Artista e letterato, Agnolo Bronzino (1503 – 1572) è stato autore tra i più poliedrici e prolifici della stragione manierista fiorentina e, per questo, grandemente lodato anche dai suoi contemporanei. Divenuto pittore ufficiale alla corte di Cosimo I de’ Medici, ne ritrasse la famiglia e realizzò affreschi e dipinti per le numerose dimore medicee. Questa posizione gli assicurò anche la benevolenza della nobiltà e dei ricchi mercanti della città, che a loro volta ne furono grandi committenti. Visse a Firenze gran parte della sua vita ed è qui che si conservano alcune delle sue opere più iconiche. Ne abbiamo scelte cinque che spiccano per maestria pittorica e notorietà: scopriamole assieme!
I temi sacri
Al centro di vicende politiche alterne ed equilibri sociali precari, Firenze nei primi decenni del Cinquecento è agitata anche da accesi dibattiti culturali e teologici. La crisi religiosa iniziata con la Riforma luterana scuote nel profondo la Chiesa di Roma e si ripercuote sulle élite intellettuali fiorentine, schierate – più o meno apertamente – con l’una o l’altra posizione.
Nel giro di pochi anni, la speranza di una revisione spirituale in seno alla Chiesa verrà abbandonata, schiacciata dalla Controriforma. Anche Cosimo de’ Medici, dopo essersi circondato di uomini riformati come Bartolomeo Panciatichi e Pietro Carnesecchi, “cambierà partito” sostenendo il papa. È dunque in questo clima che vanno inserite e lette le opere a tema sacro del Bronzino, frutto di richieste precise da parte della committenza, ma anche di un sentire religioso personale, che si trasforma nel corso del tempo.
1. La cappella di Eleonora di Toledo (1540-1545)
Gli affreschi nella Cappella di Eleonora di Toledo, a Palazzo Vecchio, rappresentano un capolavoro del manierismo e un omaggio al potere mediceo. Questo spazio intimo, creato per il culto privato della duchessa, fu progettato da Giovan Battista del Tasso e Giorgio Vasari1 e decorato da Bronzino tra il 1540 e il 1545, con il contributo successivo di Alessandro Allori, suo allievo prediletto.
Il cuore della cappella è la pala d’altare con il Compianto su Cristo morto, realizzata in due versioni. La prima, donata dal granduca al cardinale Granvelle, fu sostituita nel 1553 con una seconda versione, identica per soggetto ma dai toni più cupi.
Originariamente, l’opera dialogava con i laterali raffiguranti San Giovanni Battista e San Cosma, legati simbolicamente alla stirpe medicea (in quanto omonimi di Cosimo e Giovanni delle Bande Nere, suo padre). Successivamente, furono rimpiazzati dall’Annunciazione (1563-1564) voluta dalla duchessa e tuttora presente: sintomo di una mutata sensibilità spirituale, più vicina alle posizioni ortodosse della committenza.

Le storie di Mosè rappresentate alle pareti uniscono alla tematica sacra la celebrazione della famiglia Medici, come ben dimostra il Passaggio del Mar Rosso, con l’investitura di Giosuè da parte di Mosè. In questo affresco, Eleonora è raffigurata incinta del futuro granduca Francesco: una scelta che rafforza il richiamo dinastico della scena.
La cappella diventa così luogo di culto e propaganda, dove religione, arte e potere si intrecciano indissolubilmente.
2. La Discesa di Cristo al Limbo (1552)
Le influenze della Riforma si percepiscono anche nella tavola della Discesa di Cristo al Limbo (1552, Firenze, Museo dell’Opera di Santa Croce) che, lodata dal Vasari, verrà invece criticata solo pochi anni dopo da Raffaello Borghini nel suo Riposo2 (1584). Influenzato dallo spirito controriformista, il Borghini condanna infatti i nudi eccessivi e gli atteggiamenti licenziosi, la morbidezza delle membra e le cromie, capaci di distrarre i fedeli dalla preghiera.
Proprio la raffigurazione dei corpi possenti e muscolosi, le torsioni articolate, eredi della lezione di Michelangelo, insieme alla complessità della composizione e della sua interpretazione, fanno di questa tavola uno dei massimi esempi dell’arte manierista.
La scena appare decisamente affollata: al centro, Cristo libera le anime dei giusti non battezzati, secondo il vangelo apocrifo di Nicodemo. Sopra di loro, un gruppo di diavoli dalle fattezze mostruose si agita impotente.

Già Vasari aveva riconosciuto, nella folla di anime, i volti di alcuni contemporanei del Bronzino, oltre che dell’artista stesso. È lui il David (re poeta, come poeta era anche Agnolo) che si vede in alto a sinistra, con la veste blu e la mano tesa in segno di saluto verso il Salvatore, lo sguardo rivolto al suo vicino identificato come il pittore Bachiacca. Poco più sotto, i due uomini barbuti (Abramo e Mosè che regge le tavole) potrebbero essere rispettivamente Giovan Battista Gelli e Pier Francesco Giambullari, letterati e amici del pittore. Il Pontormo, maestro del Bronzino, e l’Allori, sono ritratti invece nella figura anziana in penombra dietro la spalla destra di Cristo e in quella giovane e imberbe sottostante. Accanto a lui, l’uomo calvo che riceve la salvezza potrebbe essere il committente dell’opera, Giovanni Zanchini, che l’aveva richiesta per la cappella di famiglia in Santa Croce. Benedetto Varchi, umanista sensibile ai temi religiosi, è raffigurato come il buon ladrone che sorregge la croce, in fondo.
Nel dipinto sono presenti anche le nobildonne fiorentine Costanza da Sommaia, nei panni di Giuditta, che guarda lo spettatore a destra e Camilla Tebaldi, sul lato opposto.Come per molte altre opere manieriste, decifrarne con certezza il significato non è cosa facile: oggi possiamo però intuire i numerosi livelli di lettura e i riferimenti colti raccolti in questo fitto intreccio di personaggi reali e allegorici, sguardi e azioni simboliche.
I ritratti
A Vasari – che sostituì il Bronzino alla corte medicea – i ritratti del collega sembravano “tanto naturali che paiono vivi veramente e che non manchi loro se non lo spirito”, come scrisse nelle sue Vite. Ed è vero che Agnolo fu particolarmente richiesto e apprezzato per questo genere.
Eleganti e raffinati, i suoi soggetti sono tutti caratterizzati da una specie di freddezza che – pur nella perfezione del tratto e nella credibilità della composizione – li fa apparire distaccati e lontani: espressione di bellezza ed elevazione morale.
3. I ritratti di Bartolomeo e Lucrezia Panciatichi (1541-1545)
Caratteristiche queste che ben si esplicitano nel Ritratto di Lucrezia Panciatichi (1541-1545, Firenze, Galleria degli Uffizi), considerato da molti il capolavoro della ritrattistica di Bronzino. Nata Lucrezia di Gismondo Pucci, moglie dell’intellettuale e diplomatico Bartolomeo Panciatichi – immortalato in una tavola en pendant – è raffigurata di tre quarti, seduta su una savonarola decorata con grandi maschere, in una posa che prende ispirazione da Raffaello e che ne enfatizza la posizione sociale e intellettuale. Anche l’abbigliamento, descritto minuziosamente dal Bronzino, sottolinea l’appartenenza a un rango elevato: dall’abito di raso rosso lucido, con le maniche sontuosamente arricciate e decorate da preziosi nastri, al velo plissettato sul décolleté, fino ai gioielli indossati dalla giovane. All’acconciatura ornata si aggiungono infatti l’anello da sposa con smeraldo, la cintura di pietre dure che ne evidenzia il punto vita, e due collane: un girocollo di perle con pendente e una catena d’oro con barrette. Su questa seconda si leggono le parole amour dure sans fin: un richiamo all’amore coniugale ma anche, probabilmente, al sentimento religioso. Nella mano destra Lucrezia tiene aperto un libro delle ore3, probabile riferimento alle convinzioni spirituali filoriformate della coppia. Sappiamo infatti che i coniugi Panciatichi erano vicini alla teoria luterana della giustificazione per sola fede e che nel 1552 furono processati per eresia dal tribunale dell’Inquisizione. Nobile e pia, Lucrezia si staglia – algida e bellissima – su uno sfondo scuro, che contrasta con la vivacità della sua veste, nel quale si intravedono una nicchia e due colonne con capitello ionico, associato alla castità e all’armonia delle proporzioni del viso femminile.

Molto più elaborata appare invece l’ambientazione del marito, ritratto in piedi con il braccio sinistro poggiato su un davanzale e la destra che stringe un libro privo di iscrizioni. Dietro di lui, una complessa scenografia di palazzi dalle proporzioni incongrue e dai molteplici punti di fuga. Pur richiamando aspetti architettonici tipici di Firenze e delle rappresentazioni michelangiolesche, questa sovrapposizione di piani prospettici ricorda i dipinti nordici ed è stata letta come un omaggio alla provenienza del committente (il cui stemma è visibile nell’edificio a destra). Bartolomeo infatti era nato a Lione e, dopo gli studi padovani, lì era tornato insieme alla moglie, per poi rientrare in Italia, a Firenze, nel 1539. Alle dipendenze di Cosimo de’ Medici intraprese numerosi viaggi in Francia dove probabilmente entrò in contatto con la corrente luterana.

Il Bronzino lo ritrae elegantemente vestito in compagnia del suo cane, la posa disinvolta e lo sguardo diretto allo spettatore. Come per Lucrezia, anche qui ci troviamo di fronte a una raffigurazione estremamente precisa del soggetto e della sua fisionomia: per rendersene conto, basta osservare la barba, separata in due coni com’era usanza allora, e tracciata quasi pelo per pelo.
La compita raffinatezza che caratterizza entrambi i coniugi Panciatichi non è però priva di espressività: la dimensione psicologica si coglie infatti nello sguardo vigile di Lucrezia, capace di catturare lo spettatore; o nella leggera tensione che attraversa il volto e le mani di Bartolomeo.
4. Il Ritratto di Eleonora di Toledo con il figlio Giovanni (1545)
All’epoca di questo ritratto, eseguito appena dopo quello del marito Cosimo in arme (oggi agli Uffizi), Eleonora aveva già dato alla luce quattro eredi maschi. Proprio il suo ruolo di sposa e madre è celebrato in questo dipinto che ne esalta parimenti l’autorevolezza politica, Eleonora aveva infatti sostituito più volte il consorte alla guida dello Stato durante le sue assenze.
Qui la vediamo in compagnia del secondogenito Giovanni, la cui sorte era stata tracciata fin dalla nascita: nei piani familiari sarebbe dovuto diventare papa, come già il suo antenato figlio di Lorenzo il Magnifico (Papa Leone X, nato Giovanni di Lorenzo de’ Medici), permettendo così di riavvicinare Firenze a Roma. Oggi sappiamo che il destino non lo permise: Giovanni morì cardinale prima di riuscire a soddisfare questa aspettativa.

Madre e figlio appaiono qui come figure ieratiche e monumentali: un’impressione enfatizzata dal punto di vista leggermente ribassato e dallo sfondo blu lapislazzuli nel quale si intravede un lontano paesaggio. Il color lapislazzulo era solitamente riservato al velo della Madonna e qui sta a richiamare le virtù cristiane di Eleonora. Altrettanto fanno le melagrane e le pigne che decorano il costosissimo abito in broccato d’oro, simboli di fertilità e unione coniugale. Abito con il quale Eleonora fu anche sepolta.
Quella della seta era una delle industrie che, sotto il governo di Cosimo, prosperarono a Firenze: l’abbigliamento della Toledo ne celebra la fortuna.
Altrettanto eccezionale è l’accurata rappresentazione dei gioielli di Eleonora, dagli orecchini di perle, alle due collane (la più lunga era forse un dono di nozze del duca) entrambe di perle, alla splendida cintura d’oro con pietre preziose e nappa di perline che le cinge la vita.
Eleonora, che si pensa avesse commissionato personalmente l’opera, è qui ritratta seduta – sempre secondo lo schema istituito da Raffaello per il ritratto di Leone X – salda nella sua posizione, lo sguardo diretto e l’espressione ferma. Un’immagine straordinaria e certamente indimenticabile di una donna potente, abile e consapevole delle sue capacità.
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5. Il Nano Morgante (ante 1553)
Insolito e curioso, il doppio ritratto del Nano Morgante chiude il nostro percorso alla scoperta delle più significative opere fiorentine del Bronzino. Una scelta non casuale dato che questo dipinto si annovera tra i più originali della storia dell’arte. Eseguito prima del 1553, rappresenta il buffone di corte Braccio di Bartolo detto Morgante visto nudo da davanti, sul recto, e da tergo, sul verso. Sebbene i nani di corte fossero spesso oggetto di scherno e violenze – e lo stesso Morgante, per quanto benvoluto da Cosimo, non fece eccezione – questo ritratto non ha alcuna intenzione degradante. La nudità, in parte celata da una straordinaria farfalla, non ha il carattere della derisione, anzi partecipa alla creazione di una scena evidentemente cara al suo committente.

Morgante era infatti addetto al divertimento del duca e, tra le sue mansioni, rientrava anche l’uccellagione. È in questa pratica che lo vediamo impegnato: prima, mentre solleva una civetta nella mano destra, dopo, a caccia conclusa, con le prede in pugno.
La dimensione temporale è ciò che ci aiuta nell’interpretazione dell’opera, nata probabilmente anche come risposta al cosiddetto “paragone”, la disputa sulla superiorità delle arti riportata in auge da quel Varchi che abbiamo già incontrato sopra. Chiamato a partecipare attivamente al dibattito, Bronzino rispose ma non nelle modalità previste. La sua lettera di replica al Varchi rimase infatti incompiuta e tra l’altro non arrivò in tempo per la pubblicazione. Al suo posto, spiazzando gli interlocutori, Bronzino presentò il Ritratto del Nano Morgante, una sua affermazione convinta del primato della pittura sulla scultura. Come? Attraverso la rappresentazione del tempo: la pittura, dimostrava qui il Bronzino, poteva recuperare la tridimensionalità caratteristica dell’arte plastica (da qui il ritratto bifronte), ma quest’ultima non avrebbe certo potuto immortalare il passare del tempo, il prima e il dopo, che invece Bronzino mirabilmente presenta qui.
Ma se questo è il messaggio più evidente della tavola, certo è che ancora cela numerosi significati che Bronzino volle inserire, come doppi sensi e allusioni alla poesia burlesca, della quale egli stesso era autore.
Iperrealismo e raffinatezza straordinari, allegorie e simboli enigmatici: le opere del Bronzino sono una sintesi conturbante di bellezza e mistero, manifestazioni clamorose dello spirito manierista fiorentino.
1 Artista, architetto e uomo di lettere alla corte dei Medici, Giorgio Vasari (1511-1574), fu anche autore de Le vite de’ più eccellenti architetti, pittori, et scultori italiani, da Cimabue insino a’ tempi nostri (edito nel 1550 e nel 1568, con aggiunte), opera fondamentale per la storiografia artistica italiana.
2 Il Riposo di Raffaele Borghini (letterato e commediografo fiorentino), pubblicato a Firenze nel 1584, è un dialogo ambientato nella villa Il Riposo di Bernardo Vecchietti, dalla quale prende il nome. Attraverso la conversazione tra i personaggi, il testo offre riflessioni su pittura e scultura, e notizie sugli artisti antichi e moderni.
3 I libri delle ore erano volumi devozionali cristiani contenenti preghiere e salmi, spesso miniati e illustrati, molto popolari nel Medioevo.