Firenze, Uffizi. Al secondo piano della Galleria d’arte Medievale e Rinascimentale, è conservata una delle opere più enigmatiche dell’arte occidentale – sicuramente da non perdere agli Uffizi: la Primavera di Sandro Botticelli (1445 – 1510). Esposta insieme ad altri capolavori del maestro toscano, la Primavera occupa gran parte della parete, ma non sono esclusivamente le dimensioni importanti e le figure a grandezza quasi naturale a catturare lo spettatore giunto qui dalle Sale del Duecento e Trecento. Destano stupore l’eleganza dei gesti e dei volti, l’armonia compositiva dei personaggi, la natura rigogliosa e dettagliata, l’atmosfera intima e incantata.
Iconografia, storia e interpretazioni sono state – e sono ancora – a lungo dibattute dagli studiosi e non sempre quella che oggi consideriamo una delle opere maggiori del Botticelli ha goduto della medesima fortuna critica. Vediamo dunque cosa si cela dentro e dietro questa grande tavola dipinta.
Iconografia della Primavera: cosa rappresenta il dipinto
“Per la città, in diverse case fece tondi di sua mani, e femmine ignude assai; delle quali oggi ancora a Castello, villa del Duca Cosimo, sono due quadri figuranti, l’uno, Venere che nasce, e quelle aure e venti che la fanno venire in terra con gli Amori; e così un’altra Venere, che le Grazie la fioriscono, dinotando la Primavera; le quali da lui con grazia si veggono espresse”. È di Giorgio Vasari la testimonianza più antica che abbiamo della Primavera di Botticelli.
Nell’edizione del 1550 delle sue Vite, infatti, Vasari ricorda così i due dipinti (la Nascita di Venere e l’Allegoria della Primavera) che a quell’epoca decorano la villa di Castello del Duca Cosimo de’ Medici.
Una descrizione parziale e parzialmente imprecisa (nella Nascita di Venere non è presente nessun dio dell’Amore, raffigurato invece solo nella Primavera), ma nondimeno importante poiché oltre a offrire un primo indizio sui soggetti raffigurati, ha infatti contribuito all’affermazione del nome con cui sarà principalmente nota l’opera nei secoli successivi.
Ma cosa rappresenta la Primavera?
La tavola, alta oltre 2 metri e lunga più di 3, ci apre ad un prato fiorito, cinto da un fitto boschetto di aranci, in primo piano si stagliano, quasi perfettamente allineate, nove figure. In posizione mediana, appena decentrata e arretrata rispetto alle altre, una donna finemente vestita e ornata di gioielli volge lo sguardo verso lo spettatore, inclinando leggermente il capo e alzando una mano in segno di saluto. Sopra di lei, un putto alato bendato sta per scagliare una freccia fiammeggiante verso un gruppo di tre donne, coperte solo da veli trasparenti, che danzano intrecciando mani. Sulla loro sinistra, un giovane uomo con aria pensierosa alza un braccio verso una nube. All’estremo opposto del dipinto si consuma un’altra scena: sbucando dal folto della vegetazione, una figura maschile di colore azzurro e le guance gonfie trattiene una giovane donna seminuda che nel fuggire, gli rivolge lo sguardo mentre una cascata di fiori fuoriesce dalla sua bocca. Accanto a lei, con indosso una veste fiorita e il ventre rigonfio, un’altra donna sembra intenta a spargere boccioli tutt’attorno.
Atteggiamenti, attributi e fonti storico-artistiche hanno permesso l’identificazione dei personaggi. Da destra verso sinistra vediamo Zefiro, vento primaverile, che plana sulla ninfa Clori, la feconda e la trasforma in Flora, dea della fioritura che – gravida – distribuisce i frutti della primavera. Alla sua destra, di poco arretrata, appare Venere, dea della bellezza, sopra di lei Cupido pronto a scoccare il suo dardo d’amore.

Oltre la dea, le tre Grazie velate (Eufrosine, Aglae e Talìa) danzano indisturbate, mentre Mercurio, il dio messaggero degli dei – riconoscibile dai calzari alati e dal caduceo – solleva il bastone al cielo per disperdere una nube, indifferente a quanto accade alle sue spalle.
Nonostante il grande equilibrio della composizione, si nota la mancanza di interazione tra i vari personaggi, fatta eccezione per il trio delle Grazie e per la coppia Zefiro-Clori. Aspetto che non è sfuggito agli studiosi e che ha contribuito ad alimentare le numerose letture critiche.

Se l’iconografia del dipinto è unanime (Venere regina del boschetto circondata da diversi personaggi mitologici), molto meno concorde è infatti la sua interpretazione. Un’interpretazione che dipende in parte dalla datazione che i diversi storici le hanno attribuito.
Genesi e committenza: una storia intricata
Come succede per molte opere, ricostruirne la genesi non è affatto semplice. La scarsa documentazione non ci ha permesso di avere una data certa e ha portato gli storici, incluso Ernst H. Gombrich, a collocarne la creazione tra il 1477 e il 1478. A quest’epoca, Lorenzo di Pierfrancesco dei Medici – destinatario dell’opera – aveva infatti da poco acquistato la villa di Castello, dove Vasari la vide alcuni decenni dopo.
Oggi si è tuttavia concordi nel datare la Primavera, nota anche come Giardino delle Esperidi o di Atlante, intorno al 1480 circa. Assente dagli inventari del 1494 della dimora di campagna, l’opera viene invece citata nel 1498 in quelli del palazzo di città che Lorenzo di Pierfrancesco possedeva in via Larga (oggi via Cavour) a Firenze.
In questi documenti si fa riferimento a “un quadro di lignamo appiccato sopra al letucio, nel quale è dipinto nove figure de donne ch’omini”. Al suo fianco sarebbe stata disposta un’altra opera di Botticelli, la Pallade e il centauro, anch’essa conservata agli Uffizi. La presunta vicinanza delle due e la loro correlazione è alla base di alcune ipotesi sui motivi politici che avrebbero spinto Lorenzo di Pierfrancesco de’ Medici a commissionare la Primavera al Botticelli.

Insieme al fratello Giovanni di Pierfrancesco, Lorenzo di Pierfrancesco apparteneva al ramo cadetto della famiglia. Escluso dal governo cittadino, fu sempre in contrasto con i cugini del lato principale, Lorenzo detto il Magnifico e suo fratello Giuliano de’ Medici, per ragioni finanziarie. Fu proprio a seguito di alcune vicissitudini economiche che coinvolsero il Magnifico che l’altro Lorenzo entrò in possesso della villa medicea a Castello. Giovane, colto e – a suo stesso dire – collerico, Lorenzo di Pierfrancesco appare oggi come il committente più probabile, anche se non certo, dell’Allegoria botticelliana.
Cosa significa la Primavera: le interpretazioni
“Ha osservato Panofsky, che la Primavera appartiene a quel ristretto numero di opere d’arte per le quali v’è da temere che non finirà di esser interpretata fin tanto che esisteranno storici dell’arte”. La citazione, tratta dal saggio di Horst Bredekamp dedicato alla tavola di Botticelli, riassume alla perfezione le difficoltà della critica nel trovare un’unica lente interpretativa per la Primavera.
Anzi, prosegue Panofsky nel volume Rinascimento e rinascenze nell’arte occidentale, “è significativo il fatto che […] le più serie interpretazioni finiscono per essere complementari anziché esclusive l’una dell’altra”.
Addentriamoci dunque nell’esame di alcune delle letture più autorevoli che convivono attorno all’opera.
L’origine letteraria
Secondo alcuni critici (Aby Warburg in primis), la Primavera ha un’origine letteraria e deriva, in gran parte, da una Stanza di Agnolo Poliziano dedicata alla giostra di Giuliano de’ Medici. Traendo ampio spunto dagli autori classici – Orazio, Ovidio, Virgilio e soprattutto Lucrezio – Poliziano inserisce infatti nel suo componimento diverse “immagini” che si accordano perfettamente con le figure rappresentate da Botticelli. Sarebbe stato lo stesso Poliziano a suggerire le medesime fonti al pittore, affinché vi si ispirasse. Venere, dea della bellezza, abita il regno di Amore e diviene personificazione della Natura e della fertilità primaverile. Le tre Grazie sono da intendersi come simboli di voluttà e castità dal cui gioco deriva la bellezza. L’opposizione tra castità e voluttà si ritrova anche nell’apparente contrasto tra Zefiro e Clori: nel fuggire, la ninfa si rivolge al suo inseguitore, quasi ne fosse al contempo attratta. Dalla loro unione nasce la Primavera, Flora.
Le radici filosofico-culturali
La chiave di lettura letteraria non è però la sola a fornire una spiegazione plausibile. È da tenere in conto infatti una stretta connessione tra il giovane Medici e l’ambiente neoplatonico capeggiato da Marsilio Ficino, Naldo Naldi e Giorgio Antonio Vespucci, precettori di Lorenzo di Pierfrancesco.
Proprio la concezione neoplatonica del mondo e la finalità didattica avrebbero influenzato la scelta dei soggetti e la loro successione. Seguendo questa scuola di pensiero, la Primavera di Botticelli rappresenta il percorso di crescita ed elevazione morale che Ficino intendeva per il suo discepolo: da destra a sinistra si passa quindi dalle pulsioni terrene (Zefiro che prende Clori), all’Amore passionale e intellettuale (Cupido e Venere), alla sublimazione delle tre Grazie (simboli del dare, ricevere e donare indietro), fino a Mercurio, la forma di intelletto più alta.

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I motivi politici
L’Allegoria della Primavera potrebbe anche riflettere i contrasti interni alla famiglia dei Medici. I richiami sono infatti numerosi: dalle fiammelle discendenti che decorano la veste di Venere e Mercurio – già emblemi di Lorenzo di Pierfrancesco – alle piante di alloro (laurus in latino, richiamo al nome di Lorenzo), ai frutti d’arancio (noti come mala medica). Con quest’opera, Lorenzo di Pierfrancesco avrebbe quindi voluto affermare la sua volontà di prevalere sul cugino nel governo e nell’amministrazione della città. La presenza di Flora, personificazione di Firenze (Florentia), e l’ambientazione del dipinto confermerebbero questa ipotesi. Il bosco di Venere, pieno di amore e rigoglio, diventa così luogo di rinascita e prosperità politica, oltre che ideale. Una tesi avvincente e convincente, che prevede anche uno slittamento in avanti – al 1489/90 circa – della sua data di realizzazione.

Il matrimonio
Infine, vale la pena ricordare l’interpretazione della Primavera come metafora nuziale, celebrazione dell’amore coniugale tra Lorenzo di Pierfrancesco e Semiramide d’Appiano, della famiglia dei signori di Elba e Piombino.
Il matrimonio, avvenuto nel 1482, sarebbe stata quindi l’occasione del dipinto, anche se non la sua prima ispirazione. Secondo alcuni critici, infatti, la tavola aveva lo scopo di celebrare gli amori di Giuliano de’ Medici, fratello di Lorenzo il Magnifico, con una certa Fioretta, ritratta come Flora. Dopo la morte di Giuliano nella congiura dei Pazzi, Botticelli avrebbe dunque rivisto iconografia e destinatario.

Curiosità e fortune alterne della Primavera
Queste sono solo alcune delle interpretazioni più accreditate, ma non mancano varianti e nuove letture, in un fiorire di teorie degno del nome e del soggetto dell’opera.
A proposito di fiori e di vegetazione, forse ti stupirà sapere che, oltre ai significati nascosti, nella sua Primavera Botticelli è riuscito a inserire ben 138 specie di fiori, rappresentati con dovizia di particolari e perfettamente riconoscibili. Viole, gelsomini, iris, rose, margherite, fiordalisi… creano una costellazione di colori sul fondo scuro del prato: perché non divertirsi a scoprirle tutte, magari durante una visita al museo con i bambini?
Se l’opera che oggi osserviamo agli Uffizi è così incantevole, è merito anche dell’accurato restauro condotto dall’Opificio delle Pietre Dure e Laboratori di restauro di Firenze, concluso nel 1982. Da questo intervento sono infatti riemersi i colori originali degli elementi, prima ricoperti da uno strato di vernice color giallo, frutto di precedenti ritocchi. Ed è anche stato possibile risalire alla composizione del dipinto. È così che gli storici hanno scoperto che Botticelli ha dipinto prima quasi tutti i personaggi, ad eccezione di Clori e probabilmente di Zefiro, e poi la vegetazione. Un dettaglio curioso e significativo del modus operandi dell’artista, che rivela i ripensamenti e le aggiunte messe in atto da Botticelli mentre eseguiva la tavola.
Ma è a metà dell’Ottocento, grazie anche agli studiosi inglesi, che assistiamo alla rivalutazione del Botticelli e della sua opera. L’atteggiamento antiaccademico e il rifiuto di Raffaello e del Cinquecento portarono i Preraffaelliti (così si fecero chiamare) a esaltare la qualità “primitiva” di Botticelli. Al punto che, nel 1880, Dante Gabriele Rossetti dedicò proprio alla Primavera un sonetto, dopo averne vista una riproduzione. Prima di allora, Botticelli era stato quasi del tutto dimenticato e così i suoi capolavori: la Primavera, esiliata alla villa di Castello, fu portata agli Uffizi solo nel 1815, dove attenderà ancora anni prima che le vengano riconosciuti il valore e la rilevanza che oggi ne fanno uno dei dipinti più iconici e amati della storia dell’arte.