Quando visitiamo un museo e rimaniamo incantati di fronte a dipinti di epoche passate facciamo inevitabilmente un esercizio di interpretazione. Non sempre riconosciamo con facilità soggetti e scene rappresentate e nel caso dei santi questo è ancor più vero.
Attributi, atteggiamenti ed episodi della vita dei beati non ci sono più familiari, per questo a volte fatichiamo a comprendere il senso di un’opera, che anzi può apparirci bizzarra o insolita.
Un bel paradosso, considerando che per tutto il Medioevo e oltre, l’iconografia dei santi è stata un patrimonio codificato e condiviso e la loro raffigurazione uno strumento educativo alla dottrina religiosa.
Imparare a identificare questi protagonisti significa non soltanto riconoscere immediatamente il tema dell’opera, ma anche riuscire a coglierne il sottotesto simbolico.
In questa breve guida passiamo in rassegna le vicende e gli oggetti di appartenenza di alcuni dei santi più ricorrenti in pittura e che destano curiosità e interesse frequenti.
Sant’Anna
Nonostante il culto di Sant’Anna sia piuttosto antico, il suo ingresso nel calendario liturgico risale solo al 1584. Anna, madre della Vergine Maria, è tuttavia presente in numerosi dipinti che precedono questa data e che la raffigurano come una donna anziana e spesso connotata da un manto verde, in compagnia di Maria Bambina e del marito Gioacchino.
Dopo vent’anni di matrimonio senza figli, Gioacchino – convinto di essere maledetto da Dio – si era allontanato dalla famiglia, ma un angelo preannunciando l’arrivo di un figlio, nonostante la tarda età, lo riavvicina ad Anna.
Tra le rappresentazioni più note di Sant’Anna non possiamo non citare la Sant’Anna Metterza di Masaccio e Masolino da Panicale, esposta alla Galleria degli Uffizi, in cui compare il motivo – espresso dal termine toscano metterza, ovvero mi è terza – della triade: Anna, genitrice di Maria e progenitrice di Gesù. Solida e austera, Anna appare anche nella Madonna dei Palafrenieri di Caravaggio, di quasi due secoli più tarda ma ugualmente dignitosa e solenne.
Santa Caterina d’Alessandria
Caterina d’Alessandria aveva origini nobili: figlia del re di Costa, si rifiutò di sposare l’imperatore Massenzio, pagano, essendo lei una fervente cristiana.
Nel tentativo di farla cedere, Massenzio inviò al suo cospetto filosofi e intellettuali affinché la convincessero a cambiare idea. Caterina non solo non si fece intimidire, ma riuscì a portare alla conversione i dotti intellettuali, che vennero condannati al rogo dall’imperatore.
A Caterina fu invece riservata la prigionia senza cibo. Ma nutrita da una colomba mandata da Dio, sopravvisse. Venne quindi sottoposta al supplizio della ruota dentata, e anche questa volta l’intervento divino arrivò in suo aiuto, rompendola. Caterina fu infine giustiziata e dal suo collo, narra la leggenda, fuoriuscì latte.
I nobili natali di Caterina sono spesso richiamati dalla corona, ma il suo emblema per eccellenza è la ruota dentata. La santa è anche rappresentata con la palma del martirio e, in alcuni casi, con la spada con cui venne decapitata, oltre che con l’anello del matrimonio mistico.
Troviamo quasi tutti i suoi attributi nel dipinto di Hans Memling Madonna con Bambino in trono e quattro santi (oggi al Museo Memling di Bruges), del 1474-1479 circa, dove Caterina appare inginocchiata alla destra della Vergine: in abiti sontuosi, la spada e la ruota ai suoi piedi. Decisamente più semplice è la veste del ritratto che ne fece, all’inizio del XV secolo, Masolino da Panicale nel suo affresco dedicato al Martirio di Santa Caterina nella Chiesa di San Clemente a Roma.
San Francesco d’Assisi
Francesco nacque ad Assisi, in Umbria, nel 1181. Il padre, Pietro Bernardone, era un ricco mercante di stoffe e Francesco crebbe nel benessere e nella convinzione di diventare cavaliere fino a quando, sulla via del combattimento, a Spoleto, venne colto da una visione.
Così, a soli 23 anni, decise di abbandonare le armi e iniziare un percorso di conversione, penitenza e povertà che lo porterà a rinunciare a tutti i suoi beni e a fondare l’Ordine dei Frati Minori che ancora oggi conserva il suo nome.
Gli episodi della sua vita sono molti e ampiamente documentati anche dalle opere che lo rappresentarono dopo la sua morte, avvenuta nel 1226. Canonizzato due anni dopo, Francesco divenne uno dei santi più popolari della cristianità.
Gli affreschi della Basilica di San Francesco ad Assisi e quelli della Cappella Bardi di Firenze entrambi ad opera di Giotto (1265 – 1337) sono testimonianze preziose della vita e del culto del santo, raffigurato spesso con il saio, la croce e le stigmate. Queste ultime, ricevute sul monte della Verna poco prima di morire, sono il suo principale attributo iconografico. Lo si vede bene, ad esempio, nell’olio su tela San Giovanni Evangelista e San Francesco d’Assisi di El Greco, risalente al 1600 e oggi parte della collezione degli Uffizi, dove il santo appare emaciato e – nel portare la mano al petto – mostra la ferita.
San Giovanni Battista
Ciò che sappiamo di Giovanni Battista lo dobbiamo ai Vangeli e alle fonti apocrife. Giovanni, figlio di Elisabetta (cugina di Maria) e di Zaccaria, nacque poco prima di Cristo.
Abbandonata la famiglia in tenera età, visse nel deserto come eremita, predicando e battezzando presso il fiume Giordano. Qui si svolse, per sua mano, anche il battesimo di Gesù. Quando lo vide, Giovanni pronunciò le parole: “ecco l’agnello di Dio” e queste spiegano l’agnello con cui viene spesso rappresentato. Altri suoi emblemi sono le vesti di pelle di animale, la croce e il cartiglio.
Su ordine di Erode, Giovanni venne decapitato esaudendo così il capriccio di Salomé. Figlia di Erodiade (amante di Erode e moglie del fratello), Salomé si era infatti guadagnata il diritto di vedere esaudito qualunque suo desiderio, che espresse chiedendo la testa di Giovanni.
Tra le opere conservate agli Uffizi sono molte quelle che ritraggono San Giovanni Battista, in diverse fasi della sua vita: è bambino nella Madonna del Cardellino di Raffaello, giovane uomo nella tavola Madonna con Bambino, San Giovanni Battista, Sant’Antonio abate, Santo Stefano e San Girolamo di Rosso Fiorentino, adulto maturo nel dipinto di Andrea del Verrocchio e Leonardo da Vinci del Battesimo di Cristo.
In tutti però rimane perfettamente riconoscibile, anche grazie al ripetersi di motivi iconografici precisi.
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San Girolamo
Nell’iconografia dei santi, quella di San Girolamo, o Gerolamo, è una delle più distintive. Uomo colto, nato da una nobile famiglia cristiana di Aquileia, Girolamo viaggiò molto per studiare e intessere rapporti con teologi ed esegeti del tempo e, dopo essersi fatto monaco, passò cinque anni come eremita nel deserto (dal 353 al 358).
Si trasferì quindi a Roma dove ricevette l’incarico dal papa di tradurre la Bibbia dalle antiche versioni greca ed ebraica al latino, la cosiddetta Vulgata.
Data l’importanza del compito, nel Medioevo si diffuse la convinzione che, per poterlo svolgere, Girolamo dovesse essere stato fatto prima cardinale.
Da qui deriva il manto rosso cardinalizio e persino il cappello da cardinale con il quale lo si vede in numerosi dipinti, come nella Sacra Famiglia con San Girolamo di Lorenzo Lotto. Questi non sono però gli unici attributi che gli son propri. Si aggiungono anche una pietra, con la quale soleva percuotersi il petto in segno di penitenza; il Libro o un cartiglio, allusione alla sua opera di revisione e studio; il teschio, simbolo della vanità terrena e meditazione sulla morte; il leone che, secondo la Legenda Aurea, Girolamo aveva guarito nel monastero di Betlemme, senza separarsene più. In alcuni dipinti viene ritratto anche accanto a una clessidra, che segna il passaggio e la caducità del tempo.
Una delle rappresentazioni più complete che hanno come soggetto San Girolamo è un olio su tavola di Giorgio Vasari che nel 1541 dipinse la Tentazioni di San Girolamo, oggi alla Galleria Palatina di Palazzo Pitti.
Qui il santo appare inginocchiato vicino a una roccia, con la pietra al petto, il leone ai suoi piedi, il manto rosso attorno al braccio che sorregge una croce dietro alla quale fanno capolino i libri e il teschio. Tutt’attorno figure del mito – Venere e Cupido – e allegorie (il fanciullo personificazione del Gioco) si spostano come per uscire di scena, incapaci di indurre il santo in tentazione.
San Lorenzo
Diacono di papa Sisto II durante l’impero di Valeriano, Lorenzo subì il martirio nel 258 per aver distribuito i beni della Chiesa ai poveri, contro il volere del prefetto imperiale.
I suoi attributi tipici sono la dalmatica (la lunga veste di epoca romana utilizzata come paramento liturgico), il libro dei salmi e la graticola su cui fu torturato.
Secondo la tradizione apocrifa, mentre gli veniva inflitta la pena, Lorenzo rivolse queste parole a Valeriano, che stava assistendo: “Da questa parte sono arrostito, girami dall’altra e mangiami”.
La graticola rovente è alla base non di un dipinto, ma di una scultura di Gian Lorenzo Bernini che ritrae il santo mentre si contorce sulle fiamme volgendo lo sguardo al cielo. Secondo la biografia del Bernini redatta dal figlio Domenico, lo scultore – deciso a immortalare fedelmente il dolore del santo – lo provò sulla propria pelle. Dopo essersi posizionato davanti a uno specchio, distese una gamba nuda sulla brace e, mentre bruciava, iniziò a disegnare con una matita le espressioni del proprio volto. Ma Lorenzo non è rappresentato solo sul luogo del martirio, e anche se non mancano esempi eccellenti, non possiamo fare a meno di rimpiangere la versione della Natività con i santi Lorenzo e Francesco d’Assisi di Caravaggio, trafugata nel 1969 dall’Oratorio di San Lorenzo a Palermo, dove si trovava, e mai più recuperata.
Santa Lucia
Lucia fu vittima delle persecuzioni di Diocleziano contro i cristiani. Denunciata dal suo promesso sposo, al quale si era rifiutata di unirsi, Lucia morì decapitata nel 304 non senza aver dato parecchio filo da torcere ai suoi aguzzini. Furono vani infatti i tentativi di portarla in un postribolo, di violentarla e di bruciarla sul rogo; così come quelli di portarla via mentre disquisiva con il prefetto. Resa pesantissima dallo Spirito Santo, non fu possibile spostarla neanche con l’aiuto di diversi buoi.
È questo l’episodio rappresentato da Lorenzo Lotto nel suo dipinto Santa Lucia davanti al giudice, oggi alla Pinacoteca Nazionale di Jesi.
Cosa distingue Santa Lucia? Oltre alla palma del martirio e alla spada o pugnale con cui venne decollata, spesso la santa porta i suoi stessi occhi su un piatto.
Questo attributo deriverebbe dal significato del suo nome, Lucia quindi luce, che ha portato alla nascita di leggende circa una presunta tortura agli occhi. Uno dei dipinti più fortunati e famosi di questa beata martire è conservato oggi alla National Gallery di Washington ed è la Santa Lucia di Francesco del Cossa, nel quale la donna regge la coppia di occhi con la mano sinistra, quasi fossero un ramoscello fiorito.
San Michele Arcangelo
La definizione dell’Arcangelo Michele quale condottiero degli angeli nella lotta contro il demonio proviene dal Libro dell’Apocalisse (Ap. 12, 7-8) e ci aiuta a comprenderne la raffigurazione. Alato e maestoso, San Michele Arcangelo veste un’armatura ricca di ornamenti (a volte sostituita da abiti nobiliari) ed è spesso ritratto impegnato nella lotta contro gli angeli ribelli e il drago, emblema di Satana, e nella pesa delle anime.
Quasi sempre rappresentato con in mano una spada, Michele può essere riconosciuto anche per via della bilancia con la quale, secondo la tradizione, valuta i defunti al cospetto di Dio. Appare così, ad esempio, nel dipinto di Bernardo Zenale del 1490 circa oggi conservato agli Uffizi o nell’omonima icona russa di epoca più tarda (1725-1750 ca.) visibile al Museo delle Icone Russe presso Palazzo Pitti.
San Sebastiano
L’immagine di San Sebastiano a cui siamo più abituati è quella rinascimentale. Durante questo periodo, infatti, si diffonde l’iconografia del santo come di un giovane legato a una colonna o a un albero, trafitto dalle frecce. In realtà questa è solo una delle rappresentazioni di Sebastiano e, pur raffigurando uno dei suoi attributi principali, non coincide con la sua causa di morte.
Soldato originario della Gallia, Sebastiano entrò a far parte dell’esercito di Diocleziano e, convertito al cristianesimo, aiutò altri cristiani imprigionati. Questo atto coraggioso gli costò la condanna a morte. Colpito dalle frecce, venne preso per morto e abbandonato, ma soccorso dalla vedova Irene si riebbe e tornò al cospetto di Diocleziano. L’imperatore comandò allora che venisse ucciso a bastonate e che il suo corpo fosse gettato nella Cloaca Massima, la più grande fogna romana dell’epoca. Da qui fu prelevato da un cristiano e sepolto nelle catacombe.
Oltre alle frecce Sebastiano è accompagnato spesso dalla palma del martirio. Antonello da Messina ci ha lasciato uno dei San Sebastiano più indimenticabili della storia, oggi custodito presso la Gemäldegalerie di Dresda.
Come abbiamo visto, spesso i santi sono protagonisti di opere dedicate a loro e alle loro vicende. Eppure non mancano, nella storia dell’arte, scene corali in cui schiere di santi fanno da quinta alla Sacra famiglia o si inseriscono in episodi di devozione privata.
Provare a riconoscerli attraverso la sola indagine iconografica, senza l’ausilio della didascalia, può offrire l’occasione di testare la propria memoria e il proprio spirito di osservazione. Un passatempo che può persino diventare un modo per incuriosire e coinvolgere i bambini durante la visita al museo. Ad esempio, dopo aver letto questo articolo, sapresti riconoscere i santi dell’affresco Madonna in trono di Andrea del Castagno esposto agli Uffizi o quelli della Madonna con bambino in trono di Domenico Veneziano, nella medesima galleria?