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L’avventura dei Macchiaioli e le loro opere indimenticabili

L’avventura dei Macchiaioli e le loro opere indimenticabili

macchiaioli opere famose
macchiaioli opere famose

Quando, il 3 novembre del 1861, un giornalista della Gazzetta del Popolo usò per la prima volta il termine “Macchiaioli” non poteva certo immaginare che, quell’epiteto dispregiativo, sarebbe diventato il nome ufficiale del movimento maturato a Firenze solo una manciata di anni prima e divenuto poi famoso in tutta Italia. 
L’esperienza dei Macchiaioli si è consumata in poco tempo, ma tanto è bastato a renderla una delle più interessanti e rivoluzionarie del panorama europeo. 
Riviviamo insieme quella felice stagione con alcune delle opere e degli interpreti che l’hanno resa celebre.

Pittura di “macchia”: caratteristiche, temi e protagonisti

I Macchiaioli vennero chiamati così per la loro tecnica pittorica fatta di ampie campiture di colore con le quali creavano forme e volumi, senza contorni evidenti. Il disegno, alla base della tradizionale pratica artistica fiorentina, non era davvero assente (anche loro procedevano per schizzi e stesure successive) ma era nascosto: la linea lasciava il posto alla materia, alla luce e ai suoi effetti sulle cose.
Secondo Telemaco Signorini, tra i primi e più convinti rappresentanti del genere, i Macchiaioli “ricercarono con un inquieto desiderio di progresso, la macchia, cioè l’evidenza del chiaroscuro e segnarono questo primo passo nel progresso dell’arte moderna, ebbero la libertà e la ragione per guida”. Un chiaroscuro reso ancora più evidente dalla tecnica dello specchio nero: strumento prediletto dei Macchiaioli, la cui superficie annerita dal fumo rifletteva in modo inedito colore e contrasti. D’altra parte “macchia” aveva sì il significato dispregiativo di sporcizia ma anche, fin dai tempi di Vasari1, quello di dipingere all’impronta e dal vivo. Così l’aretino scrive nelle sue Vite a proposito delle opere di Tiziano: “condotte di colpi, tirate via di grosso, e con macchie di maniera, che da presso non si possono vedere, e di lontano appariscono perfette”. 
Questa vera e propria rivoluzione contrastava apertamente con gli insegnamenti dell’Accademia di Belle Arti che era invece vicina – per metodi, estetica e tematiche – al Romanticismo dei grandi dipinti storici di Francesco Hayez e seguaci.

Certo è che i Macchiaioli non ambiscono solo al rinnovamento linguistico ma anche al superamento di alcuni contenuti. Non più il bello ma il vero in tutta la sua genuina, onesta e dimessa apparenza: questo vogliono dipingere. Il loro repertorio si compone infatti di scene militari, di marine e vedute paesaggistiche colte en plein air e animate anche da presenze umane e animali, interni intimi ed episodi di vita quotidiana. 
Ma chi sono i Macchiaioli e come nasce questa nuova corrente artistica?

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Il Caffè Michelangelo, ritrovo degli intellettuali progressisti

Firenze, allora sotto il governo del Granduca Leopoldo II di Lorena, era una delle città più stimolanti e aperte dal punto di vista culturale, meta ideale anche per gli intellettuali forestieri. Le sale del Caffè Michelangelo, aperto nel 1848 in via Larga (oggi via Cavour), si popolano dell’intellighenzia cittadina che dibatte di politica, attualità e arte, in un’atmosfera ilare e scanzonata, almeno nei primi anni.
Qui si incontrano alcuni nomi di spicco della corrente macchiaiola come Saverio Altamura, Vito D’Ancona, Odoardo Borrani, Giuseppe Abbati, Raffaello Sernesi, Carlo Ademollo, Vincenzo Cabianca, Cristiano Banti, Telemaco Signorini, Giovanni Fattori e Silvestro Lega, e altri, come il critico d’arte, letterato e mecenate, Diego Martelli. Al Michelangelo passano anche, con ogni probabilità, Edouard Manet in visita a Firenze nel 1857 e, l’anno successivo, Edgar Degas. 

il caffè michelangelo adriano cecioni
Il Caffè Michelangelo, Adriano Cecioni

Per avere un’idea dell’aria fumosa eppure effervescente che vi si respirava, basta dare uno sguardo all’acquerello di Adriano Cecioni Il Caffè Michelangelo (1860-866 ca., collezione privata) dove, sullo sfondo di una saletta verde, si riconoscono i ritratti deformati di 24 uomini. “Ventiquattro artisti, atrocemente caricaturati, stanno seduti alle tavole discutendo, urlando e ridendo”: lo descrisse così Signorini, che lo conservò tra le sue cose più care. 
Nel 1866 il Caffè chiuse i battenti. Qualche anno prima, molti dei suoi famosi avventori avevano preso parte alla seconda guerra di indipendenza e avevano accolto con entusiasmo la spedizione dei Mille per l’Unità d’Italia. Anche la prolifica avventura dei Macchiaioli stava per finire: si disgregano infatti nel 1870, lasciando in eredità uno stravolgimento dei codici pittorici e opere di inestimabile valore.

10 opere per raccontare i Macchiaioli

Iniziata nel 1855 circa, la produzione macchiaiola è davvero vasta. Abbiamo scelto alcune opere che ci permettono di entrare nella vita e nelle vicende di questo vivace gruppo di artisti.

I ritratti

Diego Martelli, oltre che teorico, fu grande amico e ospite generoso della congrega di artisti del Michelangelo, che a lungo soggiornarono nella sua ampia tenuta di Castiglioncello. Un luogo di pace e amenità ancora non corrotto dai ritmi e dalle abitudini della società cittadina. 
Il basco rosso, le gambe incrociate, la posa oziosa all’ombra degli alberi: così viene ritratto da Giovanni Fattori nel suo Diego Martelli a Castiglioncello (1867, collezione privata). Straordinari la tavolozza e il taglio della composizione, che persino anticipano le soluzioni impressioniste, restituendo tutta la quiete e la piacevolezza del contesto. Curiosamente, quest’opera non entrò mai nella collezione di Martelli che pure era solito acquistare per sé i capolavori macchiaioli. A lui si deve infatti il nucleo originario della collezione della Galleria d’Arte Moderna di Palazzo Pitti

diego martelli a castiglioncello giovanni fattori
Diego Martelli a Castiglioncello, Giovanni Fattori

Martelli era caro e benvoluto dai Macchiaioli, ma lo stesso non si può dire della sua consorte. Diego e Teresa Fabbrini si erano conosciuti in una casa di tolleranza ed erano poi convolati a nozze tra lo stupore di molti. Telemaco Signorini non nascose mai l’antipatia per questa donna semplice, forse persino insignificante che non reggeva il confronto con l’amico. La “signora Gegia” – com’era chiamata – fu però una presenza silenziosa e discreta e rimase al fianco di Martelli fino alla sua morte. La vediamo ritratta da Fattori nel suo La signora Martelli a Castiglioncello (1867 ca., Livorno, Museo Civico Giovanni Fattori). Seduta in giardino, su una chaise-longue simile a quella del marito, riposa immersa all’ombra dei lecci. Teresa infatti non è l’unica protagonista: gli alberi occupano gran parte del dipinto e ne scandiscono lo spazio, incorniciandola armoniosamente.

la signora martelli a castiglioncello giovanni fattori
La Signora Martelli a Castiglioncello, Giovanni Fattori

Se molto è noto della vita di Teresa, nulla sappiamo di Argia, protagonista di un altro capolavoro di Fattori. La cugina Argia (1861, Firenze, Galleria d’arte moderna di Palazzo Pitti), viene comunemente identificata così per via di un’iscrizione rinvenuta sul retro, eppure di lei non c’è traccia nella famiglia dell’artista. Ciò non toglie che si tratti di uno degli esiti più alti raggiunti dal pittore sul piano della forma e della resa psicologica del soggetto.
Una pittura decisa, carica di colore, descrive con poche pennellate l’abito, lo schienale della sedia e lo sfondo spoglio, la cui semplicità ricorda i pittori quattrocenteschi (fonte d’ispirazione costante per i Macchiaioli). E tuttavia la composizione non risulta affatto piatta o imprecisa, al contrario, la vivezza dello sguardo – diretto allo spettatore – e l’espressione gentile ma ombrata della fanciulla ne restituiscono la intrigante personalità.

la cugina argia giovanni fattori
La cugina Argia, Giovanni Fattori

Scene di vita quotidiana

Altrettanto densa e priva di contorni è la pittura di Giuseppe Abbati nel suo Interno di un chiostro del 1861 circa oggi alla Galleria d’arte moderna di Palazzo Pitti. Un piccolo capolavoro a olio che conferma la maestria di Abbati nell’applicazione delle potenzialità della macchia. I lavori di restauro della chiesa di Santa Croce, a Firenze, furono l’occasione per il dipinto. L’artista passava ore a studiare le geometrie dei blocchi di marmo ammassati alle pareti e i giochi di luce prodotti sulle loro superfici, arrivando infine a questa sintesi estrema e sofisticata. Per costruirla, Abbati ricorre alla prospettiva rinascimentale, nella quale inserisce una figura di spalle, in abiti medievaleggianti, e – veri protagonisti dell’opera – i bianchi blocchi rettangolari, quasi burrosi, in netto contrasto con le cromie austere del resto del dipinto. 

interno del chiostro di santa croce giuseppe abbati
Interno del Chiostro di Santa Croce, Giuseppe Abbati

Una vena di nostalgia attraversa invece tutte le opere di Silvestro Lega, compreso il suo famosissimo Un dopo pranzo (Il pergolato, 1868, Milano, Pinacoteca di Brera). Omaggio affettuoso alla vita borghese e al mondo femminile dell’epoca, è un’immagine di grande intimità e armonia. Raccolte sotto il pergolato per godere della frescura, madre e figlie attendono il caffè che una cameriera sta portando loro. Lega cattura la scena con una maestria straordinaria: la composizione prospettica, ispirata ai canoni rinascimentali, la ricca vegetazione e la varietà dei colori creano un’ambientazione luminosa e composta, pacifica e familiare. 

il pergolato silvestro lega
Il pergolato, Silvestro Lega

Altrettanto intima è l’ambientazione de Il canto di uno stornello del medesimo autore (1867, Firenze Galleria d’arte moderna di Palazzo Pitti), che raffigura tre giovani donne impegnate a cantare e suonare il piano in un interno domestico. Una composizione semplice eppure solenne, descritta in modo magistrale dalla luce che illumina la stanza, le vesti, i volti e lo spartito. Anche in questo caso, è vivo e visibile il ricordo dei grandi maestri del Quattrocento e, in particolare, delle figure monumentali di Piero della Francesca. Ne risulta un’atmosfera serena ma malinconica: in questo episodio realistico ma sospeso nel tempo, si intuisce la preoccupazione di Lega per il destino di una realtà – quella della colta borghesia non ancora industrializzata – ormai al crepuscolo.

il canto di uno stornello silvestro lega
Il canto di uno stornello, Silvestro Lega

Un gruppo di donne è anche quello che possiamo scorgere ne La rotonda dei Bagni Palmieri di Giovanni Fattori (1866, Firenze, Galleria d’arte moderna, Palazzo Pitti). Il luogo è decisamente più mondano, una banchina attrezzata di Livorno, dove sette dame borghesi si espongono all’aria di mare protette da un grande tendone color ocra. Tra loro, anche la giovane Settimia Vannucci, prima moglie di Fattori, malata di tisi. Questo dettaglio potrebbe spiegare in parte perché la piccolissima tavola (12 x 35 cm) non fu mai commentata dai contemporanei dell’artista, che la tenne sempre per sé in camera da letto. 
Le figure sono ridotte ai minimi termini, con un linguaggio pittorico che ricorda le tessere di un mosaico, su piani cromatici orizzontali che si esaltano tra loro. 
Eppure l’astrazione massima – alla quale Fattori giunse dopo numerosi studi e qualche ripensamento compositivo – non toglie nulla alla leggibilità della scena, che rende perfettamente la dimensione affettiva dell’opera.

la rotonda dei bagni palmieri giovanni fattori
La rotonda dei Bagni Palmieri, Giovanni Fattori

La storia contemporanea

Giovanni e Settimia si erano sposati da poco quando, nel 1861, l’allora ventisettenne pittore decise di visitare la Lombardia. La trasferta, legata alla sua carriera artistica, fu così l’occasione per realizzare un viaggio di nozze che, viceversa, non si sarebbe potuto permettere. Nel 1859 Fattori aveva vinto infatti il concorso indetto dal Governo Provvisorio della Toscana per la realizzazione di una tela a tema risorgimentale. Il suo bozzetto, raffigurante la Battaglia di Magenta (combattuta il 4 giugno 1859), era stato giudicato favorevolmente, ma per il dipinto finale era richiesta una maggiore somiglianza con i luoghi dello scontro. Queste dunque le ragioni della trasferta. Il campo italiano dopo la battaglia di Magenta (1862, Firenze, Galleria d’arte moderna di Palazzo Pitti) è il risultato finale dell’operato di Fattori che rinuncia alla retorica gloriosa della guerra per rappresentare un episodio minore: alcune suore caricano sul carro un ferito austriaco. Anche in questo caso, la riconoscibilità dei soggetti e dell’azione è evidente, pur nella compattezza del tratto, che riduce i dettagli all’essenziale. 

il campo italiano dopo la battaglia di magenta giovanni fattori
Il campo italiano dopo la battaglia di Magenta, Giovanni Fattori

Esposta, drammatica e brutale è la connotazione emotiva de La sala delle agitate al Bonifazio di Firenze firmata e datata da Telemaco Signorini (1865, Venezia, Galleria Internazionale d’Arte Moderna Ca’ Pesaro). Le donne, recluse a causa dei loro disturbi mentali, popolano lo spoglio ambiente dell’ospizio dando corpo a tutta la loro profonda solitudine con gesti di rabbia e disperazione, grida, pianti ed espressioni di inquieta rassegnazione. 

la sala delle agitate telemaco signorini
La sala delle agitate al Bonifazio di Firenze, Telemaco Signorini

Una rappresentazione talmente forte che causò lo sconcerto del pubblico e della critica ma il plauso di parte della comunità artistica. Pare infatti che il dipinto piacque così tanto a Degas, in visita presso lo studio dell’artista nel 1875, che l’anno dopo riprese il motivo della fila di tavoli scorciati nel suo L’Absinthe (1876, Parigi, Musée d’Orsay). 

l'absinthe edgar degas
L’Absinthe, Edgar Degas

Sembra che sia stato proprio Signorini a suggerire a Silvestro Lega il titolo del suo Bersaglieri che conducono prigionieri austriaci, del 1861 (Firenze, Galleria d’arte moderna di Palazzo Pitti), inizialmente chiamato Ritorno da una spedizione.
Secondo Signorini, infatti, ogni quadro dei Macchiaioli “ritornando invenduto, prendeva da sé il suo titolo di “Ritorno” da una spedizione!”. Il dipinto non rimase invendute e sancì l’adesione formale di Lega al movimento macchiaiolo (ma non, purtroppo, la sua fortuna economica, dal momento che morì poverissimo). Un’adesione visibile nelle contrapposizioni di colore, con il bianco della divisa austriaca che esalta – per contrasto – la gamma dei verdi e degli azzurri del dipinto; e nel trattamento del cielo e del paesaggio, descritti con una pennellata più mossa rispetto a quella dei soldati. L’opera è il racconto asciutto di un evento di portata storica e contemporanea all’artista ma priva dei patetismi e dei sentimentalismi tipici del Romanticismo.

bersaglieri che conducono prigionieri austriaci silvestro lega
Bersaglieri che conducono prigionieri austriaci, Silvestro Lega

I Macchiaioli, accomunati da visione politica e intenti artistici, hanno dato vita a un movimento innovativo compatto eppure sfaccettato, che coinvolse i pittori toscani e non solo. Le loro opere sono conservate oggi in numerosi musei italiani, ma una visita a Palazzo Pitti è certamente un ottimo punto di partenza per poterle ammirare dal vivo!

1 Artista, architetto e uomo di lettere alla corte dei Medici, Giorgio Vasari (1511-1574), fu anche autore de Le vite de’ più eccellenti architetti, pittori, et scultori italiani, da Cimabue insino a’ tempi nostri (edito nel 1550 e nel 1568, con aggiunte), opera fondamentale per la storiografia artistica italiana.

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