che uccide il drago, liberando la principessa. Si tratta del primo esempio di “stiacciato” ovvero di schiacchiato, una tecnica scultorea che prevede un rilievo bassissimo che sfrutta la luce naturale per dare volume e leggibilità a forme e fisionomie. E nel farlo, Donatello ricorre – per la prima volta nella storia della scultura – alla prospettiva di Brunelleschi, costruendo con precisione matematica lo spazio che circonda la scena principale. I primati di Donatello non si esauriscono qui e per vederne da vicino un altro, forse il più famoso, basta spostarsi di qualche passo verso il centro della sala.
Il David in bronzo di Donatello
Del David Donatello realizzò più di una versione (è qui presente anche il David in marmo del 1412-1416 ca.), ma quella che di certo non può essere ignorata è probabilmente l’opera per cui l’artista è più conosciuto. Ci riferiamo al David, il primo nudo in bronzo del Rinascimento.
Datazione e origine sono incerte, molti studiosi lo collocano intorno al 1440, prima cioè della partenza di Donatello per Padova. Anche le interpretazioni sono molteplici, e l’unica informazione certa che abbiamo è che fosse parte delle collezioni medicee fin dal 1469.
Dal punto di vista iconografico, il David appare come un giovinetto imberbe, vestito solo di un insolito copricapo a punta e dei calzari che gli coprono la gamba fino alle ginocchia. Ai suoi piedi, la testa di Golia senza vita. La posa riprende fedelmente il “contrapposto” della scultura classica: al braccio destro, disteso, che sorregge la pesante spada utilizzata per uccidere il gigante corrisponde la gamba sinistra sollevata; la gamba destra tesa fa da perno al corpo, bilanciata dal braccio sinistro piegato, nella cui mano si nasconde il sasso usato per tramortire Golia. Un chiasmo reso particolarmente sinuoso dall’eleganza delle forme, che poco si associano all’iconografia del soggetto biblico, spesso ritratto eroico e trionfante. Il David di Donatello è infatti un adolescente che celebra la sua vittoria con pacata soddisfazione e consapevolezza.
Il David in bronzo di Verrocchio
Vicino al David di Donatello è esposto anche un altro David, realizzato da Andrea Di Francesco detto Andrea Del Verrocchio (1435 – 1488), circa trent’anni dopo.
Commissionato dalla famiglia Medici, probabilmente a seguito di un viaggio dell’artista a Roma come riferisce il Vasari, il David del Verrocchio ricorda il precedente donatelliano nella posa e nell’eleganza, anche se non ne eguaglia la tensione psicologica.
La scultura, bronzea, ritrae un giovane uomo dall’aspetto gagliardo: la figura snella e atletica conserva tutta la vitalità e l’energia dello sforzo fisico appena compiuto, come rivelano le vene in rilievo lungo il braccio destro, che tiene la spada.
I muscoli del petto e della vita sono disegnati perfettamente sotto al farsetto, giubbetto tipicamente maschile indossato nel Medioevo, mentre una leggera gonnella copre il pube e parte delle gambe.
L’aria spavalda, quasi arrogante, del David deriva però dal suo viso: il sorriso compiaciuto di chi ha avuto la meglio in un’impresa di immane difficoltà.
Pensiero diffuso è che il volto del David abbia le fattezze del giovane Leonardo Da Vinci, che aveva iniziato come apprendista nella bottega del Verrocchio.
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Il Marzocco di Donatello
La visita al Salone di Donatello non può prescindere dal mitico Marzocco (1418-1420 circa) di Donatello. Simbolo della città di Firenze, la statua fu commissionata a Donatello per un’occasione importante e ufficiale: la visita di papa Martino V nel 1419. Il Leone seduto, che ferma con la zampa destra lo scudo raffigurante l’effigie del giglio – insegna del Comune di Firenze – era destinato allo scalone di Santa Maria Novella, dal quale si accedeva agli appartamenti papali. Lo scalone venne in seguito demolito e all’inizio dell’Ottocento il Marzocco venne esposto in Piazza della Signoria, per poi passare – a metà del secolo – prima agli Uffizi e poi al Bargello.
Meno nota di altre opere di Donatello, questa scultura dimostra nondimeno tutto il realismo di cui l’artista era capace, probabilmente dovuto anche all’osservazione diretta che Donatello fece dei leoni del serraglio accanto a Palazzo Vecchio.
La Madonna della mela di Luca della Robbia
La Madonna della mela venne realizzata tra il 1442 e il 1444 da Luca della Robbia (1399/1400 circa-1482), il fondatore di una dinastia che per tre generazioni seppe custodire e perfezionare la tecnica scultorea da lui inventata: la terracotta invetriata o smaltata.
Grazie a questo metodo originale, infatti, la terracotta diventava impermeabile e brillante e, trattandosi di un materiale semplice, si prestava a una produzione molto vasta, come fu quella dei Della Robbia, ai quali sono dedicate altre due sale del Museo.
I lineamenti del viso della Vergine, con lo sguardo rivolto verso il basso, mentre tiene tra le braccia il Bambino con una mela in mano, accentuano l’atmosfera di dolcezza e intimità della scultura. Le due figure bianche e luminose si stagliano su un fondo blu compatto e uniforme, ad aumentare il candore e la tenerezza della scena. Tratti stilistici, questi ultimi, che saranno cari a Luca della Robbia e ai suoi successori, capaci di modellare corpi e composizioni con un mezzo mai usato fino a quel momento.
Il Sacrificio di Isacco di Ghiberti e di Brunelleschi
Frutto di una delle competizioni più celebri del primo Rinascimento e sulla stessa parete del San Giorgio di Donatello, si trovano due bassorilievi in bronzo.
Si tratta infatti di due formelle dello stesso soggetto, il sacrificio di Isacco, una di Filippo Brunelleschi (1377-1446) e l’altra di Lorenzo Ghiberti (1378 – 1455). Entrambe presentate in occasione del concorso del 1401 bandito dall’Arte di Calimala (la corporazione fiorentina dei commercianti di lana) per la realizzazione della decorazione della porta Est del Battistero. Ma quale sarà stata l’opera vincitrice?
Secondo alcune fonti, fu la stessa corporazione a stabilire formato e contenuto, definendo quali personaggi dovessero comparire e quale circostanza dell’episodio biblico fosse da rappresentare.
Questo spiegherebbe perché sia Brunelleschi che Ghiberti – gli unici di cui ci sono rimaste le proposte – si concentrano sull’istante in cui Abramo, sul punto di sacrificare il figlio Isacco in nome di Dio, viene fermato dall’angelo.
Un’azione che Brunelleschi raffigura in tutta la sua drammaticità e tensione: Abramo stringe con la mano sinistra il collo di Isacco, mentre la destra gli punta alla gola il pugnale. L’angelo interviene appena in tempo, bloccando il braccio di Abramo e creando una triangolazione di gesti che movimenta maggiormente la scena.
Decisamente più ordinata e armonica la composizione presentata da Ghiberti che, forse proprio per queste qualità, convinse i giudici ad assegnargli la commissione dell’intera porta. Anche in questo caso, Abramo si piega minaccioso sul figlio ma non c’è nessun contatto diretto tra i due né con l’angelo, che riesce a impedire l’uccisione di Isacco con la sua semplice apparizione.
Se la figura del padre ricorda ancora la conformazione a S tipica dello stile gotico, il corpo del ragazzo rimanda invece alla scultura classica, testimonianza di quella influenza umanistica e naturalistica che vedrà il suo compimento nei decenni successivi, con gli artisti del pieno Rinascimento.
Le altre sale del Museo del Bargello
Come detto all’inizio, al Museo del Bargello sono confluite alcune delle più importanti sculture del Rinascimento, ma anche numerosi manufatti quali bronzetti, maioliche, avori, arazzi, sigilli, cere, smalti, ambre, mobili da tutto il mondo, oggi conservate nelle altre sale.
Rimanendo in tema di scultura, c’è ancora un’opera che merita un’osservazione ravvicinata.
Il Ritratto di Costanza Bonarelli di Gian Lorenzo Bernini
Una storia burrascosa accompagna questo busto in marmo di 72 cm che raffigura Costanza Bonarelli in un ritratto di vivace realismo che ha tutta la “freschezza e la schiettezza dei migliori lavori” di Bernini, per dirla con le parole di Ernst H. Gombrich.
Prova è della libertà e della cifra dell’artista che tra il 1636 e il 1638 ca. decide di scolpire il busto della sua amante. È in aperto contrasto con la consuetudine del tempo sia per la scelta del soggetto, una donna vivente, che per lo stile: la camicia aperta sul seno, i capelli raccolti morbidamente, lo sguardo attento e la bocca schiusa in un’espressione di momentaneo stupore. Una sensualità unica, quasi carnosa, che virtuosamente Bernini riesce a trarre dal marmo.
E carnale fu il rapporto tra Gian Lorenzo Bernini (1598-1680) e Costanza Bonarelli, moglie di uno dei suoi aiuti, Matteo Bonarelli, almeno finché Bernini non scoprì la relazione che parallelamente Costanza aveva anche con suo fratello, Luigi. Furioso di gelosia, Gian Lorenzo fece sfregiare la donna con un rasoio e tentò di uccidere il fratello.
Protetto e benvoluto dal papa Urbano VIII, non solo non subì conseguenze per il suo gesto, ma addirittura ebbe in moglie la donna più bella di Roma, Caterina Tezio. Come scrisse lo stesso pontefice – Gian Lorenzo era “nato per disposizione di Dio per portare luce a questo secolo e gloria a Roma” (e non per essere punito).
Negli anni seguenti, il ritratto di Costanza Bonarelli venne donato al Cardinale Giovan Carlo de’ Medici, quindi esposto agli Uffizi, e poi al Bargello – al centro della sala della scultura Barocca e del Medagliere – dove tuttora è testimonianza dell’originalità e della personalità di uno dei più grandi maestri del Barocco Romano.
La nostra guida termina qui, ma il Museo del Bargello riserva moltissime altre sorprese. Per questo ti consigliamo di preparare al meglio la tua visita, prevedendo un tempo congruo da dedicare a ogni sala e acquistando biglietto e guide in anticipo: il Rinascimento ti aspetta!