La Medusa di Caravaggio: storia e segreti di un capolavoro

La Medusa di Caravaggio: storia e segreti di un capolavoro

medusa di caravaggio
medusa di caravaggio

Una tavola preparata a mo’ di scudo e rivestita di tela, di forma circolare anche se non perfettamente rotonda, arcuata e già precedentemente dipinta nella parte interna, quella concava, da ignoti. Forse è prerogativa degli artisti più grandi trarre da materia già lavorata opere inarrivabili come fece Michelangelo con il suo David, ricavato da un blocco di marmo di complessa struttura tanto da essere già stato abbandonato da due artisti, così l’altro Michelangelo, il Merisi detto Caravaggio (1571-1610), seppe fare di quel semplice pezzo di legno uno dei capolavori assoluti di tutti i tempi.

La sua Testa di Medusa, datata intorno al 1598, è infatti ancora oggi uno dei “pezzi” – per usare un termine caro a Caravaggio, come già segnalato da Roberto Longhi (“Che cosa aveva impedito sino a lui di rendere fedelmente ciò ch’egli chiamò per primo un <<pezzo>> di realtà, se non l’antica fabula de lineis et coloribus ch’egli avvertiva ormai come mitologia da lasciar finalmente cadere? Guardava intorno a sé, e la realtà gli appariva in <<pezzi>> bloccati di un universo dove non era luogo né a contorni, né a rilievi, né a colori con formule astratte […]”) – più ammirati e studiati dell’artista lombardo.Se basta un solo sguardo, alle riproduzioni o meglio ancora dal vivo, agli Uffizi di Firenze, per esserne subito rapiti, un’analisi più ravvicinata rivela tutto lo spessore di questa immensa opera.

La Medusa di Caravaggio

Non sappiamo con certezza quando Caravaggio realizzò la Medusa, poiché non ci sono fonti che lo attestano, ma sappiamo che venne consegnata dal cardinale Francesco Maria Del Monte alla Galleria degli Uffizi, come dono per Ferdinando I de’ Medici, Granduca di Toscana. 

È, con ogni probabilità, il 7 settembre del 1598 (o almeno così è riportato in un inventario della Guardaroba medicea) e possiamo immaginare la meraviglia del Granduca nello svolgere l’imbracatura di velluto tanè che proteggeva lo scudo e trovarsi davanti gli occhi pieni di orrore della Medusa. E poi la bocca spalancata, il divincolarsi delle serpi intorno al volto, il collo reciso e i fiotti di sangue che sgorgano copiosi e violenti. Sul fondo, un campo verde su cui la testa getta un’ombra scura. 

La portata innovativa della pittura di Caravaggio e del suo uso della luce è manifesta. Qui, come in altri suoi dipinti, il soggetto è colpito da una luce proveniente da un punto indefinito in alto a sinistra, a creare un mirabile effetto illusionistico: da certe angolazioni, infatti, la superficie convessa sembra concava. Ogni particolare, dall’espressione di terrore del volto al groviglio di serpenti, appare incredibilmente vero, credibile.

L’immagine è congelata, tutto è già successo, Medusa è appena stata decapitata. Eppure c’è vita: nei suoi occhi, che seguono lo spettatore in ogni suo movimento e nelle serpi, che si contorcono sopra e intorno al viso cercando di evitarne lo sguardo mortifero. Serpi identificate come vere vipere e rappresentate da Caravaggio con esattezza scientifica, a seguito di una diretta osservazione probabilmente avvenuta a Roma, nella dimora del cardinale Del Monte. Lo stesso Del Monte era infatti una personalità poliedrica, con interessi in ambito medico e farmaceutico. Verosimile quindi che avesse esemplari rettili per curiosità personale.

Oggi come allora, la vista dell’opera è sorprendente; tanto che i poeti Gaspare Murtola e il più celebre Giovan Battista Marino le dedicano due componimenti. Anche se parzialmente incompleta, mancano infatti le cinghie di cuoio e il cuscinetto del retro, e in un allestimento diverso dall’originale,un’armatura persiana dono del re di Persia Abbas il Grande al Granduca Ferdinando de Medici, la Medusa continua a destare ammirazione e sgomento in chiunque la guardi. 
Ma dove ha origine il tema commissionato al Merisi e quale il suo significato?

Michelangelo Merisi
Michelangelo Merisi detto Caravaggio

All’origine della Medusa: il mito di Perseo

Come accade, per via della natura mobile e cangiante del Mito, sono molte le varianti della vicenda di Perseo e Medusa, conosciute già al tempo di Caravaggio. Ovidio, Lucano, Plinio, sono solo alcuni degli autori classici che ne hanno narrato la storia; impossibile elencare qui tutte le versioni. A noi interessa riassumere per sommi capi l’episodio mitologico per comprendere a fondo l’iconografia dell’opera.

Perseo, figlio di Danae e di Zeus, deciso a liberare la madre dalle insidiose attenzioni del re Polidette, viene mandato a uccidere Medusa e a riportare in dono la sua testa. Medusa era infatti l’unica mortale delle tre sorelle Gorgoni e tra loro la più bella. Punita da Atena per aver profanato un suo tempio, dopo essersi unita a Nettuno, era stata trasformata in creatura mostruosa dai capelli in forma di serpenti e il cui sguardo pietrificava chiunque lo incrociasse.

Per compiere la sua impresa, Perseo ricorre proprio all’aiuto di Atena e di Ermes, messaggero degli dei. Grazie a loro raggiunge le Graie, sorelle delle Gorgoni. Dopo aver sottratto loro l’unico occhio e l’unico dente che le tre si passavano, riesce a sapere dove sono nascoste le Ninfe custodi del copricapo di Ade, capace di rendere invisibili, dei calzari alati e di un cesto magico. Armato da Ermes di falcetto adamantino e guidato da Atena, Perseo si reca nel luogo dove si trovano le Gorgoni e, usando con astuzia la superficie riflettente del proprio scudo, individua la Medusa evitando di rimanere impietrito e la decapita. Dal sangue sgorgato dalla testa della Medusa nacquero Pegaso, il cavallo alato, e il gigante Crisaore.

Conservata la testa di Medusa e il suo potere, Perseo lo userà per sconfiggere i diversi nemici che incontrerà sulla via del ritorno. Da quel momento, il capo anguicrinito della Gorgone Medusa è impresso, all’altezza del petto, sulla scintillante armatura di Atena.  

Precedenti storici e motivi ricorrenti

Il tema della Medusa non era nuovo alla storia dell’arte. Molto si è discusso e si discute ancora oggi su quali siano state le fonti che ispirarono Caravaggio a realizzare questa opera.
Tra le ipotesi più accreditate, quella che esistesse già un dipinto con lo stesso soggetto realizzato da Leonardo Da Vinci conservato nelle collezioni medicee. Menzionato da Giorgio Vasari nelle sue Vite de’ più eccellenti pittori, scultori e architettori (1550), il dipinto è oggi andato perduto ma è probabile che, se non lo stesso Caravaggio, quantomeno il cardinale Del Monte lo avesse ammirato durante la lunga permanenza fiorentina. Altri azzardano persino che proprio per competere con la Medusa di Leonardo, o forse per rimpiazzarla perché già smarrita, il cardinale ne avesse commissionata una nuova proprio al Merisi. 
Purtroppo non abbiamo testimonianze del dipinto di Leonardo, se non dalle parole del Vasari, ma è singolare come per molto tempo questo sia stato identificato con un’altra tavola tuttora presente nella pinacoteca fiorentina e in seguito attribuita a un pittore seicentesco di scuola fiamminga.

Qualunque sia la relazione tra le due opere, è certo che Caravaggio non fu il primo a ritrarre Medusa, né la sua fu la prima a entrare nel patrimonio mediceo. Molti sono gli esempi di Gorgone nel tempo: dalle antiche urne etrusche, ai monumenti di età romana, alle sculture, ai sarcofagi, alle monete, fino ad arrivare alle armature – di cui la cultura lombarda del Rinascimento è particolarmente ricca. Una su tutte: la Rotella del Bargello, scudo in acciaio cinquecentesco conservato al Museo del Bargello di Firenze. Ancora, la tavola raffigurante Minerva di Fra Bartolomeo (databile intorno al 1490-95 circa) in cui il volto della Gorgone appare impresso nello scudo della dea, e la Tazza Farnese, splendido capolavoro di glittica ellenistica, già inventariata tra gli oggetti di Lorenzo il Magnifico. Alcuni studiosi sostengono che proprio questa sia stata d’ispirazione per Caravaggio che l’avrebbe vista a Roma alla fine del Cinquecento, quando il cammeo era già stata acquisito da Ottavio Farnese come parte della dote di Margherita d’Austria, già vedova di Alessandro de’ Medici.

Il tema della Medusa era dunque noto e caro ai Medici, anche per le sue implicazioni simboliche. Ma Caravaggio seppe innovarlo, riproponendo e anticipando alcuni dei tratti propri della sua produzione. Come non riconoscere, in quell’“urlo strozzato che dura un quarto di secondo dopo la decapitazione” (come lo ha descritto Roberto Longhi, tra i massimi studiosi di Caravaggio) l’espressione estremizzata del Ragazzo morso da un ramarro dipinto dall’artista solo qualche anno prima? E, in effetti, la pittura caravaggesca è spesso sinestetica: a quelle citate possiamo aggiungere le grida mute del giovane che fugge nel Martirio di san Matteo (1600-1601) della Cappella Contarelli a San Luigi dei Francesi a Roma e di Isacco, nel Sacrificio di Isacco (1604-1604), visibile nella Galleria degli Uffizi.  Né questa sarà l’unica decapitazione con cui si cimenterà il Merisi. Basti pensare alla sua Giuditta e Oloferne (1599) o ai Davide con la testa di Golia, del 1605-1606 e del 1607. In tutti torna l’espediente, riuscito, del volto esanime: la bocca spalancata, i denti scoperti, il collo sanguinolento.  

medusa di caravaggio uffizi
Medusa di Caravaggio, Galleria degli Uffizi

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Possibili significati e interpretazioni

Dunque, qual è il significato della Medusa? 
Anche su questo, non mancano letture e interpretazioni. I più sono concordi nello scorgere, dietro all’omaggio del cardinale Del Monte, l’espressione di una vicinanza amicale e pratica (il cardinale curava gli affari medicei a Roma) e il riconoscimento di una saggezza massima
Donare un’immagine di Medusa, scriveva infatti Lodovico Dolce all’inizio del XVI secolo, “Dinoterebbe che colui a cui si mandasse dovesse stare armato contro le lascivie del mondo che fanno gli uomini divenir sassi, cioè gli priva dei sensi umani e gl’indurisce alle operazioni virtuose in guisa che niuna ne possono fare”. 
Uno scudo sinonimo di grandissima protezione, ornato con la stessa effige che Minerva, dea della sapienza, volle per sé a coprirle il petto armato. 
Non va inoltre trascurato il fatto che il mito di Perseo e Medusa era già stato investito di una valenza politica da parte dei Medici, dal momento che Cosimo I aveva commissionato a Benvenuto Cellini l’omonima scultura bronzea posta in Piazza della Signoria a Firenze, monito e celebrazione della dinastia medicea. 

3 curiosità sulla Medusa che forse non conoscevi

La Medusa degli Uffizi non sarebbe l’unica ritratta da Caravaggio. Durante le sue ricerche, infatti, Maurizio Marini ha rinvenuto in una collezione milanese un antecedente con il medesimo soggetto e diverse somiglianze con lo scudo fiorentino, ribattezzata Medusa Murtola. Secondo lo storico dell’arte, sarebbe stata questa, ancora in possesso di Caravaggio nei primi anni del Seicento, ad essere vista e celebrata dal poeta Gaspare Murtola. 
Molti però sono inclini a pensare che si tratti di una copia, fenomeno non insolito per l’epoca e soprattutto per Caravaggio, le cui opere sono state riprodotte in diverse versioni non autografe.

Il fondale verde su cui spicca il volto di Medusa nasconde alcune tracce d’oro, utilizzato invece abbondantemente nel bordo istoriato. Questo particolare farebbe pensare a un iniziale tentativo di Caravaggio di rendere la trasparenza della tela, su un probabile suggerimento di Del Monte, poi rimosso.

È noto infine il fatto che le decapitazioni pubbliche fossero piuttosto frequenti negli anni in cui Caravaggio visse e operò: eventi a cui, con ogni evidenza, lo stesso Merisi assistette diverse volte. Pare persino che Caravaggio fosse presente all’esecuzione nel 1599 di Beatrice Cenci, giovanissima e sfortunata nobildonna romana, accusata di aver ucciso, dopo anni di molestie e violenze, il padre. La vicenda a tinte fosche ispirò artisti e credenze popolari, tra cui quella secondo la quale lo spettro cefaloforo della donna apparirebbe ogni anno nel giorno della sua morte.

Sempre a proposito di credenze popolari, vale la pena ricordare che all’epoca era usanza comune cercare di evitare lo sguardo del decapitato per impedire che questi, nell’atto di morire, addocchiasse qualcuno, indicandolo così come suo prossimo compagno di sventura. Una convinzione che riecheggia anche nei versi del Murtola per lo scudo caravaggesco: “È questa di Medusa / La chioma avvelenata, / Di mille serpi armata?/ Sì, sì: non vedi come / Gli occhi ritorce e gira? Fuggi lo sdegno, e l’ira / Fuggi, ché se stupore agli occhi impetra, / Ti cangerà anco in pietra”. 

Sembra strano, oggi, pensare davvero di scansare la vista di Medusa da cui, invece, si rimane ipnotizzati. E con piacere. 

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