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Il bello del brutto: un inedito sguardo sull’arte tra Quattro e Cinquecento

Il bello del brutto: un inedito sguardo sull’arte tra Quattro e Cinquecento

brutto nell'arte
brutto nell'arte

Nel corso della storia dell’arte occidentale, il Brutto ha subito un’interessante evoluzione. Inizialmente vista come semplice negazione della bellezza, la bruttezza ha gradualmente acquisito lo status di categoria estetica. Un mutamento del gusto e della cultura che rende ancora più difficile definire cosa sia bello o brutto in arte.
Abbiamo scelto alcuni temi che esaltano l’idea di bruttezza tra Quattro e Cinquecento

Breve panoramica storica: l’idea del brutto e i suoi mutamenti lungo i secoli

Gli antichi Greci, che riconoscevano nella bellezza l’espressione di perfezione fisica e morale (come da celebre definizione di kalokagathia – “bello e buono”), erano altrettanto ossessionati dal brutto. Un brutto inteso sia come malvagità, sia come deformità estetica. Del primo, morale, sono pieni i racconti mitologici. Del secondo, fisico, ricordiamo il ricco repertorio di mostri e creature fantastiche che ha popolato l’immaginario antico. Esempio celebre (e di straordinaria bellezza, diremmo noi oggi!) è la Chimera di Arezzo, realizzata agli inizi del IV secolo a.C. 
Il Rinascimento viene comunemente associato all’idea di bellezza e armonia e, in effetti, in questo periodo sono celebrate le buone proporzioni e la prospettiva matematica. Per contro, questa è anche l’epoca delle teste grottesche di Leonardo e delle opere visionarie di Bosch. 
Poco dopo, i manieristi esplorano ed esasperano il concetto di brutto, rinnegando almeno in parte i canoni dei colleghi rinascimentali; mentre con il Barocco caravaggesco si assiste a rappresentazioni esplicite di una ruvida e antiestetica realtà (fin troppo, per alcuni critici coevi). 

chimera di arezzo
Chimera di Arezzo

Il movimento romantico, sempre alla ricerca del Sublime, include nelle sue rappresentazioni elementi di terrore, meraviglia e potenza soverchiante, capaci di evocare intense risposte emotive. Più avanti, esperienze artistiche come quella dei Macchiaioli si allontanano ulteriormente  dalle rappresentazioni idealizzate per concentrarsi sulla vita quotidiana e sulla gente comune, includendo aspetti considerati per tradizione brutti.
La bruttezza diviene protagonista nelle avanguardie storiche, che sfidano le norme estetiche e i valori sociali vigenti. Una su tutte, il Dada, che rifiuta le convenzioni artistiche e, con fare provocatorio, impiega il grottesco, l’assurdo e l’intenzionalmente brutto (un’opera esemplare di questo atteggiamento è il celeberrimo ready-made: l’orinatoio di Duchamp). 
Già da questa rapida panoramica si intuisce la complessità e la mutevolezza delle forme di questo tema, affascinante, immenso e soggettivo.

fontana duchamp
Fontana, Duchamp

La morte: un soggetto brutto per definizione

La morte è brutta per antonomasia e, come tale, viene rappresentata nel corso dei secoli. 
Ritratta come uno scheletro o come una donna emaciata, talvolta con ali di pipistrello, a cavallo o in sella a un mostro, munita di falce, ha un aspetto terribile e terrificante. La sua immagine, che sovente porta con sé una funzione educativa, serve ad ammonire gli spettatori, invitandoli a riflettere sugli effetti delle proprie azioni e sull’esistenza di una giustizia divina uguale per tutti.

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 Tra le raffigurazioni più emblematiche, ricordiamo l’affresco realizzato da Giacomo Busca detto il Borlone tra il 1484 e il 1485 sulla facciata dell’oratorio dei disciplini a Clusone (Bergamo). Nella fascia alta al centro vediamo il trionfo della Morte che emerge incoronata da un sarcofago dove riposano il capo della Chiesa e l’Imperatore, avvolti in abiti da parata. Il loro, però, non è un sonno sereno, poiché sono tormentati da animali allegorici: cinque serpenti, simbolo di Satana tentatore, dunque di morte e corruzione; due rospi, allusione alla superbia; e uno scorpione associato al tradimento e all’eresia. Tutt’attorno, uomini abbienti cercano – inutilmente – di comprarsi i favori della temibile “Signora” porgendole preghiere e doni, mentre due scheletri armati diffondono paura e morte. A sinistra, una battuta di caccia evoca la leggenda dei tre vivi che incontrano i tre morti: un racconto moralizzante molto noto all’epoca. Chiude il quadro nella fascia sottostante la danza macabra, dove ad ogni vivo corrisponde il suo doppio, in forma di cadavere decomposto: ulteriore, spaventoso, monito della caducità della vita.

trionfo e danza della morte giacomo borlone
Trionfo e danza della morte, Giacomo Borlone

La donna anziana e deforme

Brutta è anche la rappresentazione della morte nel dipinto di Hans Baldung Grien intitolato Le tre età della morte e l’uomo (1541-1544, Madrid, Museo del Prado). Un essere osceno, munito di clessidra, porta a braccetto una donna anziana che a sua volta trascina una fanciulla, lasciva e restia, mentre un bambino morto giace ai loro piedi. Accanto al giovane corpicino, un gufo, simbolo di saggezza, mette in guardia gli spettatori sulle conseguenze nefaste del peccato. L’unica speranza è il Redentore, visibile sullo sfondo mentre sale crocifisso verso il cielo. 

Al tema della morte, si intreccia qui anche quello della donna brutta che, secondo gli storici dell’arte, subisce un cambio di paradigma nel corso del tempo: da simbolo di decadimento nel Medioevo, la donna vecchia e brutta diventa oggetto di curiosità nel Rinascimento e di attrattiva nel Barocco. I difetti estetici vengono esaltati come qualità o, quantomeno, come segni di espressività: stimoli, persino voluttuosi, da preferire alla piatta bellezza classica. Nessuno meglio di Quentin Metsys riesce nell’intento. La sua Donna anziana o La Duchessa brutta (1513 ca., Londra, National Gallery) afferma con forza il valore estetico dell’imperfezione. Occhi vivaci, grandi narici, pelle raggrinzita, persino un neo peloso e abiti aristocratici ormai fuori moda, sfida apertamente le convenzioni estetiche e morali del suo tempo. L’opera è parte di una coppia: nell’altra metà, oggi conservata a New York, il volto di un uomo, soggetto al tentativo di seduzione da parte della duchessa che ammicca con in mano una rosa, simbolo di desiderio. Entrambi i ritratti sono satirici e ironizzano sulla vanità degli anziani che cercano di apparire giovani. Questo dipinto segna l’inizio del grottesco come tema pittorico: il suo autore fu infatti tra i primi a introdurre soggetti laici e caricaturali in arte.

donna anziana o duchessa brutta quentin metsys
Donna anziana o La Duchessa brutta, Quentin Metsys

L’inferno e il diavolo

Insieme alla morte, anche il diavolo e l’inferno sono protagonisti delle ossessioni di artisti e fedeli cattolici. Ancora una volta il parallelismo evidente è tra bruttezza fisica e bruttezza morale, pertanto ai demoni e al loro Signore viene conferito un aspetto spaventoso, in una varia accezione interpretativa. 
Tra quelle più orrorifiche citiamo il Giudizio Universale di Beato Angelico (1430-1435, Firenze, Museo di San Marco) e Le tentazioni di Sant’Antonio attribuito a Michelangelo (1487-1489, Fort Worth, Kimbell Art Museum). 
Nella tavola dell’Angelico, l’Inferno occupa tutta la parte destra: qui diavoli dalle sembianze mostruose – corna, coda, zampe animalesche – tormentano le anime dei dannati, costretti in fiammeggianti cubicoli e sottoposti a svariate torture. In basso al centro, un nero e immondo Lucifero, con tre facce su un’unica testa, divora senza pietà i corpi sanguinolenti dei peccatori, pescandoli dall’enorme calderone in cui è immerso. Una scena davvero raccapricciante.

giudizio universale beato angelico
Giudizio Universale, Beato Angelico

Si narra che Michelangelo appena adolescente avesse copiato dei veri pesci per rappresentare i demoni della tela conservata in Texas. Formatosi come pittore alla bottega di Domenico Ghirlandaio (1449-1494 circa), Michelangelo ha sempre preferito la scultura alle altre arti, come pittura, architettura e persino poesia, nelle quali comunque eccelle.
Ne Le tentazioni di Sant’Antoniola sua prima opera pittorica conosciuta – vediamo l’episodio del santo che, durante una visione mistica, si solleva in aria e viene attaccato dai demoni, resistendo però ai loro tormenti. L’ispirazione diretta è l’incisione del maestro tedesco Martin Schongauer (1470-1475, Parma, Fondazione Magnani Rocca). Michelangelo giovinetto ne rimane così incantato che decide di riprodurla, colorandola e variandone in parte la composizione: aggiunge il paesaggio sullo sfondo e, soprattutto, amplifica la bestialità delle creature diaboliche con squame e sembianze animalesche.

Tormento di Sant'Antonio Michelangelo
Tormento di Sant’Antonio, Michelangelo (sn); Incisione, Martin Schongauer (ds)

Oggi definire brutto il soggetto di un’opera di Michelangelo o di Beato Angelico ci può sembrare strano, eppure questo breve excursus ci ha dimostrato come gli artisti siano ricorsi consapevolmente alla bruttezza formale per rendere il loro messaggio ancora più esplicito e incisivo. Riconoscerne la bruttezza, quindi, significa avvalorare l’efficacia della loro opera.La potenza espressiva e il fascino che esercitano su di noi il deforme e l’osceno non sfuggirà certo agli autori successivi e ancora oggi il brutto gode di una solida, solidissima fortuna.

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