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Da Giorgione a Veronese, l’esplosione del colore conquista la pittura veneta del Cinquecento

Da Giorgione a Veronese, l’esplosione del colore conquista la pittura veneta del Cinquecento

pittura veneta cinquecento
pittura veneta cinquecento

Unica ed eccezionale, Venezia non è solo meta imprescindibile per chiunque visiti l’Italia, ma anche una tappa importante per chi ama l’arte. È proprio qui che, nel Cinquecento, si sviluppa un nuovo modo di dipingere, capace di rivaleggiare con la scuola tosco-romana e di imporsi nel panorama culturale del tempo. Scopriamo assieme i tratti principali e i protagonisti del cosiddetto Rinascimento veneziano.

La pittura tonale e il Rinascimento veneziano

Agli albori del Cinquecento Venezia è una potenza marittima mondiale, i traffici con l’Oriente sono prosperi e l’espansione continua, pur con qualche difficoltà, oltre la Laguna. Lo Stato della Repubblica di Venezia e il patriziato cittadino governano in un’atmosfera di pace e prosperità, foraggiando generosamente gli artisti locali. Autonomia politica, stabilità economica e influenze multietniche sono il contesto ideale per il fiorire di nuove esperienze artistiche.

Immersi nell’atmosfera unica di Venezia, con i riflessi morbidi sull’acqua, e influenzati dal realismo nordico, i veneti rappresentano la luce in modo del tutto nuovo.
Mentre in area toscana e romana il disegno e la composizione sono alla base della rappresentazione figurativa, il fulcro della pittura veneta è il colore: nasce così il tonalismo. Sensibili agli effetti della luce sui corpi e sugli oggetti, gli artisti lavorano per velature, ovvero sovrapponendo strati di tonalità più scure o più chiare dello stesso colore per creare profondità spaziale e tridimensionalità. L’accostamento cromatico è accurato e sofisticato, studiato a tavolino per creare un insieme armonico e restituire gli effetti atmosferici del paesaggio. Un genere prediletto, quest’ultimo, insieme al ritratto e ai soggetti allegorici, che si affiancano ai più tradizionali temi sacri, mai abbandonati.     

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I maestri dell’arte veneta del XVI secolo

Ai prodromi di questa nuova esperienza, Giovanni Bellini (1431-1516), fra i primi in Italia a padroneggiare la pittura a olio, tecnica che gli permetteva una gestione più precisa delle gradazioni tonali. Dalla sua cerchia usciranno Giorgione e Tiziano, due figure imprescindibili della nuova corrente. 

La natura vivificata nei dipinti di Giorgione

Poche e incerte sono le notizie sulla vita di Giorgio (o Zorzi) da Castelfranco Veneto, detto Giorgione (1477/1478-1510) e controversa è ancora oggi l’attribuzione delle sue opere. Caratteristiche che contribuiscono all’aura di mistero che accompagna l’artista, forestiero ma naturalizzato a Venezia, dove all’inizio del Cinquecento trova fortuna e fama. Considerato l’iniziatore della scuola veneta, entra in contatto con Bellini e probabilmente anche con Leonardo da Vinci, di passaggio in città in quegli anni. Dobbiamo forse proprio alla lezione leonardesca – come suggerisce Vasari1 – l’interesse di Giorgione per la resa luministica e lo sfumato, che egli restituisce con pennellate morbide di puro colore

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Mosè sottoposto alla prova del fuoco (sn), Il Giudizio di Salomone (ds), Giorgione

La produzione di Giorgione si distingue fin da subito per l’innovazione tecnica, ma anche per quella iconografica: nelle sue opere i paesaggi non sono più semplici sfondi ma diventano veri e propri protagonisti. Lo vediamo nelle tavole en pendant con il Mosè sottoposto alla prova del fuoco (1505) e Il Giudizio di Salomone (1505-1508) conservate alle Gallerie degli Uffizi di Firenze. Ma soprattutto nella sua Tempesta (1504-1509, Venezia, Gallerie dell’Accademia). Tanto celebre quanto enigmatica, l’opera raffigura una madre che allatta il figlio al cospetto di un giovane soldato. Ma il rapporto tra figure e sfondo è impari poiché gran parte della tela è occupata dallo scenario bucolico: il cielo squarciato dal fulmine dà il titolo al dipinto e anima la scena insieme al resto della natura. L’uso sapiente della luce vivifica le fronde degli alberi, l’acqua del ruscello e gli edifici in lontananza. Molte sono le interpretazioni, ma ad oggi il significato dell’opera rimane indecifrato.    

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La Tempesta, Giorgione

Il tonalismo vibrante di Tiziano

Tiziano Vecellio (1485/1490-1576), più longevo e prolifico, nasce in Cadore ma considera Venezia la sua vera casa e vi fa ritorno ogni volta che può. La sua reputazione cresce rapidamente, al punto da attirare commissioni prestigiose da parte di nobili e potenti di tutta Europa. Si narra persino che, mentre era ospite alla corte di Carlo V, l’imperatore si sia chinato per porgergli un pennello che gli era caduto.
La ragione di tanto successo è la portata rivoluzionaria del suo stile che segue le tracce inaugurate da Bellini e portate avanti da Giorgione, ma che nel Vecellio trovano piena maturità. Nelle sue opere il tonalismo si manifesta in tutte le forme; sono infatti i colori a plasmare le figure e a restituirne volumi, luci e ombre. Ma l’eccezionalità di Tiziano si mostra anche nelle novità stilistiche, come nella Madonna con santi e membri della famiglia Pesaro (1519-1526, Venezia, Santa Maria Gloriosa dei Frari). Nella pala d’altare, la Madonna non siede al centro – come da tradizione – ma occupa il lato destro, cromaticamente bilanciata dalla bandiera sorretta dal soldato in arme. Una scelta originale e audace che attesta la capacità del cadorino di stravolgere gli schemi convenzionali creando ciononostante capolavori di sorprendente equilibrio formale.   

madonna con santi e membri della famiglia pesaro venere di urbino tiziano
Madonna con Santi e membri della famiglia Pesaro (dn), Venere di Urbino (ds), Tiziano

A quelli religiosi, Tiziano alterna temi mitologici – che chiama “poesie” – anche se la sua specialità sono i ritratti, soprattutto quelli femminili. Il naturalismo della sua pittura si esprime felicemente nel modellato dei corpi, nell’incarnato vibrante e negli sguardi seducenti, spesso immersi in un’atmosfera intimista. Così, sullo sfondo di un’elegante stanza da letto dove si affaccendano due ancelle, la Venere di Urbino (1538 ca., Firenze, Uffizi) ci ammalia ancora oggi con la sensualità della sua figura e il suo atteggiamento ammiccante; vestita solo di qualche gioiello, lo sguardo diretto agli spettatori, solletica il nostro desiderio. 

La teatralità luministica di Tintoretto

A Venezia vive e muore anche Jacopo Robusti detto Tintoretto (1518-1594), del quale documenti storici e scritti biografici hanno tramandato svariate notizie. Tra queste si trova anche l’episodio secondo cui Tiziano lo avrebbe cacciato dalla sua bottega perché troppo bravo. Poco importa se sia vero o presunto, questo aneddoto ci dà la misura del suo talento, evidente nella sintesi – ardita ma riuscita – tra il disegno di stampo michelangiolesco e il colore del Vecellio. Tintoretto risente infatti degli afflati manieristi di origine tosco-romana ma li coniuga con un luminismo ardito. Le sue figure assumono pose elaborate ed enfatiche, con i corpi che si avvitano in spirali allungate al modo della Maniera. Torsioni vorticose rese ancora più dinamiche da un uso teatrale della luce

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Ritrovamento del corpo del santo (sn), Messa in salvo del corpo di San Jacopo (ds), Tintoretto

Notevoli in questo senso le tre tele per la Scuola di San Marco con il Ritrovamento del corpo del Santo (Milano, Pinacoteca di Brera), la Messa in salvo del corpo di San Marco e il Miracolo dello schiavo (entrambe a Venezia, Gallerie dell’Accademia), realizzate tra il 1562 e il 1566. La drammaticità delle scene – che raffigurano alcuni momenti salienti della vita del santo – è amplificata dalla composizione scenografica, con scorci prospettici esasperati e architetture allungate; mentre l’ostentata plasticità dei personaggi, disposti come su un palcoscenico, è enfatizzata dalle cromie brillanti e dagli studiati accenti luminosi. Una cifra stilistica che caratterizza (con alcune attenuazioni ed evoluzioni successive), la lunga produzione dell’artista, capace di guardare anche ai suoi contemporanei, come il raffinato Veronese.  

miracolo dello schiavo tintoretto
Miracolo dello schiavo, Tintoretto

La fantasiosa sensibilità di Veronese

Pittore di successo, dai modi cortesi e amabili, mondano ma pacato, Paolo Caliari detto Veronese (1528-1588) deve il suo cognome alla sua città natale. Dopo i primi lavori tra il Veneto e l’Emilia, viene introdotto nell’ambiente veneziano, dove presto incontra il favore di importanti committenti e illustri colleghi. Persino Tiziano rimane colpito dal suo talento. Estasiato dalla decorazione della Libreria sansoviniana di San Marco, lo giudica talmente bravo da meritare una collana d’oro in premio per il lavoro svolto.
Non indifferente alla Maniera robusta di Giulio Romano – architetto e pittore collaboratore di Raffaello – Veronese ne stempera gli eccessi in una pittura serena e misurata, placida persino nelle trovate più fantasiose, connotata da una palette luminosa, solare. Al naturalismo più rigoroso preferisce una visione idealizzata – anch’essa figlia del manierismo – della realtà, ma sempre calibrata da una spiccata armonia cromatica (è maestro della complementarietà tonale) e compositiva. A differenza del Tintoretto, nelle opere di Paolo non sono presenti drammi o turbamenti: sono, piuttosto, rappresentazioni illusionistiche e talvolta giocose, a corrispondenza di un carattere e di una sensibilità votata alla vitalità e alla gioia.   

convito di casa levi veronese
Convito in casa Levi, Veronese

Lo si può ben vedere nelle brillanti e originali trovate degli affreschi per la palladiana Villa Maser. Ma oggi vogliamo soffermarci su un altro dipinto, esemplare non solo del linguaggio pittorico ma anche del suo spirito – libero, candido e acuto: il Convito in casa Levi (1573, Venezia, Gallerie dell’Accademia). Realizzato per il refettorio del convento dei Santi Giovanni e Paolo in sostituzione di un dipinto di Tiziano purtroppo andato bruciato. In origine rappresentava un’Ultima cena ma la figura di Cristo dipinta all’interno di un palazzo cittadino contemporaneo viene giudicata sconveniente dalla Santa Inquisizione perché attorniata da “buffoni, imbriachi thodeschi, nani e altre oscenità”, come si legge nella sentenza.
Il tribunale ecclesiastico accusa il Veronese di eresia e gli impone di correggere la tela. La replica dell’artista, nelle parole e nei fatti, è un’affermazione chiara della sua autonomia intellettuale: “Nui pittori si pigliamo licentia, che si pigliano i poeti et i matti […]. Io depingo et fazzo delle figure”. Come a dire che il suo lavoro è solo frutto dell’immaginazione, non un racconto fedele della realtà e, per questo, legittimo. Argutamente, al posto di modificare il dipinto, Paolo opta per una soluzione più rapida: cambiare il titolo all’opera – e dunque il soggetto – con riferimento all’episodio della Cena in casa del fariseo del Vangelo di Luca. 

L’arte ci stupisce sempre, ogni volta rimaniamo ammirati nel vedere che, seppure con premesse simili, gli esiti sono molteplici e sorprendenti, proprio come avviene nella Venezia del Cinquecento. È proprio questa varietà a rendere la storia dell’arte – di ogni tempo e luogo – un viaggio affascinante, sempre ricco di scoperte e stimoli nuovi.


1. Artista, architetto e uomo di lettere alla corte dei Medici, Giorgio Vasari (1511-1574), fu anche autore de Le vite de’ più eccellenti architetti, pittori, et scultori italiani, da Cimabue insino a’ tempi nostri (edito nel 1550 e nel 1568, con aggiunte), opera fondamentale per la storiografia artistica italiana.

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