ISCRIVITI ALLA NEWSLETTER E RICEVI VIA EMAIL UNO SCONTO DEL 10% SUL TUO PROSSIMO ACQUISTO

La pittura paesaggistica: viaggio tra i protagonisti del genere, da Giotto ai Macchiaioli

La pittura paesaggistica: viaggio tra i protagonisti del genere, da Giotto ai Macchiaioli

pittura paesaggistica
pittura paesaggistica

Simbolico, realistico, evocativo: nel corso dei secoli, il paesaggio ha assunto connotazioni e significati diversi a seconda del periodo storico, della corrente artistica e dell’autore. Vogliamo ripercorrerne qui l’evoluzione attraverso alcune delle tappe più significative, dagli albori alle soglie dell’Impressionismo.

Agli albori del paesaggio: Tre e Quattrocento

Formalizzato come genere autonomo solo nel Seicento, il paesaggio – inteso nel senso più ampio di contesto naturale e urbano – è però presente in pittura da molto prima. 
Lo troviamo, ad esempio, già ai tempi di Giotto (1265 ca.-1337), il primo a intraprendere quella ricerca del vero che investirà tutta l’arte occidentale nei secoli successivi. Alla dimensione psicologica il mugellano unisce l’attenzione per il dato naturale, che rappresenta con inedito realismo non solo a fini decorativi, ma anche funzionali. Lo si osserva chiaramente nell’affresco San Francesco che dona il mantello al povero (1295-1300), nella Basilica Superiore di Assisi: le colline dello sfondo raccontano uno spazio concreto, tangibile, e si congiungono proprio in corrispondenza del santo, fulcro della scena.
Allegorico, ma non meno realistico, è lo scenario dipinto da Ambrogio Lorenzetti (1290-1348) nel ciclo di affreschi dedicato agli Effetti del buono e del cattivo governo in città e in campagna nella Sala dei Nove del Palazzo Pubblico di Siena (1337-1339): qui, vita campestre e attività cittadine si svolgono all’interno di un’ambientazione trecentesca, descritta nei minimi dettagli.

san francesco che dona il mantello al povero giotto
San Francesco che dona il mantello al povero, Giotto

Quasi un secolo dopo, Masaccio (1401-1428) introduce un’ulteriore novità alla rappresentazione pittorica: la prospettiva lineare. Una nuova quinta, austera e costruita secondo principi matematici, fa da sfondo ad esempio a Il Tributo (1425 ca., Firenze, Santa Maria del Carmine, Cappella Brancacci) e contribuisce – con le sue montagne monumentali, gli alberi spogli e il lago increspato dal vento – al realismo simbolico dell’episodio biblico.
Ai pittori fiamminghi e alla rivoluzione artistica delle Fiandre guarda invece Leonardo Da Vinci (1452-1519), impegnato nell’indagine e nella rappresentazione dei fenomeni naturali. Dalle forme delle rocce e delle nubi al movimento delle onde, dalla crescita delle piante fino agli effetti dell’atmosfera, Leonardo è affascinato da tutte le manifestazioni della natura e, nel tentativo di renderle in pittura, adotta una delle tecniche più innovative di tutta la storia dell’arte: lo sfumato. I suoi paesaggi, come quello della Vergine delle rocce (1483-1490 ca., Parigi, Musée du Louvre), catturano l’essenza della visione umana: contorni sfumati e giochi di luce trasformano l’ambiente in una realtà viva e palpabile. 
Proprio la luce sarà uno dei tratti distintivi della pittura cinquecentesca, soprattutto di matrice nordica e veneta.       

vergine delle rocce leonardo
Vergine delle Rocce, Leonardo

Il Cinquecento, tra simbolismo e spettacolarità

Ammirato da artisti del calibro di Dürer, Joachim Patinir (1485 ca.-1524) opera ad Anversa specializzandosi in scene bibliche ambientate in paesaggi insoliti: spesso rappresentate a volo d’uccello, le sue vedute occupano gran parte della superficie e rendono quasi marginali le figure umane. A lui si deve l’ingresso di un particolare elemento luminoso nella pittura italiana: il fuoco. È a Patinir che si rifà infatti Tiziano (1485/1490-1576) quando, nel 1508, realizza la sua tavoletta con Orfeo ed Euridice (Bergamo, Accademia Carrara). Il mito è qui narrato in due tempi: a sinistra vediamo Euridice morsa da un drago (invece che dal tradizionale serpente), mentre a destra Orfeo, uscito dagli Inferi, si volta a guardarla, perdendola per sempre. La porta dell’Ade appare illuminata all’interno dal bagliore di una fiamma. Il paesaggio – dinamico, cangiante e aperto – è costruito per masse cromatiche contrapposte: vero protagonista dell’opera, partecipa esplicitamente alla vicenda e ne acuisce il senso tragico. 

orfeo ed euridice tiziano
Orfeo ed Euridice, Tiziano

Grandioso, spettacolare e scenografico – come si addice a una decorazione di epoca manierista – è invece il ciclo di affreschi di Paolo Caliari detto il Veronese (1528-1588), conservato alla villa Barbaro di Maser (Treviso) del 1560 circa. Le finte architetture e le illusioni paesistiche create con la tecnica del trompe-l’oeil, coniugano uno spiccato naturalismo a una felice immaginazione personale per creare l’immagine di un idillio arcadico di lunga tradizione.
Tutto lascia presagire l’imminente affermazione del paesaggio come genere proprio.

Il Seicento: classicismo e idealizzazione

Nel Seicento, con il fiorire di botteghe artistiche specializzate, il paesaggio non è più solo uno sfondo metaforico subordinato all’episodio religioso o profano, ma diventa un soggetto autonomo.
Fa scuola, in questi anni, l’Accademia bolognese dei Carracci, e la loro visione classicistica dell’arte. Risale al periodo romano di Annibale Carracci (1560-1609) la lunetta con la Fuga in Egitto, eseguita per la cappella di Palazzo Aldobrandini (1603 ca., Roma, Galleria Doria Pamphilj). La dimensione sentimentale della scena è affidata qui a una composizione di straordinario equilibrio, dove la solennità del paesaggio si accorda armoniosamente con le figure rappresentate. 

paesaggio con fuga in egitto annibale carracci
Paesaggio con la fuga in Egitto, Annibale Carracci

La bellezza della natura come forma pura, ideale più che vera, è ciò che caratterizza anche la produzione dei francesi Nicolas Poussin (1594-1665) e Claude Lorrain (1600-1682). 
Nelle loro opere, il paesaggio è moderno ma allo stesso tempo evocativo, mitologico, immerso in un’atmosfera luminosa, pacata e indipendente dalle vicende narrate in primo piano. È così, ad esempio, per il Paesaggio con Orfeo e Euridice (1649, Parigi, Louvre) di Poussin, dove il dramma (già interpretato in chiave totalmente diversa da Tiziano, come abbiamo visto) diventa motivo di una raffigurazione misurata e serena, che tiene insieme perfettamente anche contraddizioni evidenti come la presenza di Castel Sant’Angelo sullo sfondo. 

Il Paesaggio con ponte di pietra Rembrandt
Il Paesaggio con ponte di pietra, Rembrandt

Al polo opposto rispetto ai francesi, Rembrandt (1606-1669) approccia il paesaggio in modo molto diverso, soprattutto nella rappresentazione della luce. Non più diffusa e uniforme, nelle opere di Rembrandt la fonte luminosa è invece puntuale: direzionata in modo sapiente, provoca un senso di turbamento in chi osserva i suoi dipinti. Il Paesaggio con ponte di pietra (1636-1637, Amsterdam, Rijksmuseum) ne è prova: la luce proveniente da destra illumina le fronde dell’albero rischiarando solo per un attimo la scena. Il cielo scuro, la campagna, il sobrio ponticello e le figure che si muovono sul fiume rimangono immerse in una penombra carica di inquietudine. 

Le diverse esperienze artistiche del Seicento aprono la strada a un’ampia varietà di sottogeneri (come le marine, le architetture e le vedute, i paesaggi invernali e quelli agresti), che saranno sviluppati anche nel corso del secolo successivo, segnato dagli studi di ottica e dal crescente interesse per la scenografia teatrale. 

La pittura paesaggistica settecentesca

Teatrali sono le tele firmate da Jean-Antoine Watteau (1684-1721) autore di un nuovo filone che avrà grande fortuna, quello delle fêtes galantes: eleganti convivi ambientati in una natura lussureggiante, punteggiata da elementi classici, come statue e monumenti. Le coppie di nobili a passeggio o impegnate in dialoghi amorosi non sono immerse in un’atmosfera scanzonata e festosa, quanto piuttosto in scenari idilliaci, sospesi nel tempo, che ci ricordano la provvisorietà del piacere. 
In questo filone, si inseriscono anche le opere di Jean-Honoré Fragonard (1732-1806) che nel 1756 parte alla volta di Roma per il cosiddetto Grand Tour1. Dal lungo soggiorno italiano, che lo porterà anche a Napoli e a Venezia, il francese prende spunto per i suoi paesaggi d’esordio, come dimostra il Giardino di Villa d’Este (1760 ca., Londra Wallace Collection). Un richiamo evidente alle composizioni di Watteau, con i personaggi dolcemente illuminati e inseriti in giardini maestosi e solitari, abitati da statue di dei e amorini. Eppure, a differenza del predecessore, Fragonard abbandona la vena malinconica e caduca, per sposare decisamente quella leggera e ilare che distinguerà tutta la sua produzione successiva, fino ad arrivare alle scene frivole e quasi erotiche della maturità. 

Giardino di Villa d’Este Jean-Honoré Fragonard
Giardino di Villa d’Este, Jean-Honoré Fragonard

Un terzo nome che vogliamo ricordare in questo sintetico excursus lungo la storia della pittura paesaggistica del Settecento, è quello del Canaletto, pseudonimo di Giovanni Antonio Canal (1697-1798). Figlio di Bernardo, pittore di teatro, ne eredita l’abilità nel costrutto prospettico e scenografico, che assembla con estrema maestria nelle sue vedute di Venezia. Ammirate dai viaggiatori inglesi, decretano la fortuna del Canaletto che riceve persino commissioni dal console Joseph Smith per decine di dipinti, acquistati poi da Giorgio III, re d’Inghilterra. Il Bucintoro di ritorno al molo il giorno dell’Ascensione (1730-1735, Windsor Castle, Royal Collections) è uno di questi e testimonia la capacità del pittore di unire episodi minuti di vita quotidiana (qui una cerimonia tipica veneziana) con la grandiosità di un contesto cittadino monumentale, amplificato dagli effetti atmosferici e dai molteplici punti di vista combinati insieme.

Il Bucintoro di ritorno al molo il giorno dell’Ascensione Canaletto
Il Bucintoro di ritorno al molo il giorno dell’Ascensione, Canaletto

Dall’età romantica ai Macchiaioli: l’Ottocento

Recupero di un passato autentico, interiorità, soggettività e ricerca del sublime sono i tratti distintivi del Romanticismo che si afferma come movimento sfaccettato in Germania e in Inghilterra, per poi diffondersi in tutta Europa tra la fine del Settecento e la prima metà dell’Ottocento. Il paesaggio è il tema privilegiato per rappresentare il fantastico e il pittoresco, dando spazio ai sentimenti degli artisti. 

La cattedrale di Salisbury vista dalla residenza del vescovo John Constable
La cattedrale di Salisbury vista dalla residenza del vescovo, John Constable

I cieli cangianti e i paesaggi di John Constable (1776-1837) sono l’espressione del suo sentire: la natura, seppur raffigurata con pretesa scientificità, riflette pienamente la sua sensibilità, attraverso visioni intime e personali come La cattedrale di Salisbury vista dalla residenza del vescovo (1823, Londra, Victoria and Albert Museum). 
Ma è con Joseph Mallord William Turner (1775-1851) che il paesaggio diventa luogo del sublime romantico. I suoi dipinti esprimono il suo stato d’animo cogliendo allo stesso tempo le tensioni verso l’ignoto, il fantastico e l’infinito tipiche della sua epoca. Va in questa direzione lo straordinario Pioggia, vapore e velocità (1844, Londra, National Gallery): nel cercare di restituire gli effetti atmosferici della tempesta sulla locomotiva e sull’ambiente circostante, Turner realizza una visione allucinata e suggestiva, dove macchina e natura si scontrano e si fondono insieme.
Impossibile rimanere indifferenti davanti a Il Viandante sul mare di nebbia (1818, Amburgo, Hamburger Kunsthalle) del tedesco Caspar David Friedrich (1774-1840), considerato il manifesto della pittura romantica di paesaggio. Come nel resto della sua produzione, anche qui la figura umana è ripresa di spalle mentre, dall’alto di una cima rocciosa, osserva una natura rarefatta, fredda e malinconica, carica di spiritualità e simbolismo. Una tela che ancora oggi stimola una contemplazione intima e assorta. 

Pioggia, vapore e velocità William Turner
Pioggia, vapore e velocità, William Turner

Sei interessato ad articoli come questo?

Iscriviti alla newsletter per ricevere aggiornamenti e approfondimenti di BeCulture!

L’Ottocento è un secolo di profondi cambiamenti e straordinaria vivacità intellettuale e, alle pulsioni romantiche, si avvicendano correnti di segno contrario, come quella della scuola di Barbizon, nata negli anni Trenta del secolo presso Fontainebleau, in Francia. 
Alla base di questa nuova corrente, il rifiuto degli schemi accademici e la volontà di rappresentare la natura dal vero, rinnovando la tradizione paesaggista. Tra i suoi fondatori, Théodore Rousseau (1812-1867), anello di congiunzione tra romanticismo e realismo, che si ritira nella campagna francese per ritrarre soprattutto gli alberi e gli effetti di luce sulle loro sagome. 
Anticipatrice della pittura en plein air degli Impressionisti, la scuola di Barbizon è anche d’ispirazione per l’esperienza rivoluzionaria dei Macchiaioli. Un movimento nato nella Toscana preunitaria degli anni Sessanta in opposizione agli stilemi artistici coevi. 
Il paesaggio – e in particolare la campagna toscana – è uno dei soggetti privilegiati dei macchiaioli che lavorano giustapponendo masse di colore e luce (le “macchie”) per creare scene di grande compostezza, più vicine alla pittura quattrocentesca. 
Molti i nomi di spicco e le opere celebri del gruppo, ma qui vogliamo ricordare, in particolare, Giovanni Fattori (1825-1908) e il suo Maremma toscana (1877-1880, Firenze, Palazzo Pitti). Oltre a testimoniare l’interesse dell’autore per il tema campestre, riassume bene i tratti peculiari dei macchiaioli: il taglio prevalentemente orizzontale, quasi fotografico, gli accesi contrasti di colore delle masse pittoriche e la sintesi, a volte estrema, delle forme.  

Con l’Impressionismo prima e le Avanguardie poi, il paesaggio esce dalle correnti condivise per essere interpretato e declinato secondo visioni artistiche individuali. 
Un’evoluzione che conferma la versatilità di questo genere, fonte inesauribile di ispirazione e di ammirazione, ieri come oggi. 

1 Il Grand Tour era un viaggio di formazione in Europa, molto in voga tra il XVI e XIX secolo, che serviva a perfezionare le conoscenze e ad ampliare gli orizzonti intellettuali dei giovani aristocratici. Non aveva una durata definita ma l’Italia era una tappa fondamentale. 

CATEGORIE

NEWSLETTER

Carrello

Ricevi subito il codice sconto del 10%

Iscriviti alla nostra newsletter e ricevi via email uno sconto sul tuo prossimo acquisto.

bearound-logo