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Gioielli nell’arte: curiosità e significato dei monili dipinti

Gioielli nell’arte: curiosità e significato dei monili dipinti

gioielli nelle opere d'arte del rinascimento
gioielli nelle opere d'arte del rinascimento

Uomini di chiesa, cavalieri, re e principi, ma anche bambini, nobildonne, sante e cortigiane: sono molti i soggetti ritratti mentre indossano o maneggiano gioielli e oggetti pregiati. Ma quali sono le funzioni dei monili dipinti? E quali gli intenti? 
Tracciare la storia dei gioielli nell’arte significa ripercorrere contemporaneamente quella dell’oreficeria, del costume, della cultura e del commercio. Un viaggio affascinante che però difficilmente può essere racchiuso nello spazio di un articolo. 
I gioielli infatti acquisiscono via via significati nuovi, declinati sulla base del contesto sociale e della personalità dell’autore e del soggetto. Anche i materiali e gli stili cambiano nel corso del tempo, influenzati dalla moda, dagli eventi storici e dall’estro di chi li rappresenta. 

Ecco perché, nel trattare un argomento così vasto, abbiamo deciso di concentrarci qui solo su alcune tipologie di gioiello (più frequenti e facili da riconoscere, oppure curiose ed emblematiche) e su un’epoca che brilla per produzione e inventiva: il Rinascimento. A farci da guida in questo percorso, numerose opere, celebri anche per via degli ornamenti raffigurati: iniziamo! 

Il contesto storico-artistico

Nota per la sua chiarezza, l’attenzione al dettaglio e ricca di simbolismi, la pittura fiamminga del Quattrocento testimonia il crescente interesse dei committenti per l’oreficeria che, proprio in questi anni, vive un momento di importante sviluppo sia tecnico che stilistico. Oltre al duca Filippo il Buono e alla sua corte, anche la nuova borghesia mercantile, impaziente di dimostrare lo status raggiunto, diviene un rilevante committente per gli artisti. Si moltiplicano dunque i ritratti di uomini e donne descritti con precisione nelle vesti e nei gioielli, manufatti preziosi e rappresentativi della loro condizione sociale.  

La riproduzione della realtà caratterizza anche l’arte italiana che, dalla metà del secolo, subisce il fascino di quella fiamminga e ne imita il linguaggio. A questo si aggiunge l’interpretazione metaforica delle gemme che, secondo la tradizione antica, erano emblema delle virtù e pertanto significative del carattere di chi le indossava. 
Era comune per pittori, scultori e architetti, prima di esercitare le arti maggiori, formarsi  presso le botteghe degli orefici: da qui deriva la loro abilità nel rappresentare pietre e gioielli. 

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Anello: suggello di fede, rango e legame nuziale

Gli anelli erano diffusi fin dall’antico Egitto, usati come amuleti e simbolo dell’identità del portatore. A Roma gli anelli ornavano le falangi di tutte le dita, eccetto il medio, già allora responsabile del volgar gesto, e per questo chiamato digitus infamis. Il dito prediletto era invece l’anulare, così detto proprio in quanto sede del gioiello: un’usanza che si protrasse anche nel Medioevo e nel Rinascimento, rafforzata dalla convinzione che da quel dito passasse una vena collegata al cuore. Difatti, nei dipinti, gli anelli indossati all’anulare significano spesso il legame emotivo. Va però precisato che, oltre all’anulare di entrambe le mani (soprattutto la sinistra), in Italia l’anello nuziale era portato anche agli indici.

Un aspetto che rende difficile l’individuazione di quale sia l’anello matrimoniale nel Ritratto di Maddalena Doni visibile agli Uffizi insieme al suo sposo e corrispondente, il Ritratto di Agnolo Doni, entrambi di Raffaello (1504-1507). 
Maddalena indossa tre anelli gemmati, di cui due nella mano sinistra: un rubino all’anulare e un diamante a tavola all’indice. Sia il rubino, simbolo dell’amore, sia il diamante, emblema della durata nel tempo, sono candidati plausibili per un anello nuziale – o per gli anelli nuziali, poiché non era raro che lo sposo ne donasse più d’uno – e trovano una corrispondenza quasi perfetta con quelli di Agnolo. Un dettaglio sicuramente non casuale, che richiama l’unione della coppia e la reciprocità del loro sentimento.

ritratto di agnolo e maddalena doni raffaello
Ritratti di Agnolo e Maddalena Doni, Raffaello

Il rubino indossato a metà dito della mano destra, in linea con la moda del tempo, potrebbe indicare invece l’amore non ancora realizzato per un ipotetico figlio futuro.
Ma, restando in tema coniugale, gli anelli offrono un indizio utile anche per la lettura di altri dipinti. Ad esempio, l’uomo raffigurato da Lorenzo Lotto nel suo Ritratto maschile (1542 ca., Roma, Galleria Doria Pamphilj), pur rimanendo tuttora ignoto, è stato interpretato come un vedovo. A dircelo sono l’aria malinconica e l’indice puntato (gesto comune nell’arte del Rinascimento) verso i due anelli del mignolo: ancora una volta, un diamante e un rubino, probabilmente entrambi della moglie. Il costume del tempo prevedeva infatti che, alla morte della consorte, i gioielli donati dal marito rientrassero in suo possesso affinché potesse usarli per nozze successive.

ritratto maschilo lorenzo lotto
Ritratto maschile, Lorenzo Lotto

Una finalità diversa contraddistingue poi gli anelli di tipo cavalleresco e araldico, che indicavano l’appartenenza a una certa élite, oppure quelli altrettanto dimostrativi di alcuni ritratti fiamminghi. Uno su tutti: il Ritratto d’uomo con paesaggio di Hans Memling (1475 ca., Firenze, Uffizi). Dell’uomo vediamo la mano destra inanellata all’indice e al mignolo. L’ornamento del primo dito richiama la funzione del sigillo, suggerendo così un incarico importante e il suo uso per siglare diversi documenti. Del secondo, invece, la gemma à cabochon non è certa, probabilmente si tratta di uno smeraldo o un turchese, frequente nella gioielleria maschile per la sua presunta capacità di allontanare i pericoli. E tuttavia, la loro presenza nella mano destra (comunemente associata al lavoro manuale), serve proprio a ribadire la posizione altolocata dell’uomo, impegnato in qualche attività di tipo intellettuale o direttiva.  

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Ritratto d’uomo con paesaggio, Hans Memling

Pendente: ornamento e talismano

Il pendente – già noto in epoca romana – viene apprezzato molto anche nel Rinascimento in quanto ornamento dal forte valore simbolico e apotropaico. Di forma inizialmente semplice, con una pietra colorata incastonata e una perla pendente a goccia, il ciondolo si evolve e si articola sempre più, ospitando figure umane, animali e mostri. 
Il già citato Ritratto di Maddalena Doni offre ancora una volta uno squisito esempio di questa molteplice valenza decorativa, metaforica e protettiva. Nel suo pendente possiamo riconoscere infatti un rubino, simbolo di amore e di carità capace – si pensava – di dare conforto e vitalità; uno zaffiro, segno di fede e scudo contro malattie e insidie; e un piccolo smeraldo, indice di bellezza. Quest’ultimo, incastonato nel ventre di un liocorno, emblema di castità, alluderebbe alla gestazione (e quindi a una fertilità virtuosa), auspicata dalla coppia all’epoca ancora senza figli. Completa il gioiello una perla scaramazza, dallo stesso significato.

ritratto di eleonora gonzaga tiziano
Ritratto di Eleonora Gonzaga, Tiziano

Molto diverso è invece il pendente indossato da Eleonora Gonzaga della Rovere nel Ritratto realizzato da Tiziano (1536-1538), conservato agli Uffizi. Guardandolo da vicino, si nota infatti una croce che completa il cristogramma di diamanti IHS (Iesus Hominum Salvator), simbolo di fede: un tipo di manufatto piuttosto diffuso nel Cinquecento come talismano contro il demonio e la sventura
Ma il pendente non è l’unico dettaglio vistoso raffigurato nella tela. Impossibile non soffermarsi sulla martora dalla testa dorata e incastonata di pietre preziose che la duchessa stringe nella mano destra. L’animale, impagliato, era indossato dalle ricche signore del tempo, portato in mano o appeso a una catena legata in vita, come in questo caso. La testa e le zampe venivano sostituiti da analoghi in oro e gemme, facendone un accessorio di grande pregio e assai costoso, tanto da essere vietato da una legge suntuaria della metà del secolo.

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Ritratto di Lucina Brembati, Lorenzo Lotto

A proposito di pendenti curiosi, una menzione speciale va sicuramente allo stuzzicadenti. Il suo uso era noto fin dall’antichità, ma solo nel XVI secolo si afferma la moda di indossarlo come ciondolo. Realizzato in oro e impreziosito da gemme e smalti, assumeva spesso la forma di un corno, amuleto per eccellenza. Così, oltre alla pulizia dei denti, garantiva anche l’incolumità di chi lo portava. Un celebre esempio è il Ritratto di Lucina Brembati di Lorenzo Lotto del 1518 circa (Bergamo, Accademia Carrara). 

Pomander: un rimedio prezioso contro i cattivi odori

Cos’hanno in comune il Ritratto di Clarissa Strozzi di Tiziano (1542, Berlino, Gemäldegalerie) e il Ritratto di un uomo della famiglia Weinsberg di Bartholomäus Bruyn il Vecchio (1538-1539 ca., Madrid, Collezione Thyssen-Bornemisza)? In entrambi compare un pomander. Nel primo è appeso alla catena che cinge la bambina, mentre nel secondo è tenuto in mano dall’uomo. 

ritratto di un uomo della famiglia weinsberg bruyn il vecchio
Ritratto di un uomo della famiglia Weinsberg, Bruyn il Vecchio

Si tratta di una piccola sfera divisa in spicchi apribili e contenenti essenze e spezie. In un’epoca nella quale le abitudini igieniche lasciano piuttosto a desiderare, il pomander serve a coprire i cattivi odori e diffondere profumi gradevoli. Per lo stesso motivo, anche collane, orecchini e bracciali venivano profumati con paste odorose e ambra grigia.

ritratto di clarissa strozzi tiziano
Ritratto di Clarissa Strozzi, Tiziano

Non solo, era convinzione diffusa che il profumo fosse in grado di disinfettare l’aria, eliminando così il pericolo di contagio in caso di peste.
Secondo la medicina astrologica, inoltre, tali sostanze conservavano le energie positive dei loro elementi, che erano così trasmesse al loro proprietario attraverso il pomander: un binomio di pragmatismo e magia che abbiamo già incontrato per altri gioielli di questo periodo e che li rende ancora più interessanti all’occhio moderno.

Orecchini di perle, tra scandalo e ambiguità

Scomparsi in Occidente in epoca Medioevale, gli orecchini conoscono una rinnovata fortuna durante il Rinascimento a seguito della riscoperta dell’arte classica con le numerose immagini delle matrone romane ingioiellate. 
Particolarmente amati – e ambigui – sono gli orecchini di perle. Li ritroviamo infatti in numerosi dipinti di Tiziano, tra i quali il già citato Ritratto di Eleonora Gonzaga della Rovere e la sua enigmatica Venere di Urbino (1538 ca., Firenze, Uffizi). Una coincidenza che, insieme alla somiglianza dei lineamenti delle due donne, ha fatto persino supporre che si trattasse della stessa persona ritratta. Ipotesi poi abbandonata alla luce delle prove documentali, che confermano la riluttanza della duchessa a saldare il conto per la “donna nuda”, voluta fortemente dal figlio Guidobaldo della Rovere che così appellava la tela. 
Eppure, entrambe indossano monili simili: un dettaglio che contribuisce alla difficoltà d’interpretazione della Venere.  

venere di tiziano
Venere di Urbino, Tiziano

Sappiamo infatti che le perle erano associate alla purezza virginale di Maria e, per questo, usate spesso come ornamento nei dipinti che la ritraggono. D’altra parte, compaiono altrettanto spesso come attributo di Venere, dea della bellezza e dell’amore carnale. 
Va ricordato inoltre che a Venezia gli orecchini di perle erano vietati sia alle giovani non ancora promesse sia alle meretrici. Dunque come spiegare la loro presenza – insieme ad altri gioielli tipici dell’unione matrimoniale, come l’anello e il bracciale – alle orecchie della nuda e sensuale Afrodite del Vecellio? Probabilmente come un richiamo a una virtù solo apparentemente contraddittoria, fatta di bellezza e verginità: cortigiana e novella sposa convivono, l’una riflesso dell’altra. 

Ancora una volta, l’arte si conferma come porta d’ingresso privilegiata per scoprire storie – letteralmente – preziose, altrimenti poco note. La nostra indagine attraverso i gioielli che adornano donne e uomini del Rinascimento ci ha permesso di curiosare nelle vite, negli amori e nelle passioni del tempo.

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