La Maestà di Ognissanti: il naturalismo di Giotto agli Uffizi

La Maestà di Ognissanti: il naturalismo di Giotto agli Uffizi

maesta giotto madonna di ognissanti
maesta giotto madonna di ognissanti

Varcando la soglia della Sala delle Maestà agli Uffizi di Firenze non si può che rimanere colpiti dall’imponenza delle opere che ne occupano le pareti. L’allestimento essenziale consente infatti di godere appieno e senza distrazioni delle tre tavole ad opera rispettivamente di Duccio da Buoninsegna (Madonna Ruccellai, 1285), di Cimabue (Maestà di Santa Trinita, 1290-1300) e di Giotto (Maestà di Ognissanti, 1305-1310).
Ed è quest’ultima, collocata in posizione di rilievo nella parete centrale, ad accogliere per prima il visitatore e a distanziarsi in modo evidente – anche ad occhi meno esperti – dalle altre due. Proprio della Maestà di Giotto ci occupiamo qui, per conoscerne l’origine, il significato e le vicende espositive.

madonna col bambino cimabue
Maestà di Santa Trinita, Cimabue
madonna ruccellai duccio da buoninsegna
Madonna Ruccellai, Duccio da Buoninsegna

Origine e iconografia

La Maestà di Ognissanti è così chiamata per via del soggetto e della sua collocazione d’origine. Si definiscono Maestà infatti le raffigurazioni della Vergine con il Bambino seduta in trono e circondata da Angeli: un motivo piuttosto comune nell’Italia centrale del Due-Trecento. 
Ognissanti invece è il nome della chiesa fiorentina da cui proviene questa tavola. 
Non sappiamo con certezza chi commissionò l’opera a Giotto, ma è probabile che si trattasse dell’ordine degli Umiliati, una ricca compagnia di frati che abitava e amministrava la chiesa. Altrettanto incerta è la data di esecuzione, comunemente fissata tra il 1305 e il 1310, quando Giotto era già un artista noto e chiamato a lavorare in tutta la penisola, apprezzato anche per quel naturalismo nuovo che aveva introdotto nelle sue opere. 

Osservatore attento dei fenomeni naturali, Giotto apporta un cambiamento tanto evidente quanto fondamentale per lo sviluppo della futura pittura rinascimentale, come ben visibile anche nella sua Maestà
La Madonna di Giotto siede su un trono riccamente decorato con in grembo il Bambino, immortalato nell’atto di benedire gli astanti con la destra, mentre nella mano sinistra regge un cartiglio. Schiere di Angeli e Beati si raccolgono attorno alla struttura portando doni, mentre ai suoi piedi si inginocchiano altri due cherubini che offrono vasi di fiori.

maesta di ognissanti giotto
Maestà di Ognissanti, Giotto

A differenza delle tavole di Duccio e Cimabue (entrambe connotate dalla rigidità dell’impostazione e da elementi formali tipici dell’arte bizantina, come i decori dorati delle vesti), le figure di Giotto presentano una corporeità nuova attraverso i panneggi che disegnano, morbidi, le forme. È la prima volta che i volti esprimono sentimenti e intenzioni: solennità, riverenza ma anche dolcezza, come quella del sorriso appena accennato di Maria, il primo della storia dell’arte. E poi c’è lo spazio, descritto minuziosamente nei materiali e nei dettagli del trono, al quale Giotto conferisce una profondità che non è ancora prospettica ma non per questo meno allusiva: la disposizione dei Beati in più file, con le teste che si sovrappongono coprendosi a vicenda, serve a dare l’illusione ottica di un ambiente tridimensionale. Oltre i volti visibili, si possono scorgere anche i segni di altre aureole, un espediente che aumenta la percezione di una moltitudine continua. 

Se Giotto, per dirla con le parole di Cennino Cennini, “fu colui che rimutò l’arte del dipingere di greco in latino”, questa Maestà è senz’altro una delle dimostrazioni più riuscite. Ma ciò che all’occhio contemporaneo può sembrare una composizione semplice da decifrare, conserva invece non pochi simbolismi e significati nascosti

Personaggi e simbologie della Maestà di Giotto

Tra gli studiosi che si sono interrogati sull’identità delle figure che circondano la Vergine e il Bambino in questa Maestà, Margrit Lisner ha fornito una delle interpretazioni più convincenti e accreditate. Secondo l’autrice l’ideale spartizione in due del dipinto, a sinistra Maria e a destra il Bambino, può aiutare infatti a decifrare anche le altre figure.
Guardando la pala e partendo dal basso, quello dei due Angeli inginocchiati, si notano i fiori: rose bianche e rosse e rami di gigli, simboli della condizione verginale di Maria, della sua castità e carità. Agli stessi fiori si riferisce anche il cartiglio con le parole della Vergine nella Maestà di Simone Martini, nell’affresco al Palazzo Pubblico di Siena (1313-1321): “Li angelichi fiorecti, rose e gigli, / onde s’adorna lo celeste prato…”.

simone martini maesta
Maestà, Simone Martini

I due angeli con le tuniche verdi che si trovano in piedi sul primo gradino, a sinistra e a destra del gruppo divino, offrono rispettivamente una corona, richiamo a Maria in quanto Regina dei Cieli, e una pisside eucaristica coperta (arredo sacro che contiene le ostie), che allude alla Passione di Cristo.
Nelle due donne vestite di rosso e parzialmente coperte dalle aureole poco più sopra, è invece possibile riconoscere le sante martiri Lucia (a sinistra, con il volto velato) e Caterina d’Alessandria (a destra, con la corona). La prima era particolarmente cara agli Umiliati e il velo si addice alla sua castità e a quella di Maria; mentre la seconda fu sempre devota a Dio e ne ricorda la Passione. 
Ancora, i due monaci barbuti che spiccano oltre l’ampio traforo del trono, in ultima fila, sarebbero identificabili con San Paolo, calvo e vestito di rosso (come già nella Morte della Vergine, opera di Giotto del 1312-1314 ca. sempre per la chiesa di Ognissanti, oggi a Berlino), e San Benedetto, con l’abito bianco come quello indossato dagli Umiliati. San Paolo è infatti il massimo testimone dell’Assunzione di Maria – e pertanto si trova dal suo lato – mentre Benedetto è legato ancora una volta alla Passione di Cristo. 

morte della vergine giotto
Morte della Vergine, Giotto

Alle spalle di Paolo, sarebbe presente invece un giovane San Giovanni, che fa da contraltare, sul lato opposto, a un giovane Isacco. Sulla lettura delle ultime figure c’è però qualche incertezza e potrebbe trattarsi dei Patriarchi (appunto, Abramo, Isacco e Giacobbe) oppure di Profeti (Geremia, Daniele e Isaia).

Infine, non meno importante, la novità della veste di Maria: non rossa o blu, come da tradizione, ma bianca. Un colore che Giotto usa anche qualche anno prima nel ciclo di affreschi della Cappella degli Scrovegni, quando deve rappresentare Maria giovane. Ma se il bianco si può spiegare come simbolo di purezza, meno chiaro è il significato del colore della fodera del mantello della Vergine, insolitamente rosso, probabile rimando alla Passione del Figlio (da notare che la stoffa passa infatti tra le gambe del Bambino, vestito di rosa pallido). 

Tutte queste figure partecipano al senso unitario dell’opera: quello della Salvezza.
Maria evoca il perdono e la misericordia, mentre il Cristo benedicente e i vari richiami alla Passione parlano di redenzione. Esempi della Grazia di Dio sono le Sante martiri e San Benedetto insieme allo stuolo di Beati e Angeli che guardano il Salvatore inscenandone l’adorazione. 

La collocazione dubbia

Oltre all’identificazione dei personaggi, rimane aperta la questione dell’esatta collocazione della pala all’interno della chiesa di Ognissanti, oggi peraltro molto diversa da com’era nel Trecento. 
Ormai la critica è concorde nel confutare la tesi che la voleva posta sull’altare maggiore e dove, a partire dal 1360, sarebbe stata sostituita dal polittico di Giovanni da Milano (oggi purtroppo smembrato in più parti, alcune delle quali conservate agli Uffizi). Le motivazioni sono le seguenti: la prima, più immediata, è che difficilmente un artista lombardo avrebbe potuto soppiantare l’opera di un artista locale della statura di Giotto che, a così poca distanza dalla sua morte, godeva di una fama addirittura crescente. 

Avvicinandosi al dipinto giottesco, si notano poi alcuni particolari che sembrano indicare una disposizione – e quindi un punto di osservazione – laterale e non centrale rispetto all’asse della chiesa. Innanzitutto, va considerata la luce: al di là dell’illuminazione che si irradia dall’alto (interpretabile come luce divina), un’altra fonte luminosa va collocata idealmente in alto a destra, al di fuori della cornice. Ne sono prova, ad esempio, l’interno destro del trono in penombra (laddove quello sinistro appare invece illuminato); il manto della Vergine schiarito in corrispondenza delle ginocchia e delle pieghe verso destra e più scuro nella parte sinistra; i contrasti marcati tra luce e ombra delle figure disposte a sinistra, come fossero colpite da un bagliore proveniente dalla direzione opposta. 
Ancora, va evidenziata l’asimmetria generale, a partire dagli scorci del gradino, con il lato sinistro meno ripido del destro; e dai fianchi del trono, uno più “aperto” dell’altro. L’interno decorato dell’edicola risulta inoltre più stretto a sinistra che a destra.
Anche Maria e il Figlio partecipano a questa apparente disarmonia: il Bambino sembra benedire chi gli si pone di lato, piuttosto che di fronte, e della Vergine è stato sottolineato lo strabismo, che si corregge o scompare del tutto se la guardiamo da sinistra. 
Proprio questo, secondo gli esperti, doveva essere il punto di vista privilegiato, al quale Giotto consapevolmente conduce attraverso questi espedienti visivi che perdono infatti efficacia se ci si dispone frontalmente. 
Dunque, dove era collocata in origine la Maestà? Non ne abbiamo notizie certe, ma è probabile che si trovasse su un altare laterale o sul tramezzo che separava lo spazio dei laici dal coro degli Umiliati. 

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È certo, invece, che godette di fortune alterne. Nonostante le numerose lodi ricevute nel tempo, alla fine del Settecento si era forse persa memoria di questa pala e del suo autore, tanto che venne attribuita a Cimabue. 
Nel settembre del 1810, con il decreto imperiale francese di Saint Cloud (che stabiliva la soppressione dei conventi anche in Italia e il prelievo delle loro opere), la tavola fu rimossa dalla chiesa e portata alla Galleria dell’Accademia. Da qui, giunse agli Uffizi all’inizio del XX secolo gravemente compromessa, segnata da profonde fenditure e alterazioni pittoriche Otto-Novecentesche.
Il successivo restauro, condotto magistralmente da Alfio Del Serra, ne ha ripristinato la bellezza e l’integrità, facendo emergere anche particolari nascosti come la decorazione che imita la scrittura cufica della cornice. 

La Maestà di Ognissanti non è un’opera soltanto rara ma davvero unica, che dimostra le conquiste compositive raggiunte agli inizi del Trecento da Giotto. Pertanto non stupisce che alcuni studiosi lo considerino già un pittore rinascimentale. 
Al di là delle letture critiche, la tavola merita sicuramente il posto in primo piano che le è stato dato dal museo fiorentino e che ti invitiamo a visitare al più presto. 

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