Se c’è un periodo, nella storia dell’arte occidentale, caratterizzato da una profonda e diffusa rivitalizzazione delle arti, quello è certamente il Quattrocento. Durante questo secolo assistiamo a un intenso susseguirsi di innovazioni sia tecniche che formali, basate su un nuovo impianto ideologico, poi declinate in maniera originale nelle diverse aree europee. Una delle più prolifiche è quella fiamminga, che dal XV secolo in poi diventa sede di uno stile definito e riconoscibile: quello oggi noto come la pittura fiamminga. Vediamo quali sono i tratti salienti e i principali protagonisti.
Le Fiandre e “l’altro” Rinascimento
Nel Quattrocento le Fiandre occupano un territorio affacciato sul Mare del Nord, stretto tra Francia e Sacro Romano Impero e corrispondente agli odierni Paesi Bassi e Belgio. In quest’area, nata attorno al Ducato di Borgogna – più tardi annesso alla Francia – si concentrano numerosi centri urbani, come Bruges, Bruxelles, Gand e Anversa, densamente abitati e attraversati da viaggiatori e merci di ogni provenienza. Una realtà sociale e culturale vivace, animata dalla corte ducale e da una classe mercantile abbiente e desiderosa di affermarsi.
In questo contesto, nell’arco di pochi anni, gli artisti si allontanano dagli stilemi del Gotico internazionale per dare vita a una pittura nuova. L’esperienza artistica, inaugurata da autori come Jan Van Eyck e il fratello Hubert, gode di immediata e grande fortuna, influenzando rapidamente anche la pittura “meridionale”, dell’Italia in primis. La portata di questa innovazione, iniziata nel XV secolo, è tale che alcuni storici parlano esplicitamente di Rinascimento fiammingo.
I precursori della pittura fiamminga
Le origini della pittura fiamminga vanno ricercate nei codici miniati nei quali, all’inizio del Quattrocento, si individua un nuovo interesse per la rappresentazione del reale. Un aspetto che si ritrova soprattutto nelle miniature dei fratelli de Limbourg. Ingaggiati dal duca di Berry, tra il 1411 e il 1416 (data della loro morte) decorarono il codice Les très riches heures du duc de Berry (Chantilly, Musée Condé), poi terminato da altri miniatori. Oltre ai salmi e alle preghiere, il codice contiene un calendario diviso in dodici fogli a tutta pagina, ciascuno dedicato a un mese. Sullo sfondo del castello di Berry, raffigurato nei minimi particolari, si consumano scene di vita cortese e contadina, tutte accomunate da un naturalismo sorprendente sia per l’epoca che per il mezzo. Così, nel foglio di Febbraio strade e campi sono imbiancati e gli alberi spogli: sulla destra, una persona soffia per scaldarsi le mani, più in alto il taglialegna lascia orme fresche sulla neve. All’interno, una donna alza la gonna per scaldarsi al fuoco e lo stesso fa, poco più indietro, una coppia di contadini dei quali vediamo persino i genitali. Questa è considerata la prima rappresentazione di nudo della cultura fiamminga, se si escludono Adamo ed Eva e soggetti grotteschi. A Ottobre e Marzo il paesaggio cambia e con esso luci e ombre: come le cose vere, infatti, personaggi e animali miniati hanno un’ombra visibile, più leggera e dolce in autunno, più spessa e scura in primavera.
Caratteristiche e autori
Negli stessi anni, anche i pittori italiani si appassionano ai temi naturalistici ma, come sempre, con metodi e risultati diversi: complice la riscoperta dell’arte classica e le teorie di Brunelleschi, gli artisti nostrani, da Masaccio in poi, costruiscono i propri lavori secondo le nuove regole matematiche della prospettiva lineare.
Miniaturisti e artisti fiamminghi ricorrono invece a sofisticati effetti luministici e a una rappresentazione sempre più dettagliata e umanizzata, quasi aneddotica. Il dato reale è reso con estrema minuzia: superfici e materiali, di qualunque natura, sono restituiti perfettamente, particolare dopo particolare. Una differenza che Ernst H. Gombrich nel suo Storia dell’arte sintetizza efficacemente così: “ […] non si va lontano dal vero affermando che ogni opera che eccelle nella rappresentazione della bellezza esteriore degli oggetti, dei fiori, dei gioielli o dei tessuti sarà di un artista nordico, e più probabilmente di un artista dei Paesi Bassi; mentre una pittura dai contorni arditi, dalla prospettiva chiara e dalla sicura conoscenza del mirabile corpo umano, sarà italiana”.
Fortunatamente le due scuole non rimangono isolate a lungo, anzi si registrano felici influenze reciproche.
Jan Van Eyck e la rivoluzione della pittura nordica
Considerato l’iniziatore della pittura fiamminga, Jan Van Eyck ha un’indiscussa influenza sul piano tecnico, stilistico, figurativo. A servizio del duca Filippo il Buono, ma attivo anche nell’area corrispondente all’attuale Belgio, mette a punto una vera e propria rivoluzione che condizionerà la produzione artistica per i secoli a venire. Già Vasari lo aveva identificato, erroneamente, come l’inventore della pittura a olio: una tecnica nella quale, in effetti, Van Eyck eccelle. A differenza dell’uovo impiegato nella pittura a tempera, l’olio ha infatti tempi di essiccazione più lunghi e consente un’applicazione più lenta e precisa, con esiti ed effetti cromatici davvero stupefacenti.
Ecco allora che nei suoi dipinti i dettagli si moltiplicano e la luce dona a cose e persone una consistenza reale; pur in assenza di una costruzione prospettica rigorosa gli spazi non mancano di profondità.
Il Polittico di Gand (o Adorazione dell’Agnello mistico, 1426-1432, Gand, cattedrale di San Bavone), realizzato insieme al fratello Hubert è una delle tavole più esemplificative di questa impostazione. Alla sobria Annunciazione dei pannelli esterni fa da contraltare, all’interno, la maestosa Adorazione dell’Agnello. Ma è nelle figure laterali di Adamo ed Eva che scorgiamo un realismo tutto nuovo. Talmente nuovo e concreto, che nell’Ottocento furono sostituite da due copie vestite. Nudi, i corpi dei progenitori sono dipinti con tale fedeltà da far pensare a modelli veri: il colore della pelle, i peli e i capelli, le forme e le movenze – Adamo pare addirittura essere sul punto di uscire dalla cornice.
Ritroviamo un’analoga meticolosa descrizione nella Madonna del canonico Van der Paele (1436, Bruges, Groeningemuseum): la prima Madonna col Bambino, Santi e donatori non suddivisa in un polittico. Anche qui, la luce che avvolge la scena e i dettagli minuti delle vesti, degli oggetti e dei volti creano una composizione di grande naturalezza: osserva, ad esempio, i lineamenti del canonico inginocchiato a destra con il viso imbolsito e segnato dalle rughe. Nonostante l’inclinazione eccessiva del piano del pavimento, il tutto risulta estremamente credibile.
Il raffronto con la coeva Pala di San Marco di Beato Angelico (1437, Firenze, Museo di San Marco) e la Pala di Santa Lucia dei Magnoli di Domenico Veneziano (1446, Firenze, Uffizi) dà la misura dei risultati raggiunti da Van Eyck in questi anni.
Possiamo dire che proprio la ritrattistica è il genere nel quale il talento di Van Eyck si esprime meglio. Oltre al celebre Uomo col turbante (1433, Londra National Gallery), probabile autoritratto dell’artista, il famoso Ritratto dei coniugi Arnolfini (1434, Londra, National Gallery) è la sintesi perfetta dei virtuosismi della pittura di Van Eyck. Come una finestra aperta sulla vita dei due protagonisti, il dipinto rivela l’interno di una ricca abitazione dell’epoca, con oggetti dal forte valore simbolico tutt’attorno alla coppia, unita nell’atto dello sposalizio, i volti connotati ed espressivi. Ne deriva un’immagine dal carattere quasi fotografico, in cui dimensione reale e introspettiva si incontrano.
Rogier van der Weyden: la teatralità dell’arte sacra
Francese di origine (nasce Roger de la Pasture, poi tradotto in fiammingo), Rogier van der Weyden entra alla corte di Filippo il Buono dopo Van Eyck. Anch’egli prolifico e di successo, rispetto al suo predecessore predilige una composizione più teatrale, ma certo non meno accurata. Tra i suoi capolavori, ricordiamo la Deposizione di Cristo (1435 ca., Madrid, Museo del Prado) dove gli insegnamenti di Van Eyck si incontrano con la messinscena tipica dell’arte medievale. Il fulcro della rappresentazione è Cristo, staccato dalla croce da un gruppo di Santi. Il fondo è oro e la croce parzialmente visibile: la composizione si sviluppa in orizzontale. La posa del corpo senza vita di Gesù riecheggia in quella della Vergine svenuta, a stento sorretta da Maria Maddalena e San Giovanni. Gli altri personaggi sono immortalati in composte espressioni di dolore e mestizia. Un contrasto che concorre alla tragicità del momento e fa emergere con forza i suoi protagonisti.
Non abbiamo molte notizie di Van der Weyden, ma sappiamo che tra il 1449 e il 1450 visitò l’Italia, fermandosi a Roma, Firenze e Ferrara. I suoi contatti con l’arte italiana sono evidenti in alcune opere e soprattutto nel suo Compianto e sepoltura di Cristo (1450 ca. Firenze, Uffizi) che, pur riproponendo la costruzione della Pietà dell’Angelico (1438-1440, Monaco, Alte Pinakothek), testimonia allo stesso tempo la distanza tra i due naturalismi. Da una parte, la rappresentazione essenziale e perfettamente equilibrata di Fra Angelico, dall’altra la visione affollata ed esauriente di Van der Weyden, puntuale fin nei più piccoli dettagli.
Hugo van der Goes: verità e simbolismo
Se tra le opere di Van der Weyden riconosciamo elementi provenienti dall’arte italiana, il contrario accade con l’arrivo, a Firenze, dell’imponente Trittico Portinari (1477-1478, Firenze, Uffizi) di Hugo van der Goes, che fu di ispirazione per artisti quali Botticelli, Piero di Cosimo, Leonardo da Vinci e Domenico del Ghirlandaio che addirittura lo omaggia esplicitamente nella sua Adorazione dei pastori (1485, Firenze, Santa Trinita).
La monumentale tavola (quasi tre metri di altezza per oltre sei di lunghezza!) prende il nome dal suo committente Tommaso Portinari, banchiere dei Medici a Bruges, che l’aveva ordinata per la cappella di famiglia nella chiesa di Sant’Egidio a Firenze. Il trittico, dopo un lungo percorso via mare fino a Pisa, passando per la Sicilia, giunse in città nel 1483.
L’opera riassume magistralmente le conquiste dell’arte fiamminga e di Van der Goes. I tre pannelli ospitano, nel recto, la raffigurazione dell’Adorazione dei pastori con angeli e i santi Tommaso, Antonio abate, Margherita, Maria Maddalena e la famiglia Portinari e sul verso l’Annunciazione. Quest’ultima, rappresentata in monocromo, eleva alla potenza l’illusione del vero: è la pittura che simula la scultura che simula la realtà.
Il pannello centrale interno presenta invece l’Adorazione: al centro, la Madonna inginocchiata davanti al Bambino e circondata da Santi, persone comuni e angeli a terra e in volo. In alto a destra, un gruppo di tre pastori: ritratti in tutta la loro schietta ruvidezza, impersonano un sentimento di umana e franca devozione.
Le diverse dimensioni delle figure, alcune decisamente più piccole di altre, non sono legate, come si potrebbe pensare, a motivi prospettici ma ad un’antica convenzione gerarchica. Una caratteristica che, agli occhi dei suoi contemporanei, non inficiava la veridicità dell’opera, anzi essa raggiunge l’apice nella straordinaria natura morta del primo piano. Il doppio vaso di fiori avanzato sullo sfondo di un covone di frumento è ricco di significati allegorici: purezza e sangue della Passione di Cristo sono richiamati dall’iris bianco e dal lilium rosso, l’aquilegia viola anticipa il dolore della Vergine, il garofano allude alla Trinità, mentre il frumento ricorda il pane spezzato nell’Ultima Cena.
Il paesaggio sullo sfondo – animato da piccole scenette rurali – collega visivamente i tre pannelli dando un senso di continuità e unità all’opera. Nelle ante laterali, ai margini del soggetto principale, compaiono inginocchiati i membri della famiglia Portinari: a sinistra, il padre con i due figli Antonio e Pigello insieme ai due Santi Tommaso e Antonio abate; a destra, la moglie Margherita con la figlia Maddalena e le omonime Sante protettrici.
Dalle vesti ai dettagli della natura, tutto testimonia la grande precisione e capacità dell’autore di riprodurre la realtà.
Seppur molto stimato ed influente, Van der Goes ebbe però una breve carriera: all’età di quarant’anni, colto da una grande malinconia, si ritira a Bruxelles a vivere in convento, morendo poco dopo.
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I pittori fiamminghi agli Uffizi
Conoscere la storia dell’arte, oltre a essere piacevole, guida alla lettura delle opere e a comprenderne contesti e significati, anche se è sempre raccomandabile un’esperienza dal vivo. Stupirà forse sapere che una delle collezioni di pittura fiamminga più importanti d’Europa è conservata in Italia, nella Galleria degli Uffizi. Le sale, da poco rinnovate e dedicate a Fiandre, Olanda, Germania, ospitano il citato capolavoro di Van Weyden ma anche dipinti di Dürer, Cranach, Memling, Froment e altri artisti d’Oltralpe, collezionati dai Medici, grandi mecenati.
Tre ambienti dove la pittura nordica e quella italiana dialogano in uno scambio di intuizioni, sperimentazioni e influenze reciproche. Una raccolta unica, chemerita una visita!