Nel suo saggio “Il gesto nell’arte”, André Chastel ammonisce il lettore su un meccanismo inconscio che si verifica ogniqualvolta ci troviamo di fronte a un dipinto con figure umane. Se il soggetto o la scena rappresentati ci sono noti, allora anche i gesti raffigurati ci sembrano semplici da comprendere; ma è proprio quando non li conosciamo che quegli stessi gesti diventano uno degli strumenti privilegiati per risalire al tema dell’opera.
In entrambe le situazioni, però, bisogna ricordare che “la composizione dipinta resta in ogni caso ’una forma simbolica’. I gesti espressivi” – scrive l’autore – “sono uno dei due grandi mezzi a disposizione del pittore per suscitare reazioni paragonabili a quelle della vita reale”: il primo è la prospettiva, il secondo è proprio l’aspetto fisiognomico, ovvero quel complesso di lineamenti ed espressioni che, uniti agli atteggiamenti, caratterizzano le figure.
Scoprire cosa significano i gesti più comuni nell’arte del Rinascimento può fornire una chiave di lettura nuova, anche nel caso di opere già note e all’apparenza ovvie.
5 gesti comuni nei dipinti del Rinascimento
Non si può non rilevare, tra i gesti, il primato della mano e delle dita, protagoniste della gestualità anche nell’arte. Tuttavia, nel cercare di decifrarne il senso, è necessario tenere conto del contesto, quindi la posizione del corpo, l’espressione del volto, l’abito e l’ambientazione.
Analizzando gli elementi ricorrenti, gli esperti hanno decodificato i movimenti più diffusi nell’arte di questo periodo. Qui ne abbiamo selezionati cinque.
1. L’indice puntato
Partiamo da uno dei gesti più comuni e variamente rappresentato: l’indice puntato. Il suo significato dipende dal contesto nella quale è ritratta la persona ma, in generale, ne esprime la volontà e l’autorità. La figura dell’Eterno affrescata da Michelangelo nella Creazione degli Astri della Cappella Sistina (1508, Città del Vaticano), dimostra pienamente la potenza dell’azione creatrice tramite il gesto dei due indici: il destro immortalato nell’atto di creare il sole; il sinistro, in direzione opposta, la luna, come un abbraccio imperativo e generativo.
Se è rivolto verso qualcosa o qualcuno, l’indice alzato richiama l’attenzione dell’astante su quell’oggetto o personaggio. Ma se è puntato verso l’alto, può costituire un segno di sfida oppure – secondo un motivo che si affermerà soprattutto a partire dal XVI secolo – sottolineare la presenza di un potere superiore, in segno di ammonizione, come nella Crocifissione di Pordenone nel Duomo di Cremona (1520-1521).
Lo troviamo anche come “gesto attributo” di due figure tratte dalle Sacre Scritture: l’angelo dell’Annunciazione e Giovanni Battista. Un angelo esemplare è quello della tavola dell’Annunciazione di Benvenuto Tisi, detto il Garofalo (1435 circa), oggi agli Uffizi di Firenze, nella quale l’arcangelo Gabriele rivolge l’intero braccio in direzione del Dio Padre. Del Battista non possiamo non ricordare il San Giovanni Battista di Leonardo da Vinci (1513-1516, oggi al Louvre di Parigi). Leonardo ricorre spesso a questo gesto, che considera puro, teofanico, di rivelazione del mistero divino (basti guardare, ad esempio, LaVergine delle rocce del Louvre con l’angelo che punta il dito verso il San Giovannino, Precursore di Cristo).
2. Il gesto del silenzio
C’è un altro gesto legato “al ruolo di quelle straordinarie attrici che sono le dita e, in particolare, al dito più agitato e ambizioso di tutti, l’indice”, per riprendere le parole del già citato Chastel. Si tratta del gesto del silenzio o signum harpocraticum da Arpocrate, dio del silenzio nella mitologia greca e romana, immortalato con la mano a pugno e l’indice alzato a coprire le labbra.
Il segno attraversa anche il Rinascimento, associato qui a Santi e monaci raffigurati nei conventi, nei refettori, nei dormitori ma anche nei luoghi di passaggio, come lunette e archi. Controllo della parola, per facilitare la meditazione e l’ascolto della Voce interiore, ma anche controllo del corpo e delle sue pulsioni: tutto questo è racchiuso nel gesto del silenzio.
È ben visibile nel San Pietro Martire del Beato Angelico del 1435 circa (Firenze, convento di San Marco). Situato nella lunetta della porta che dal chiostro conduce alla chiesa, il Santo sembra quasi affacciarsi per ingiungere il silenzio: un ulteriore monito che anticipa la sacralità del luogo.
3. Mano parlante
Un dipinto può invitare al silenzio, ma può anche esprimere l’azione del parlare.
La mano aperta aveva proprio questo ruolo: fin dall’età classica, gli oratori erano identificabili per la posizione del braccio teso in avanti, con le dita indice e medio allungate o con tutto il palmo aperto. Uno schema che viene ripreso dai cristiani per significare la parola di Dio: il gesto della benedizione è infatti molto simile a quello del discorso.
Nel Rinascimento, alla mano si aggiunge tutto il corpo, ma la sua funzione e iconografia rimane immutata. Un vero e proprio concerto di voci è quello che possiamo leggere, ad esempio, nella miniatura di fine XV secolo di Giovanni Pietro da Borgo (Gabinetto Disegni e Stampe degli Uffizi) che ritrae Francesco Sforza a colloquio con i suoi condottieri. Una scena completamente statica, animata solo dagli indici e dalle mani levate in alto che si richiamano a vicenda.
Ma è possibile riconoscere un gesto simile anche in numerose Madonne annunciate, prima tra tutte quella del Botticelli del 1489-1490 circa, conservata nello stesso museo: qui l’angelo annuncia la volontà di Dio, mentre Maria lo accoglie con i palmi rivolti all’esterno.
Una mimica che assomiglia a quella della mano parlante ma che può assumere connotati diversi a seconda del contesto: di accoglienza e disponibilità, come in questo caso, oppure di repulsione e rifiuto, come nell’Erode bronzeo di Donatello per la fonte battesimale di Siena (Il banchetto di Erode, 1425-1427, Siena, Battistero). Davanti alla testa di San Giovanni decapitato, Erode si ritrae sgomento e solleva entrambe le mani nel gesto del parlare, come a dichiarare il suo orrore (ed errore).
4. Gesti di disperazione: braccia allargate e mani che coprono il volto
Anche la disperazione rimane muta nei dipinti, ma non per questo è meno esplicita. Le braccia aperte sollevate verso l’alto ne sono l’espressione più evidente e l’ampiezza del gesto esprime i diversi gradi di afflizione. Tra i più veementi, la Maddalena ai piedi della croce nella Crocifissione di Masaccio del Polittico di Pisa (1426 circa, Napoli, Museo di Capodimonte), con il corpo drammaticamente proiettato in avanti e le braccia protese in aria.
Nel rappresentare i demoni che straziano i dannati nel suo Giudizio Universale (1499-1502, Duomo di Orvieto), Luca Signorelli ricorre a una posa simile per raffigurare il dolore e l’angoscia.
A questa si aggiunge la posa, meno teatrale ma altrettanto efficace e carica di pathos: le mani che coprono il volto. La ritroviamo in Signorelli, come in Masaccio (questa volta nella figura di Adamo, affranto, nella Cacciata dal Paradiso Terrestre del 1424-1427 presso la chiesa di Santa Maria del Carmine a Firenze). E ancora – facendo un salto in avanti di qualche secolo – nella Morte della Vergine di Caravaggio del 1606 (Parigi, Louvre), dove il gesto raggiunge un naturalismo emotivo senza precedenti anche perché compiuto da più soggetti.
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5. Mani giunte
Il gesto della preghiera, con le mani giunte e le dita distese all’altezza del petto, può sembrare banale oggi, ma la sua storia è molto interessante. Fino a tutto l’alto Medioevo, infatti, la preghiera si esprimeva con l’apertura delle braccia (gesto dell’orante).
Le mani unite erano invece un segno di sottomissione, tipico dei prigionieri o dei vassalli che durante la cerimonia dell’omaggio le mettevano tra quelle del loro signore come atto di sudditanza.
Furono i francescani, tra i primi, a modificare l’esecuzione della preghiera e, di conseguenza, la sua iconografia quando, durante le funzioni liturgiche, iniziarono a sollevare l’ostia tra le due mani, per esprimere riverenza e chiedere la grazia. Da qui, la diffusione di un gesto che racchiude tutti questi intenti e al quale si aggiunge, nel tempo, quello di supplica e implorazione.
Il gesto si ritrova in moltissime composizioni a tema sacro. Una su tutti, La Madonna della seggiola di Raffaello (1512, Palazzo Pitti), dove un piccolo San Giovannino contempla Madre e Figlio giungendo le mani in una tenera preghiera.
Questi esempi testimoniano il potere simbolico della gestualità e dei suoi significati, che in molti casi si sono protratti fino ai giorni nostri.
D’altra parte, la comunicazione non verbale fa parte ancora oggi della nostra cultura e il nostro paese è famoso in tutto il mondo per la sua mimica pronunciata. Un carattere che non poteva sfuggire a una mente curiosa e attenta come quella di Bruno Munari, designer e artista, che al tema ha dedicato un illuminato Supplemento al dizionario italiano: una lettura consigliatissima per decifrare il linguaggio del corpo degli italiani odierni e, chissà, magari anche qualche gesto tipico del Rinascimento…
Supplemento al dizionario italiano, Bruno Munari
Piccolo spoiler: il “marameo”, con il pollice sulla punta naso e le altre dita tese in successione, si faceva già allora, ma lasciamo che sia tu a scoprirne il significato!