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Negli occhi dell’artista: l’autoritratto nel Rinascimento

Negli occhi dell’artista: l’autoritratto nel Rinascimento

autoritratto nel rinascimento durer
autoritratto nel rinascimento durer

Oggigiorno attribuiamo grande valore all’autoritratto e ne diamo quasi per scontata l’esistenza, ma non è sempre stato così. Come per altri generi, anch’esso è il risultato di evoluzioni e varie interpretazioni che si sono susseguite nel tempo. Il germoglio di questa particolare categoria artistica risale al Rinascimento: è a quest’epoca di grande rinnovamento culturale che dobbiamo infatti la diffusione dell’autoritratto, in forme inedite prima di allora e ammirate ancora oggi.

Prima del Rinascimento: l’autoritratto nel Medioevo

Le notizie che riguardano il genere dell’autoritratto nell’antichità classica sono poche e, anche per questo, significative del suo (non) ruolo. Per iniziare a parlare di autoritratti bisogna attendere il Medioevo. 
È nel contesto dei monasteri e dei conventi, nella pratica di amanuensi e miniaturisti laici e religiosi, che troviamo le prime prove di autoritratto d’artista. Una tendenza che, come di consueto in questo periodo, non era priva di elementi simbolici e significati nascosti. 

Uno degli esempi più curiosi è l’autoritratto che il pittore boemo Hildebertus realizza nel XII secolo all’interno di una copia della Città di Dio di Sant’Agostino. Qui l’artista si è raffigurato in un ambiente domestico: seduto a gambe incrociate di fronte a un leggio sorretto da un leone, con sopra un libro aperto. Poco sotto di lui, il suo fidato aiutante Everwinus (identificabile da un’iscrizione) è intento a lavorare. Alle spalle di Hildebertus, un tavolo sopra il quale corre un topo, mentre un recipiente e il suo contenuto (un pollo arrosto) stanno cadendo, urtati dal ratto. Hildebertus è voltato verso il tavolo, fermato nell’atto di scagliare una pietra contro l’animale. La scritta latina visibile nelle pagine del libro recita: “Dannato topo, che mi inquieti così spesso!”. Il significato di questa scenetta bizzarra è in realtà una lode al lavoro stesso dell’artista, che, come Sant’Agostino, riesce a portare avanti le sue attività nonostante le distrazioni.
Allegorici più che rassomiglianti, questi tipi di autoritratti sono però ancora distanti dall’idea che abbiamo oggi del volto autentico dell’artista, pratica che inizia solo nel XV secolo grazie a nomi diventati illustri.

Autoritratto Hildebertus
Autoritratto, Hildebertus

Il Rinascimento e la diffusione dell’autoritratto

Con ogni probabilità, il primo autoritratto individuale dipinto della storia è l’Uomo col turbante realizzato nel 1433 da Jan van Eyck (al quale spesso viene attribuita anche l’invenzione della pittura a olio), oggi alla National Gallery di Londra.

Uomo col turbante Jan van Eyck
Uomo col turbante, Jan van Eyck

Un’opera senza committenti, forse nata con l’intento di tramandare ai propri eredi l’immagine di sé. Sappiamo però che non è l’unico autoritratto in cui si cimenta Van Eyck: l’anno successivo realizza infatti il famoso ritratto dei coniugi Arnolfini dove si pensa che egli stesso appaia tra gli uomini riflessi nello specchio convesso raffigurato al centro della tavola.

Coniugi Arnolfini Jan Van Eyck
Coniugi Arnolfini, Jan Van Eyck

Lo specchio – realizzato perlopiù in metallo levigato – era un oggetto noto in epoca medievale anche in virtù del suo simbolismo (mezzo di indagine interiore e mistica, più che fisica) e già diffuso nella pratica artistica, usato soprattutto per direzionare meglio la luce.
Eppure è con Leon Battista Alberti che lo specchio viene definitivamente abilitato come strumento di lavoro fondamentale per il pittore e l’autoritratto si afferma come genere a sé stante. Nel suo trattato quattrocentesco Sulla pittura, il grande letterato e architetto raccomanda infatti l’uso dello specchio per emendare la natura dai suoi difetti prima di dipingerla. Lo stesso vale per il volto dell’artista che, riflesso nello specchio, diventa materia di osservazione e quindi legittimazione pittorica, al pari di qualunque altro elemento.
Non è un caso inoltre che, nella prefazione all’edizione in volgare del suo scritto (1436), Alberti faccia riferimento a Lorenzo Ghiberti. Molti degli autoritratti di quel periodo erano infatti sculture, arte in cui il Ghiberti eccelse.

porta del paradiso lorenzo ghiberti
Porta del Paradiso, Lorenzo Ghiberti

Come è noto, Ghiberti è infatti l’autore delle porte in bronzo destinate al Battistero del Duomo Firenze (una commessa che gli valse un’accesa rivalità artistica con Filippo Brunelleschi). Ma non tutti sanno che in entrambe le porte, lo scultore inserisce un suo autoritratto
Le due teste, eseguite a distanza di circa vent’anni l’una dall’altra (la prima, nel 1420 circa, la seconda nel 1447-48) e visibili nelle cornici dei battenti, sono accomunate dalla medesima espressione del volto e dallo sguardo, dall’alto verso il basso, che riservano agli astanti. Ghiberti, il cui aspetto cambia con il passare dell’età, conserva la stessa aria austera e autorevole, e appare pienamente sicuro di sé e delle sue doti, come anche l’iscrizione della seconda porta testimonia: “Lo fece Lorenzo di Cione di Ghiberti con mirabile arte”. Una sicumera che anticipa di qualche anno la tendenza degli artisti a mostrarsi come figure eroiche.

L’artista come eroe e il mito del fanciullo prodigio 

Autocompiacimento e autocelebrazione caratterizzano i numerosi autoritratti dipinti da Andrea Mantegna e, in particolare, il mezzobusto in bronzo della fine del XV secolo per la sua nuova casa (poi posto a decorazione della sua cappella funeraria).

autoritratto andrea mantegna
Autoritratto, Andrea Mantegna

Ma non sono nulla in confronto all’evidente soddisfazione che dovette provare Albrecht Dürer nel realizzare le 16 immagini di sé che sono giunte fino a noi, spesso contrassegnate con la sigla “AD”. Egli si presenta al pubblico come incarnazione della bellezza e del buon gusto nordici: lo si vede negli abiti sontuosi, nei dettagli ricercati e soprattutto nella capigliatura. I boccoli dorati e fini sono rappresentati con cura estrema, specialmente nell’autoritratto di tre quarti del 1498 (al Prado di Madrid) e in quello frontale del 1500 (Alte Pinakothek, Monaco di Baviera) che riporta anche l’iscrizione programmatica: “Io, Albrecht Dürer di Norimberga, all’età di ventotto anni, con colori eterni ho creato me stesso a mia immagine”. Immagine alla quale Dürer era sicuramente abituato, dal momento che il suo primo autoritratto – un disegno a punta d’argento – risale al 1484, quando aveva solo 12 anni (anche se gli storici l’hanno intitolato Autoritratto all’età di tredici anni, conservato al Graphische Sammlung Albertina di Vienna). Un’età che a noi oggi può sembrare precoce per un autoritratto, ma che si spiega con un atteggiamento diffuso in quel periodo: quello del bambino prodigio.    

autoritratto albrecht durer
Autoritratto, Albrecht Dürer,

Il tema del giovane talentuoso, già caro alla classicità e recuperato nel Rinascimento, si impose tra gli artisti che, nelle loro opere e nelle loro autobiografie, vantano spesso un’abilità prematura, stimolata non dagli insegnamenti ma innata. Un caso eclatante è quello di Michelangelo, che nei suoi ultimi anni dichiara di disprezzare il Ghirlandaio, suo maestro, e afferma di non aver mai appreso niente da lui. 

Alternativa al modello della gioventù geniale e irriverente, ecco il Diletto Giovane nel quale il discepolo offre bellezza e il maestro saggezza, in un rapporto di reciproco riconoscimento. Ne sono esempio l’Autoritratto di Raffaello del 1506, oggi agli Uffizi, e l’Autoritratto in uno specchio convesso del Parmigianino (1524 circa, al Kunsthistorisches Museum di Vienna). Nel primo, l’Urbinate – notoriamente bello – si ritrae con fattezze delicate, sottraendo anche qualche anno alla sua vera età.

autoritratto raffaello
Autoritratto, Raffaello

Lo stesso succede nell’opera del Parmigianino che, pur avendo allora ventun anni, si rappresenta come un giovane imberbe. Motivo di fascino per i contemporanei fu sicuramente la forma della tavola, leggermente ricurva, che condiziona anche l’aspetto dello sfondo (senza però intaccare il viso dell’artista, a dispetto delle leggi fisiche). La mano sinistra inanellata rappresenta un’offerta di amore platonico per la committenza, il papa Giulio de’ Medici. A questo ritratto, tra i più famosi dell’epoca, Vasari dedica la descrizione più lunga delle sue Vite dopo la Monna Lisa di Leonardo.

autoritratto entro uno specchio convesso parmigianino
Autoritratto entro uno specchio convesso, Parmigianino

La caduta dell’eroe: gli autoritratti dissacranti

Di segno completamente opposto, gli autoritratti antieroici o persino comici e grotteschi che si sviluppano negli stessi anni e che avranno altrettanta fortuna anche oltre. Il soggetto non è più raffigurato al culmine della sua bellezza ma, al contrario, nella vecchiaia e, in qualche occasione, nella miseria spirituale. Si spiega così l’autoritratto di Michelangelo come corpo svuotato nel Giudizio universale della Cappella Sistina: una pelle avvizzita, senza vita, sorretta da San Bartolomeo. I documenti lasciati da Michelangelo testimoniano l’immane fatica che l’artista dovette compiere per terminare gli affreschi della Sistina e non è improbabile che questa immagine rifletta questo stesso senso di svuotamento fisico. 

giudizio universale michelangelo
Giudizio Universale, Michelangelo

Tiziano Vecellio iniziò a ritrarsi solo in tarda età e c’è chi sostiene che tendesse a invecchiare il proprio aspetto sia per motivi allegorici (il realismo di un corpo che presto sarà abbandonato dall’anima), sia pratici. È nota infatti la sua avidità e il richiamo costante alla morte prossima nelle lettere ai committenti poteva essere un modo per indurli a pagare in fretta.

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Ironia caricaturale e autocommiserazione sono il filo rosso che accomuna numerosi autoritratti di Michelangelo Merisi, detto Caravaggio. Consapevole dei propri costumi licenziosi e delle sue frequentazioni poco ortodosse (ben richiamate anche nell’omonima pellicola di Derek Jarman, del 1986), il giovane Merisi si rappresenta come Bacchino malato dal colorito verdognolo e in atteggiamento provocante: nulla a che vedere con l’enfant prodige dei suoi predecessori!

bacchino malato caravaggio
Bacchino malato, Caravaggio

O ancora, come semplice astante intento a scappare inorridito nel Martirio di San Matteo (presso la Chiesa di San Luigi dei Francesi, Roma) o nei panni di un osservatore indiscreto nella Cattura di Cristo (National Gallery of Ireland, Dublino). E infine, come testa mozzata nel Davide con la testa di Golia alla Galleria Borghese di Roma: ultimo capitolo di un abbassamento morale e reale (basta osservare le dimensioni e la posizione della testa recisa, inferiori rispetto a quelle dell’eroe biblico) che l’autore riserva a se stesso e al suo ritratto. 
L’artista che fino a qualche anno prima aveva potuto celebrarsi come soggetto degno di una rappresentazione eroica, con Caravaggio viene definitivamente demiticizzato e reso umano, anche quando recita la parte del dio classico o del gigante.

davide con la testa di golia caravaggio
Davide con la testa di Golia, Caravaggio

D’altronde, con il Merisi siamo già decisamente oltre il Rinascimento e verso un’età nella quale l’autoritratto diverrà un genere ricercato e collezionato, evolvendosi fino alle più varie forme della contemporaneità.
Un percorso lungo e affascinante che fa da specchio – ancora una volta – alla cultura e alla sensibilità delle epoche passate e allo status che gli artisti riuscirono ad acquisire nel corso del tempo, mostrandosi per quello che erano o che avrebbero voluto essere. 

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