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Manierismo

Doppio ritratto del Nano Morgante (fronte) - main image

Al tramontare del Rinascimento, l’arte e la letteratura in Italia subiscono un mutamento importante finendo per perdere molte delle caratteristiche formali e cromatiche tipiche del Quattrocento e della prima metà del Cinquecento: si apre la strada al Barocco.

Se la cultura rinascimentale nasce, cresce e influenza l’intera penisola partendo da una sola città, Firenze, il Manierismo comincia invece a diffondersi e a differenziarsi all’interno delle singole corti italiane. Molti degli artisti che si erano formati nella capitale toscana alla fine del XV secolo, all’inizio del 1500 cominciano a spostarsi a Roma, sotto la protezione di papi mecenati come Giulio II e Leone X. Le botteghe fondate nella città pontificia da maestri del calibro di Raffaello e Michelangelo, così come la suggestione prodotta dai loro lavori, sono di fondamentale importanza per le generazioni successive.

La Grande Maniera: origini e significato del termine Manierismo

Per capire l’origine del termine Manierismo dobbiamo risalire alla critica artistica del Settecento, influenzata dalle Vite del Vasari. Secondo questa visione, Leonardo, Michelangelo e Raffaello avevano raggiunto una perfezione artistica irripetibile.
Il loro stile veniva chiamato “la Grande Maniera” (dove Maniera significa appunto stile).
L’arte del Cinquecento rappresenta invece un tentativo di imitare quella perfezione ma con risultati inferiori. Il termine Manierismo è dunque volutamente dispregiativo e segna – sempre secondo la critica successiva – un’epoca di decadenza.

Questa definizione ha mantenuto a lungo l’accezione negativa con la quale è nata.
Oggi però gli storici dell’arte considerano il Manierismo un periodo di ulteriore rinnovamento, che riesce a gettare le basi del Barocco e possiede dignità e meriti propri. Elogiata dalle avanguardie del Novecento, l’arte manierista – sebbene parzialmente ispirata ai tre maestri del Secondo Rinascimento – porta con sé grandi novità e caratteristiche uniche.

Il Sacco di Roma e la diaspora artistica

Per la prima volta dalle invasioni barbariche del V secolo che avevano segnato la fine dell’Impero Romano in Italia, nel 1527 Roma viene assediata. Per giorni, i Lanzichenecchi assoldati dall’imperatore del Sacro Romano Impero, Carlo V d’Asburgo, imperversano in città saccheggiandola barbaramente.
Il Sacco di Roma ha diverse conseguenze. Si verifica infatti durante il pontificato di Clemente VII, papa della famiglia Medici che aveva riunito attorno a sé molti degli artisti che saranno poi definiti Manieristi. All’indomani della battaglia, la maggior parte di loro abbandona la città per stabilirsi nelle corti del centro e del nord Italia. Tra gli altri, fuggono dall’Urbe anche Benvenuto Cellini, Giulio Romano, Sebastiano del Piombo e il Parmigianino.

Se questa rappresenta la causa più eclatante della diffusione del Manierismo, non coincide però con la sua origine. I primi cenni di questo mutamento artistico e culturale risalgono infatti a circa un decennio prima, ancora una volta a Firenze. Intorno a 1515 artisti come Pontormo, Rosso Fiorentino e Andrea del Sarto, cominciano a rompere gli schemi classicheggianti tipici del Rinascimento. Personalità inquiete, che trasmettono con le loro opere il proprio disagio interiore, influenzate anche dalla recente impresa di Michelangelo: la Cappella Sistina. Proprio Rosso Fiorentino si trasferisce, nel 1523, a Roma portando con sé questa innovativa volontà di rottura e il desiderio di misurarsi con i grandissimi del recente passato.

L’arte del Manierismo: opere e caratteristiche

Nella pittura manierista gli artisti celano significati nascosti, enigmi, rebus culturali che solo i più istruiti riuscivano a decifrare. La letteratura è ugualmente complessa, un esercizio di stile per pochi. La raffinatezza e il carattere elitario della nuova corrente ricevono grande consenso da parte delle classi dirigenti e le corti europee accolgono di buon grado gli artisti in fuga da Roma. Questa nuova generazione di intellettuali, pittori, scultori e letterati comincia a parlare ad una cerchia molto ristretta di committenti colti e ricchi che desiderano opere per sé e non più per elevare la gloria della propria città.

Motivi e caratteri tipici

Caratteristica tipica dell’arte manierista è l’uso della figura serpentinata: i soggetti umani sono raffigurati in torsioni estreme, spesso innaturali, ma che trasmettono forza e inquietudine. L’uso del colore invece, contraddistinto da tinte forti e brillanti, sembra una diretta eredità della volta della Cappella Sistina.
La realtà vista attraverso gli occhi dell’artista manierista non è più vincolata alla natura o alla razionalità: le figure sono spesso lunghe e sinuose, i soggetti freddi ma al contempo carichi di una forte sensualità. L’arte diventa virtuosismo, una pratica sofisticata e molto difficile da interpretare.

Il Manierismo in pittura

Se da un lato abbiamo la produzione cortigiana, minuziosa e aggraziata, del Bronzino (allievo del Pontormo e ritrattista ufficiale di Cosimo I de’ Medici), dall’altro troviamo opere che si allontanano sempre più dai modelli classicheggianti dei predecessori.
L’arte vuole stupire, intrigare, sconvolgere. Non a caso in questo periodo assistiamo alla realizzazione di quadri, affreschi e sculture incentrati sul grottesco e sull’illusione prospettica. Intere sale vengono dipinte dal pavimento al soffitto creando architetture e paesaggi immaginari e fantastici. Esempio clamoroso di questo approccio alla pittura decorativa è il meraviglioso ciclo di affreschi realizzati a Palazzo Te a Mantova da Giulio Romano, uno dei più famosi allievi di Raffaello.

Costruito e decorato nell’arco di circa dieci anni (tra il 1525 e il 1535), Palazzo Te incarna i principi dell’architettura manierista. Sebbene sia stato parzialmente rivisto nei secoli successivi, conserva ancora molto delle invenzioni e delle intenzioni con le quali è stato edificato: creare una villa destinata espressamente all’ozio del principe Federico II Gonzaga (poi divenuto duca di Mantova) e all’accoglienza dei suoi ospiti.

La scultura manierista

In scultura la situazione è simile: molte delle opere sono realizzate con il preciso intento di esibire le proprie doti. Il celebre Ratto delle Sabine (1582) di Giambologna è un’unica e continua torsione di corpi, intrisa di violenza ed erotismo; mentre nel Perseo con la testa di Medusa (1545-1554) del Cellini è evidente l’attenzione estrema ai dettagli, anche i più minuti. Entrambe si trovano ancora nella collocazione originale, presso la Loggia dei Lanzi a Firenze, mentre la Galleria dell’Accademia custodisce il modello in terracruda del Ratto.

Il grottesco come mezzo per stupire

Erede di questo periodo sarà l’amore per il buffo, per l’inaspettato. L’obiettivo è sempre lo stesso: stupire. Il Nano Morgante (ante 1553) di Agnolo Bronzino conservato oggi a Palazzo Pitti, è una delle opere più rilevanti in questo senso. La tela è dipinta sia sul fronte che sul retro e ritrae il nano di corte nudo visto da entrambi i lati. Con quest’opera così curiosa, Bronzino voleva dimostrare la superiorità dell’arte pittorica su quella scultorea, capace di restituire la tridimensionalità del soggetto ma non il passare del tempo.
Oltre che per l’eccellente qualità pittorica, questo ritratto bifronte ci colpisce anche per il suo aspetto curioso, che anticipa il gusto per l’insolito e lo stravagante del Barocco.

Foto: Doppio ritratto del Nano Morgante, 1552, Agnolo Bronzino

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