Benvenuto Cellini

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Orafo, scultore e scrittore fiorentino, Benvenuto Cellini è senza dubbio uno degli artisti di spicco del panorama manierista. Deciso e sanguigno, la sua vita è un continuo alternarsi di meravigliose creazioni ed episodi di violenza e crimine.

Gioventù e formazione –  Un carattere iracondo

Figlio di Giovanni d’Andrea di Cristofani ed Elisabetta Granacci, nasce a Firenze nel 1500 e cresce in una casa agiata. Il padre, come ricorda il Cellini nella sua autobiografia, lavora saltuariamente come ingegnere alla progettazione di ponteggi, macchinari per la lavorazione della lana e congegni vari, inoltre ricopre la carica di Piffero ufficiale dell’orchestra cittadina. Non a caso il piccolo Benvenuto inizia in tenerissima età a studiare musica.

A 13 anni viene mandato a bottega da Michelangelo Bandinelli e successivamente, nel 1515, da Antonio di Sandro, detto Marcone, entrambi orafi di altissimo livello. Nel frattempo, però, nonostante le evidenti doti come disegnatore, si trova costretto dal padre a continuare controvoglia lo studio della musica, il quale voleva per lui un brillante futuro nel settore. Già dalla prima adolescenza mostra i segni di un carattere iracondo, scontroso e spesso violento, caratteristiche che contraddistingueranno tutta la sua vita: a soli 16 anni è esiliato a Siena in seguito ad una rissa, e lì resterà diversi mesi coltivando la sua vera passione: l’oreficeria.

Rientra a Firenze, viene mandato a Bologna dal padre dove, nonostante l’evidente disinteresse per la musica, ancora una volta viene costretto dal padre a proseguire gli studi di strumento a Bologna. Nel capoluogo romagnolo entra in contatto con l’ambiente orafo e continua il suo perfezionamento. Rientra nel 1517 a Firenze ma dopo pochissimo fugge a Pisa per ragioni che nemmeno lui specifica che potrebbero avere a che fare con la famiglia. Da questo momento in poi lo ritroviamo un po’ ovunque nell’Italia centrale: alternando soggiorni e apprendistati tra Firenze, Siena e Roma presso svariati orafi e quasi sempre a seguito di risse o crimini di natura violenta. Durante questi anni ha modo di studiare i cartoni preparatori e i disegni di Leonardo e Michelangelo, di realizzare schizzi dal vero di vecchie rovine romane e di conoscere i giovani aiutanti di bottega di Raffaello.

I primi anni indipendenti: tra Chiesa e violenza

Nel 1523 avviene il primo crimine di cui abbiamo documentazione: una condanna a morte per aver accoltellato un orafo rivale. Fuggito a Roma, viene accolto bene nella capitale pontificia dove inizia a lavorare in autonomia appoggiandosi dapprima alla bottega di Lucagnolo da Jesi, poi a quella di Giovan Francesco della Tacca.

Costretto dalle circostanze ad assecondare il tanto disprezzato volere del padre, cede alla carriera musicale ed entra nella Fanfara di Papa Clemente VII come suonatore di cornetto. La stabilità fornitagli dallo stipendio da orchestrante e l’aumento delle commissioni orafe, nel 1524, permettono al giovane Benvenuto di aprire la sua bottega.

La sua permanenza, e il suo successo, a Roma si protraggono fino al 1527, fino al Sacco di Roma. Questo storico assedio è uno spartiacque fondamentale nella storia dell’arte, in quanto causerà una vera diaspora di artisti da Roma verso le altre corti italiane. Nel caso di Benvenuto Cellini, la storia è ancora più interessante: da sempre portato allo scontro fisico, prende parte attivamente alla difesa della città e, preso riparo insieme ad una parte dell’esercito papale all’interno di Castel Sant’Angelo, uccide il Duca Carlo di Borbone e ferisce il principe d’Orange. Finita la battaglia riesce a lasciare Roma e tornare a Firenze.

Gli anni di pellegrinaggio

Come per molti artisti del suo tempo, iniziano anche per Benvenuto una serie di lunghi anni passati a saltare da una città all’altra, di corte in corte alla ricerca di committenti. Nonostante le molte opere documentate, ma oggi perdute, non riesce ancora ad emergere, costretto a realizzare opere di scarsa rilevanza. Nel 1528 è a Mantova, dove realizza, tra altri piccoli lavori di oreficeria, un sigillo per il cardinale Ercole Gonzaga. L’anno successivo rientra a Roma come “maestro delle stampe” con il compito di supervisionare la zecca di stato e con l’occasione realizza un calice per Clemente VII. Sembra che per il Cellini sia tornato il momento di ristabilirsi alla corte papale. Come spesso accadrà nella vita di questo artista ribelle, le circostanze saranno purtroppo molto diverse. Nel 1531 uccide per vendetta l’assassino di suo fratello ma per questa volta viene graziato dal papa. L’anno successivo, riapre la sua bottega a Roma ma il pontefice lo priva della sua protezione e due anni dopo fugge a Napoli dopo aver aggredito e malmenato un notaio.

Nella città partenopea resta poco, mentre lavora ad una medaglia per riguadagnare la fiducia del papa. Mostrata l’opera a Clemente VII può rientrare a Roma ma lo stesso anno, il 1534, ancora una volta uccide un orafo rivale, Pompeo de’ Capitaneis. Per sua fortuna è da poco salito sul soglio pontificio un nuovo papa, Paolo III, che lo grazia. Nonostante il salvacondotto, finisce nel mirino del figlio del pontefice Pier Luigi Farnese ed è costretto nuovamente alla fuga, questa volta rientrando a Firenze. Qui ha l’occasione di ammirare la Sagrestia Nuova di Michelangelo, artista che negli anni aveva colpito Benvenuto più di tutti gli altri. A seguito dell’ennesimo litigio, questa volta con Ottaviano de’ Medici, lontano cugino del ramo di Lorenzo il Magnifico, rientra a Roma. La storia della vita del Cellini sembra sempre più ingarbugliata ma, grazie a questo nuovo soggiorno nell’Urbe, Papa Paolo III lo incarica di realizzare un omaggio per l’imperatore Carlo V: le incisioni per la copertina di un uffiziolo, ovvero un libro di preghiere, oggi perduto. Da qui la prima svolta: piano piano riesce a ritagliarsi un suo spazio all’interno delle corti europee, soggiornando anche a Parigi, forse per una commissione del re di Francia Francesco I. Nel 1537 rientra a Roma.

Ancora una volta finisce nei guai con la legge: nel 1538 viene accusato di aver approfittato della tragedia del Sacco di Roma per sottrarre dei gioielli al precedente papa e viene buttato in carcere. Riesce ad evadere quasi subito ma già l’anno successivo è di nuovo dietro le sbarre. Viene infine liberato e parte alla volta di Ferrara dove lavora per il cardinale Ippolito d’Este. in seguito, per molti anni ancora, continua a peregrinare tra Italia e Francia, almeno fino ad un inatteso punto di svolta.

La Saliera e la tanto attesa gloria

Durante l’ultimo, e più esteso, soggiorno presso la corte del re di Francia, realizza la prima opera ancora oggi conservata e che lo renderà famoso in tutte le corti d’Europa: la Saliera di Francesco I. Questo splendido oggetto in oro, ebano e smalto mostra inequivocabilmente le sue notevoli doti di orafo, le sue capacità compositive, oltre che la conoscenza dei modelli scultorei dell’amato Michelangelo. Non solo un bel soprammobile, la Saliera è una vera e propria opera d’arte, una scultura in miniatura, e mostra chiaramente i segni e lo stile che sarà poi conosciuto come Manierismo.

Ormai un artista riconosciuto, finalmente, nel 1545 riesce a tornare stabilmente nella sua città natale, accolto dal Granduca Cosimo I che lo nomina scultore di corte ufficiale. La scelta del Granduca può sembrare azzardata, considerato che di quel periodo ci resta solo la Saliera, ma dalle fonti dell’epoca sappiamo invece che durante i soggiorni francesi l’artista si era dedicato alla realizzazione di grandi opere in bronzo. Nello specifico era stato incaricato di realizzare dodici gigantesche statue torciere per la riva sinistra della Senna. Cosimo I commissiona dunque al Cellini il proprio busto nel 1548, oggi al Museo Nazionale del Bargello, ed infine, la sua opera più celebre: Perseo con la testa di Medusa.

Perseo con la testa di Medusa, 1545
Perseo con la testa di Medusa, 1545
Perseo con la testa di Medusa, 1545
Perseo con la testa di Medusa, 1545

L’epopea del Perseo

Il progetto del Perseo è senza dubbio il più ambizioso della sua carriera. L’obiettivo è realizzare un colosso in bronzo, alto oltre tre metri, quasi sei se si conta la base riccamente decorata, che coniughi la sapiente maestria e attenzione al dettaglio dell’orafo con la forza della statuaria michelangiolesca. Studiando i bronzi antichi, punta a fondere la statua in soli tre pezzi da saldare poi insieme. Nella sua autobiografia Cellini racconta dettagliatamente la dura lotta contro la sua stessa opera, la battaglia che fu la sua realizzazione. Mentre lavora al Perseo, viene ricattato dalla madre di un suo garzone con il quale era sospettato di avere una relazione omosessuale. La donna cerca di estorcergli del denaro ma Benvenuto non è certamente tipo da farsi intimorire e, dopo averla minacciata con un coltello, fugge verso Venezia col giovane dove resta per qualche tempo. Rientrato in città realizza la testa di Medusa, il primo pezzo del puzzle. A corto di collaboratori e con la reputazione rovinata dalle calunnie dei suoi avversari, continua imperterrito a lavorare al suo capolavoro. Improvvisamente viene colto da violenti episodi di febbre, forse causati dall’esposizione ai fumi tossici prodotti dalla fusione dei metalli, ma non demorde. Come se non bastasse la fornace della bottega comincia gradualmente a perdere calore a causa di un forte temporale, rallentando ulteriormente la fusione. Riportata l’attrezzatura allo stato ottimale, la fusione della lega per le parti restanti risulta troppo densa per la colatura e l’artista, in un ultimo gesto disperato, fonde tutte le pentole di stagno che ha in casa per riuscire ad ottenere la densità corretta.

Bisogna dire che, col senno di poi, lo sforzo immane di Benvenuto Cellini ha dato i frutti sperati. Il Perseo sorprende per la sua potenza, per i guizzanti muscoli dell’eroe e per l’attenzione ai più minuti particolari anatomici e decorativi. Qui abbiamo la summa perfetta dell’eco classica del Rinascimento propriamente detto e della figura serpentinata, snodata e languida tipica del manierismo. Un incontro tra la potenza di Michelangelo e la grazia di Donatello, il tutto visto attraverso una lente nuova, moderna, essenzialmente unica. In questa opera meravigliosa troviamo la straordinaria resa pratica della teoria delle vedute del Cellini: secondo l’artista, un’opera di scultura, per potersi definire completa, deve avere almeno otto vedute, ognuna di egual qualità. Deve insomma essere ammirabile a 360 gradi.

Gli ultimi anni

Dopo la realizzazione del Perseo, Benvenuto Cellini entra in rotta con il Granduca e cessa così la sua collaborazione con Cosimo I. Al suo posto altri entrano nelle grazie del potente monarca, probabilmente per il loro carattere più accondiscendente e per l’adesione totale al programma culturale fiorentino: Baccio Bandinelli e Bartolomeo Ammannati. Non potendo più lavorare, inizia a scrivere le sue memorie, oggi conosciute come La Vita.

Benvenuto Cellini muore a Firenze nel 1571, dopo aver donato tutte le sue opere invendute al Granduca Francesco I de’ Medici. 

Foto di copertina: Perseo con la testa di Medusa, 1545, Benvenuto Cellini, Galleria degli Uffizi, Firenze

Dove e quando

Firenze, 1500 – Firenze, 1571

Arte

Oreficeria, scultura e scrittura

Musei

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