Quante cose dice un bacio? E quante forme di amore può esprimere? A pensarci bene, un gesto così semplice e umano nasconde una grande varietà di significati ed è quindi naturale ritrovarlo nell’arte, rappresentato in innumerevoli modi e stili.
Per raccontare la versatilità di questo soggetto, abbiamo scelto dieci baci che illustrano altrettanti tipi di amore: da quello passionale a quello allegorico.
Effusioni mitologiche: la sensualità dei baci di Eros
Il recupero dell’arte e della letteratura classica durante il Rinascimento apre alla riscoperta dei racconti mitologici, compresi quelli con Eros come protagonista. Il dio dell’Amore – Cupido per i Romani – è da sempre oggetto di numerose interpretazioni e così i suoi poteri e le sue origini (era, tra le altre, al tempo stesso, figlio di Afrodite ma già presente al momento della nascita della dea). A partire dall’età ellenistica, però, le sue sembianze si codificano ed Eros assume l’aspetto di un bambino con le ali, armato di arco e frecce. È in questa forma che lo ritroviamo in molte opere antiche, spesso moltiplicato in vari amorini (il Sarcofago con gli Eroti atleti del 140-150 d.C. ca., oggi agli Uffizi, ne è un esempio) ma anche in quelle rinascimentali e oltre.
L’Allegoria dell’Amore di Bronzino
Un bacio accennato eppure sensualissimo è quello tra Eros fanciullo e Venere, ad opera di Agnolo di Cosimo di Mariano, detto il Bronzino. L’Allegoria con Venere e Cupido (1540-1550, Londra, National Gallery) è uno dei suoi dipinti più enigmatici: “Fece un quadro di singolare bellezza,” – scrive Vasari nelle sue Vite1 – “che fu mandato in Francia al re Francesco, dentro al quale era una Venere ignuda con Cupido che la baciava, e il Piacere da un lato e il Giuoco con altri amori, e dall’altro la Fraude, la Gelosia e altre passioni d’amore”.
È probabile che l’artista si sia ispirato alla Venere e Cupido di Pontormo, suo maestro, (1530, Firenze, Galleria dell’Accademia), dove la dea appare intenta a sottrarre una freccia mentre Cupido prova a baciarla.
La tavola del Bronzino è senz’altro più conturbante, oltre che affollata: Eros avvicina le sue labbra a quelle materne, mentre le stringe un seno e le cinge il capo per rubarle la corona. Afrodite a sua volta ha entrambe le mani impegnate: con la destra afferra una freccia e nella sinistra tiene il pomo d’oro di Paride. I loro corpi, candidi, si contorcono in pose estreme – tipiche dell’iconografia manierista – stagliandosi su uno sfondo popolato da figure, maschere e animali dai significati allegorici. Un dipinto complesso nel quale convivono tutte le facce dell’amore, tra le quali: la voluttà e la purezza (i due protagonisti), la Gelosia che si strappa i capelli, la Frode (la fanciulla con le mani invertite e gli artigli), la Follia o il Piacere che distribuisce le rose, il Tempo che incombe dall’alto.
Amore e Psiche di Canova
Anche il tema di Amore e Psiche, già presente nella scultura classica, ha una grande influenza sull’immaginario artistico almeno fino al XVIII secolo. A quest’epoca risale infatti l’omonimo gruppo scultoreo realizzato da Antonio Canova e oggi conservato al Louvre di Parigi. Richiesto dal colonnello John Campbell nel 1787, ma mai consegnato a causa dei suoi problemi economici, fu acquistato da Gioacchino Murat e da lui venduto a Napoleone nel 1808.
Amore e Psiche raffigura il culmine della vicenda mitologica, quando Cupido – disceso negli Inferi per salvare Psiche dal crudele destino al quale Venere l’ha condannata – la risveglia con un bacio. Canova rappresenta gli amanti in un abbraccio che è insieme etereo e carnale, di una bellezza astratta e terrena al contempo. Basta guardare l’intreccio armonioso delle braccia, il contatto dei corpi (con la leggera, eppure percepibile, pressione della mano di Eros sul seno dell’amata), le espressioni dei volti e la resa della materia marmorea che sembra viva.
E il bacio? È lì, sospeso: i due sono immortalati un attimo prima di congiungere le labbra, già piuttosto vicine ma non ancora unite, in un gesto di grande delicatezza e intensità erotica. Capolavoro del Neoclassicismo, l’opera colpisce anche per gli infiniti punti di vista dai quali è possibile ammirarla.
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Il bacio che dona la vita: Pigmalione e Galatea
Come Psiche che riceve il bacio salvifico da Eros, anche Galatea ottiene la vita dal bacio del suo creatore, Pigmalione. Ancora una volta è il mito (raccontato da Ovidio nelle sue Metamorfosi2) a fornire il tema di una coppia di dipinti divenuti celebri per la loro originalità.
Ci riferiamo ai due Pigmalione e Galatea del pittore e scultore Jean-Léon Gérôme, entrambi del 1890 ed entrambi ambientati nel suo stesso studio. Nel primo, parte di una collezione privata, la statua è ritratta di fronte, le gambe ancora di marmo e il resto del corpo animato da un’energia vitale, mentre si piega a baciare l’artista. Nel secondo, conservato al Metropolitan Museum of Art di New York, la scena si ripete quasi identica, ma la donna-scultura è vista da tergo e un piccolo Cupido aleggia nell’aria.
Questa seconda versione rende perfettamente l’impeto dell’azione, la sua vitalità e veridicità, tanto che pare quasi di sentire lo schiocco del bacio e il tocco di Pigmalione sulla pelle candida di Galatea.
Baci solenni: i racconti evangelici negli affreschi di Giotto
Non solo amore: il bacio è anche simbolo di tradimento e uno lo è sopra tutti.
Le Storie sacre narrano di come Giuda abbia usato proprio il bacio come segnale per i soldati che dovevano arrestare Gesù. Un episodio raffigurato da molti artisti (Cimabue, Dürer, Caravaggio e Van Dyck, tra gli altri), spesso caratterizzato da enfasi e concitazione: guardie e apostoli si oppongono in un animato intreccio di armi e cupa disperazione, mentre l’Iscariota avvicina il Maestro. Lo stesso avviene anche nell’affresco di Giotto alla Cappella degli Scrovegni (1303-1305, Padova), ma qui il bacio è isolato al centro della scena e dimostra la capacità dell’artista nel restituire non solo il realismo dei corpi, ma anche il lato psicologico dei personaggi.
Giuda si protende verso il Salvatore, il volto deformato nella smorfia di un bacio che lo rende ancora più animalesco e respingente. Il profondo scambio di sguardi tra i due rivela tutta la carica emotiva del momento: Cristo pare scrutare nell’anima di Giuda con severa rassegnazione e la tensione del bacio – incompiuto ma ineluttabile – è tangibile. Nulla a che vedere con la dimensione intima, per quanto altrettanto solenne, di un altro bacio presente nello stesso ciclo di affreschi di Giotto: quello tra Anna e Gioacchino, stretti inun tenero abbraccio che allude alla procreazione.
Il bacio perfetto: la ricerca di Rodin e Brancusi
Desiderio e sensualità dei corpi sono al centro di numerosi lavori di Auguste Rodin, che nel 1880 è incaricato dallo Stato francese di realizzare la Porta dell’inferno, destinata a un museo delle arti poi mai completato. La porta era ispirata a Dante e, sotto il Pensatore, Rodin aveva immaginato di inserire Paolo e Francesca nell’atto di baciarsi. Come narrato nella Divina Commedia, i due amanti erano stati scoperti dal marito di lei (fratello di lui), mentre leggevano la storia di Lancillotto e Ginevra.
A seguito di un ripensamento, l’artista scorporò il gruppo facendolo diventare una scultura a sé stante, esposta nel 1887. Il bacio (1882, Parigi, Musée Rodin) deve il suo titolo proprio al pubblico che, in mancanza di altre indicazioni, lo chiamò così.
L’opera, con il suo abbraccio carico di trasporto, fu accolta con clamore e ne furono realizzate copie in diversi materiali. All’artista fu commissionata una seconda versione ingrandita, in marmo, che fu terminata quasi dieci anni dopo.
Eppure Rodin non era soddisfatto. Pare anzi che si fosse espresso così al suo riguardo: “L’abbraccio del bacio è senz’altro grazioso, ma non ho trovato niente in questo gruppo. Si tratta di un tema trattato secondo la tradizione, un soggetto in sé completo, ma artificialmente isolato dal mondo che lo circonda: un grande soprammobile scolpito in modo scontato e che concentra l’attenzione sui due personaggi invece di aprire larghi orizzonti al sogno”.
Quando, all’inizio del Novecento, Constantin Brancusi arriva a Parigi e si ferma per circa due mesi nello studio di Rodin, il Bacio è all’apice del successo.
Questo tema lo appassiona subito, tanto che lo porterà avanti per quasi quarant’anni, con tecniche ed esiti molto diversi da quelli del maestro. A differenza di Rodin, che prepara modelli in argilla prima di lavorare il marmo, Brancusi parte subito dalla pietra e, come un moderno Michelangelo, ne trae fuori la forma. Una forma sintetica, ridotta ai minimi termini e quindi universale: nei Baci di Brancusi quasi non si riconoscono più i soggetti, ma viene scolpita l’essenza del bacio stesso, in un unico blocco.
Il suo primo Bacio risale al 1907 (Museo d’Arte di Craiova, Romania, patria dell’artista) e presenta già i tratti tipici che ricorrono nelle successive e numerose varianti, compresa quella della Porta del Bacio (1935-1938, Targu Jiu, Romania) dove la stilizzazione dei baci inscritti nei pilastri è massima.
Il bacio al centro dell’esperienza umana: Klimt
Negli stessi anni in cui Brancusi inizia la sua serie di baci, un altro artista vi si cimenta.
Il bacio o Gli amanti (1907-1908, Vienna, Österreichische Galerie Belvedere) di Gustave Klimt è una delle opere più celebri dell’arte austriaca. La tela appartiene al cosiddetto periodo d’oro dell’artista, nel quale Klimt sviluppa una tecnica innovativa, fondendo foglia d’oro con oli e pittura al bronzo. Il dipinto raffigura una coppia avvolta in abiti riccamente decorati mentre si abbraccia su un prato fiorito, sul ciglio di un precipizio. I volti, le mani e le altre parti del corpo, non coperte dalle tuniche, sono gli unici dettagli ancora riconoscibili dei due amanti che si abbandonano all’estasi del sentimento su uno sfondo astratto e senza tempo. Un bacio veemente e languido insieme, con il quale Klimt offre un’allegoria dell’amore come fulcro dell’esperienza umana.
Stupore e devozione: il bacio da Picasso a Chagall
Oltre che seduttore nella vita privata, Picasso è anche un grande produttore di baci, ma ce n’è uno che si distingue rispetto agli altri. Si tratta de Il bacio del 1969, conservato al Musée Picasso di Parigi. Qui Picasso abbandona la voracità quasi cannibale che aveva caratterizzato i dipinti precedenti (basti guardare, ad esempio, Il bacio del 1925, nello stesso museo, con i corpi aggrovigliati e le bocche fuse in un’unica apertura dal forte simbolismo sessuale) per raccontare invece una scena di più chiara amorevolezza.
Il disegno è lineare e consente di riconoscere i due profili perfettamente uniti in un bacio sensuale ma maturo. Le sopracciglia alzate e gli occhi spalancati dell’uomo sembrano suggerire infatti una specie di felice stupore. Alla data della sua realizzazione, Picasso ha quasi novant’anni e possiamo immaginare che – dopo una vita di conquiste e appagamento amoroso – si sia quasi meravigliato nel provare e rappresentare ancora certi sentimenti.
Tanto diversa la condotta e la ricerca di un altro autore che attraversa quasi tutto il Novecento: Marc Chagall. Pittore russo naturalizzato francese, Chagall dedica alla sua prima moglie Bella Rosenfeld numerosi dipinti, compreso Il compleanno (1915, New York, MoMA). Realtà e sogno si mescolano qui – come in tutta la sua opera – per dare vita a un episodio dolcissimo. All’interno di un appartamento descritto con dovizia di particolari, Chagall raggiunge in volo la moglie e la bacia: il corpo leggero, la testa che si piega all’indietro in una posa innaturale e scomoda. Il senso ultimo è quello di un amore sincero, forte e sereno, confermato e celebrato nel giorno del compleanno di Bella (da cui il titolo).
Con Chagall si chiude il nostro excursus tra i baci nell’arte, ma la lista è lunga e magari la riprenderemo, raccontandovi di autori come Edvard Munch, Francesco Hayez, Henri de Toulouse-Lautrec, Jean-Honoré Fragonard, ma anche Man Ray, Robert Doisneau… Perché il bacio è carismatico e universale, capace di trasformarci tutti in inaspettati voyeur.
1. Artista, architetto e uomo di lettere alla corte dei Medici, Giorgio Vasari (1511-1574), fu anche autore de Le vite de’ più eccellenti architetti, pittori, et scultori italiani, da Cimabue insino a’ tempi nostri (edito nel 1550 e nel 1568, con aggiunte), opera fondamentale per la storiografia artistica italiana.
2. Le Metamorfosi è un poema epico scritto da Publio Ovidio Nasone tra il 2 e l’8 d.C. Incentrato sul tema della trasformazione, contiene alcune delle più celebri storie della mitologia greca.