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Mitologia greca: storie di dei ed eroi in pittura e scultura

Mitologia greca: storie di dei ed eroi in pittura e scultura

opere d'arte mitologia greca perseo libera andromeda
opere d'arte mitologia greca perseo libera andromeda

Dalla sua nascita agli albori della civiltà ad oggi, il mito greco non ha mai smesso di affascinare letterati, filosofi e artisti. Sopravvissuto alle conquiste romane, alle invasioni barbariche, alle revisioni del cristianesimo e oltre, è giunto sino a noi anche grazie alle opere di pittori e scultori che ne hanno immortalato le storie. Dal Rinascimento in poi, infatti, dei, eroi e personaggi antichi tornano alla ribalta, riscoperti e celebrati per le loro gesta o per il loro significato politico, etico e morale. Esploriamoli assieme, soffermandoci su alcuni dei capolavori più celebri dedicati alla mitologia classica

Ercole: l’eroe per eccellenza

Ercole è l’eroe per eccellenza, simbolo di forza e resilienza, ma anche del Bene che vince contro il Male. Nato dall’unione di Giove con Alcmena, è da sempre inviso a Giunone e viene punito con una pena terribile: in un momento di follia indotta dalla dea, uccide i suoi tre figli. Per espiare la sua tragica colpa, Ercole entra al servizio del re di Tirinto che lo costringe ad affrontare le proverbiali dodici fatiche. Prove di coraggio e intelletto che affronta e supera, guadagnandosi così un posto tra gli dei dell’Olimpo. 
Nel Quattrocento, l’iconografia di Ercole si diffonde in tutte le principali corti signorili, proprio in virtù della sua simbologia potente e immediata. A Firenze era un soggetto molto sentito: pare che persino il grande Michelangelo, nel 1494, realizzò una statua di neve dell’eroe, destinata al cortile di Palazzo Medici. Ma forse nessun artista ne ha saputo restituire un ritratto più vivido e coinvolgente di Antonio del Pollaiolo, pittore, orefice e scultore eccellente.

Ercole e l’idra e Ercole e Anteo di Pollaiolo

Le due piccole tavole raffiguranti rispettivamente Ercole e l’idra e Ercole e Anteo (entrambe del 1475 ca.) conservate oggi alle Gallerie degli Uffizi di Firenze e la scultura in bronzo con il medesimo soggetto (1475 ca., Firenze, Museo del Bargello) sono tra le raffigurazioni più iconiche delle imprese dell’eroe.
Nella prima, Ercole vestito solo della pelle di leone – suo attributo tipico – si avventa contro l’idra, orribile mostro a sette teste, per ucciderla a colpi di clava. La forza fisica è resa evidente dalla muscolatura marcata del corpo, mentre il movimento è sottolineato dal rigonfiamento del mantello e dalle linee sinuose della bestia. Sullo sfondo, un acquitrino descritto con straordinaria minuzia, nonostante le esigue dimensioni del supporto (solo 15×12 cm). È probabile che la tavoletta, un tempo incorniciata, formasse un dittico insieme a quella di Ercole e Anteo. In questo secondo dipinto vediamo un’altra delle fatiche: Ercole che sconfigge Anteo, gigante uccisore di uomini. Anteo era figlio di Gea, dea della terra, e ricavava la sua forza smisurata dal contatto con il suolo: dopo averne capito il segreto, Ercole lo solleva e lo stritola in una morsa senza scampo. Osservando l’opera sembra quasi di sentire le grida di dolore del gigante, mentre l’eroe, possente, primeggia sullo sfondo di un paesaggio visto dall’alto, secondo un espediente già in uso nella pittura fiamminga.

ercole e idra e ercole e anteo pollaiolo
Ercole e l’idra (sn); Ercole e Anteo (ds), Pollaiolo

Medusa, Perseo e Andromeda: un mito articolato e fecondo

Altrettanto valoroso e rinomato, Perseo, figlio di Giove e di Danae. Giunto insieme alla madre alla corte di Polidette, riceve l’incarico – suicida – di portare al re la testa di Medusa. La più celebre delle tre Gorgoni, con il volto di donna e la capigliatura di serpenti, aveva il potere di pietrificare chiunque la guardasse. Con l’aiuto di Minerva e Mercurio, Perseo riesce nell’impresa e, sulla via del ritorno, ne compie una seconda. Avvistata la bella Andromeda mentre, incatenata a una rupe, sta per essere divorata da una belva marina, se ne innamora e decide di liberarla: sfodera così la spada e uccide il mostro. Con l’aiuto della testa mozzata di Medusa, che ha conservato il suo potere, elimina anche gli altri pretendenti della fanciulla. 
Calzari alati, spada ricurva e talvolta cavallo alato (Pegaso, nato dalla testa recisa della Gorgone), sono i tratti peculiari di Perseo, le cui gesta sono state rappresentate in molti modi e varianti.

La Testa di Medusa di Caravaggio

Ci si impietrisce davvero di fronte al capolavoro di Caravaggio intitolato alla Medusa e realizzato intorno al 1598 come dono per Ferdinando I de’ Medici (Firenze, Uffizi). L’opera, dipinta su uno scudo ligneo convesso, raffigura il volto della Gorgone appena decapitata, con la bocca spalancata in un urlo muto e i serpenti che si contorcono sul capo. L’uso drammatico della luce e il crudo realismo tipici dell’autore ne accentuano la forza espressiva: il sangue che sgorga dal collo, gli occhi terrorizzati, le vipere vive e pulsanti.
Lo sgomento di Medusa, uccisa dal suo stesso sguardo riflesso sullo scudo di Perseo, si trasmette direttamente allo spettatore, che non può sottrarsi al suo magnetismo affascinante e pericoloso. 

scudo con testa di medusa caravaggio
Scudo con testa di Medusa, Caravaggio

Perseo con la testa di Medusa di Benvenuto Cellini

Il Perseo con la testa di Medusa di Benvenuto Cellini è una delle più grandi sfide artistiche e tecniche del Manierismo. Alto quasi sei metri, con la base decorata, il colosso bronzeo fonde la forza michelangiolesca con la raffinatezza dell’arte orafa. Cellini nella sua autobiografia racconta la dura battaglia contro la materia: tra problemi tecnici, calunnie e una fusione che rischiava di fallire, l’artista arriva persino a sciogliere le sue pentole di stagno per salvare l’opera. Il risultato, però, è davvero straordinario: il corpo serpentinato di Perseo, i dettagli anatomici minuziosi e il drammatico realismo della testa mozzata di Medusa accolgono ancora oggi i visitatori di Piazza della Loggia, a Firenze.

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Perseo con la testa di Medusa, Benvenuto Cellini

Perseo libera Andromeda di Piero di Cosimo

Per il suo dipinto dedicato alla liberazione di Andromeda, Piero di Cosimo sceglie invece un’atmosfera decisamente fiabesca che stempera il dramma del mito. Eseguito tra il 1510 e il 1515 e destinato alla camera nuziale di Filippo Strozzi il giovane e Clarice de’ Medici (oggi si trova agli Uffizi), raffigura i tre momenti salienti della vicenda: in alto a destra Perseo vola verso Andromeda per salvarla dal mostro al centro della scena. Lo ritroviamo subito dopo sul dorso della creatura, pronto a sferrare il colpo mortale. Infine, in basso a destra, riconsegna la bella – divenuta poi sua sposa – alla famiglia, nel giubilo generale. Costumi orientaleggianti, strumenti musicali improbabili, proporzioni curiose hanno reso celebre quest’opera e il suo autore, noto per l’estro e l’originalità.

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Perseo libera Andromeda, Piero di Cosimo

Apollo e Dafne: un desiderio nefasto

Un amore non corrisposto, un desiderio rapace, è quello che lega invece la ninfa Dafne  – suo malgrado – e Apollo. Il dio, tornando trionfale dalla lotta contro il mostro Pitone, si imbatte in Amore e, inorgoglito dall’impresa appena compiuta, lo sbeffeggia dichiarandolo inadatto a manovrare arco e frecce, sue armi predilette. La risposta di Amore non si fa attendere: colpisce Apollo con un dardo dorato, capace di generare un subitaneo sentimento amoroso, e raggiunge Dafne con una freccia di piombo, causa del rifiuto d’amore. Il dio del sole si invaghisce immediatamente della giovane, che fugge via in una corsa disperata. Apollo sta per afferrarla quando la ninfa invoca l’aiuto del padre, il dio fluviale Peneo, che la trasforma in un alloro, pianta da quel momento sacra ad Apollo. 

Apollo e Dafne di Gian Lorenzo Bernini

È questo l’attimo scelto e fermato nel marmo da Gian Lorenzo Bernini, artista e architetto di conclamata fama nella Roma di inizio Seicento. L’opera, realizzata nel 1622-1625 (Roma, Galleria Borghese), rappresenta Apollo mentre insegue Dafne: il braccio sinistro proteso in avanti arriva a sfiorarle il fianco, ma la ninfa è già mutata sotto le sue dita. Non pelle ma corteccia, non piedi ma radici, non capelli ma foglie: in questo incredibile gruppo scultoreo assistiamo abbacinati alla trasformazione della donna che – mentre ancora si muove con sembianze femminili – già si radica al terreno e si protende verso il cielo, cambiando forma. La sorpresa del dio è palese nello sguardo e nell’espressione del volto. 
Bernini dà corpo al mito, coniugando enfasi ed equilibrio compositivo in un capolavoro estremamente scenografico e coinvolgente.

apollo e dafne bernini
Apollo e Dafne, Bernini

Venere, Vulcano e Marte: un triangolo amoroso

Di Venere sono celebri l’origine (raccontata in diverse versioni) e la sensuale bellezza, oggetto di opere intramontabili come la Nascita di Venere di Botticelli (1485 ca., Firenze, Uffizi) o la Venere di Urbino di Tiziano (1538, Firenze, Uffizi). Ma anche un altro episodio ha attirato l’attenzione degli artisti: quello dell’amore fedifrago tra la dea e Marte, dio della Guerra. Quando Vulcano, dio del fuoco, fabbro dell’Olimpo e marito della dea, scopre il tradimento grazie ad Apollo, orchestra una vendetta ignominiosa. Dopo aver steso una rete invisibile sul letto, attende che gli amanti vi si sdraino sopra per catturarli e chiamare a raccolta tutti gli altri dei, esponendo i due alla derisione generale.  

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Venere, Vulcano e Marte di Tintoretto

Venere, Vulcano e Marte di Tintoretto (1545-1550, Monaco, Alte Pinakothek) è un’opera intrigante che mescola mito e ironia, trasformando il classico tema dell’adulterio divino in una scena quasi teatrale. Venere giace nuda su un drappo scuro, il suo sguardo è turbato, ma più per pudore che per vergogna. Vulcano, raffigurato come un uomo maturo e barbuto, le si avvicina con interesse, cercando di scoprirla, mentre lei trattiene il velo in un gesto di timida resistenza. Marte, invece, assume una posa insolita e alquanto comica: il dio della guerra sbuca infatti da sotto una cassapanca. Intenzionato a fuggire, viene però tradito dal latrato di un cagnolino, simbolo della fedeltà coniugale. Amore, un fanciullo alato con la freccia in mano, giace addormentato poco più indietro.

venere vulcano e marte tintoretto
Venere, Vulcano e Marte, Tintoretto

Tintoretto stravolge così l’episodio mitologico trasformandolo in una scena vivace e quasi burlesca, non priva di simboli e significati ancora parzialmente indecifrati. Tuttora incerta è, ad esempio, l’interpretazione dello specchio (o si tratta dello scudo di Marte?) che si vede sullo sfondo poiché non riflette esattamente ciò che accade ma un momento successivo, quando Vulcano è salito con entrambe le gambe sul letto. Con un espediente simile a quello che verrà usato dal Bronzino per il suo Nano Morgante (1553 ca., Firenze, Palazzo Pitti), Tintoretto sembra introdurre nel suo dipinto la dimensione temporale affermando, in ultimo, la superiorità della pittura sulla scultura, incapace di fare altrettanto. 

Seppure così diversi tra loro, tutti questi capolavori ribadiscono – se mai ce ne fosse bisogno – la forza incontrastata del mito che, a dispetto del tempo e dei cambiamenti sociali, mantiene tuttora saldo il suo potere immaginifico e seducente. Un potere incastonato per sempre nella storia dell’arte e degli uomini.

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