Isabella d’Este, Elisabetta I d’Inghilterra, Isabella I di Castiglia… Ripercorrendo la storia del XVI secolo, incontriamo molte donne potenti e volitive, note per il loro ruolo decisivo negli avvenimenti politici e strategici dell’Europa dell’epoca.
Questo non accade per le donne artiste del Rinascimento: figure che, salvo rare eccezioni, sono rimaste escluse dalla scena principale, vittime delle convenzioni del tempo o di infelici vicende personali.
Fortunatamente, grazie al loro carattere e al loro grande talento, alcune artiste hanno sfidato pregiudizi e difficoltà per emergere in una società prevalentemente maschilista.
Diventare artiste tra Cinque e Seicento
Alle donne del Cinquecento la carriera artistica era preclusa o disseminata di ostacoli. Vi erano impedimenti pratici: era loro vietato accedere all’Accademia – e quindi ai modelli di nudo dal vivo – e nemmeno potevano frequentare le botteghe, appannaggio di uomini che avrebbero potuto minacciarne onore e buon nome. Ma anche preconcetti, come quelli espressi da Vasari nelle sue Vite1 quando, parlando del genere femminile, scrive: “Né si son vergognate, per torci il vanto della superiorità, di mettersi con le tenere e bianchissime mani nelle cose meccaniche e fra la ruvidezza de’ marmi e l’asprezza del ferro”. Come a dire che il loro candore e delicatezza erano poco adatti a mestieri sporchi e duri come la pittura e la scultura.
Un paradosso, soprattutto se si considera che, stando al mito riportato da Plinio nella sua Naturalis Historia, il disegno – base di tutte le arti figurative – era stato inventato proprio da una donna, Kora o Callirhoe di Corinto.
Dunque, come si diventava artiste a quei tempi? Le vie erano principalmente tre.
Rifugiarsi nella vocazione, vera o presunta, e liberare il proprio talento, protette dalle mura conventuali.
Avere la fortuna di esser figlie di artisti illuminati che le assecondassero, istruendole e sostenendole.
O ancora, essere fanciulle di buona famiglia e ricevere un’educazione in lettere, musica e pittura e trasformare quest’ultima in una professione. Così fu, ad esempio, per una delle più popolari e prolifiche artiste del Cinquecento: Sofonisba Anguissola.
Sofonisba Anguissola (1532-1625)
Primogenita di sei sorelle, tutte pittrici, e di un fratello (l’unico a non aver intrapreso la carriera), Sofonisba è figlia del cremonese Amilcare Anguissola, uomo colto e lungimirante che la fa studiare presso il pittore Bernardino Campi.
Sofonisba dimostra presto una grande abilità per la ritrattistica e in particolare per l’autoritratto: genere al quale si appassiona anche per via dei limiti imposti dalla società (non le era permesso ritrarre persone nude dal vivo) e in cui dimostra una spiccata capacità di restituire la dimensione psicologica del soggetto.
Lo si può notare con evidenza nel Fanciullo morso da un granchio (1555 ca., Napoli, Museo di Capodimonte), disegno elogiato da Vasari e passato, si dice, anche per le mani di Michelangelo, incontrato a Roma dalla stessa Sofonisba.
La veridicità della smorfia del bambino, raffigurato nell’istante esatto in cui prova dolore, definisce quest’opera come l’anello di congiunzione tra il Buonarroti e il Merisi (che più o meno nello stesso periodo realizza il suo Ragazzo morso da un ramarro, oggi alla National Gallery di Londra).
Il naturalismo caratterizza tutte le opere della Anguissola, comprese quelle più enigmatiche e articolate – come il celebre Bernardino Campi ritrae Sofonisba Anguissola (1559, Siena, Santa Maria della Scala) – o l’autoritratto del 1552-1553 conservato agli Uffizi, nel quale la pittrice appare impegnata allo scrittoio. Una posa, questa, comune alle artiste dell’epoca, che attestavano così le proprie competenze anche nei campi dello studio e della musica.
Stimata e apprezzata per le sue straordinarie doti artistiche, Sofonisba ebbe anche una vita piuttosto lunga e movimentata. Divenuta dama e pittrice di corte presso l’imperatore Filippo II di Spagna e Isabella di Valois, si sposa per procura con don Fabrizio Moncada di Palermo. Il matrimonio dura poco, don Fabrizio muore infatti in un agguato nel 1578. Decisa a tornare a Cremona, sulla via del ritorno sbarca a Livorno e a Pisa sposa repentinamente – e osteggiata dalla famiglia – Orazio Lomellini, capitano di una galea della Repubblica di Genova, probabilmente conosciuto nel suo viaggio.
Questa unione sarà più duratura e i due vivranno nella città ligure per trentacinque anni, per poi tornare – nel 1615 – a Palermo, dove il Lomellini aveva molte proprietà. È qui che Sofonisba muore, all’età di novantatré anni e quasi cieca, ma con la consapevolezza di essere riconosciuta come una delle pittrici più importanti del suo tempo. Prova dell’alta considerazione di cui godette, il disegno di Van Dyck realizzato durante una sua visita siciliana nel 1624 (Londra, British Museum). Il fiammingo la ritrae seduta in poltrona, anziana, ma ancora vispa, come scrive sullo stesso foglio: “[…] havendo ancora la memoria et il serverllo prontissimo, cortesissima, […] la pena magiore che hebbe era per mancamento di vista non poter piu dipingere: la mano era ancora ferma senza tremula nessuna”.
Lavinia Fontana (1552-1614)
Bologna in quel tempo si distingue per una peculiarità: è la città che più delle altre ospita o dà i natali alle artiste. Complice certamente la presenza dell’università, accessibile anche alle donne, che favoriva un clima di studio e generale apertura. In questo contesto nasce Lavinia Fontana, figlia del pittore Prospero Fontana, il quale non esita a incoraggiare l’inclinazione artistica della giovane. Altrettanto importante, per la carriera di Lavinia, è il marito, Gian Paolo Zappi, pittore mediocre che decide di mettere da parte il proprio percorso per supportare la moglie (e madre dei suoi undici figli!), come una specie di manager ante litteram. Un’operazione di successo, visto che ad oggi sono ben 135 le opere documentate a nome della Fontana, sebbene ce ne rimangano molte meno.
Come altre colleghe, anche Lavinia si specializza nella ritrattistica con esiti brillanti, come conferma l’autoritratto in miniatura del 1557 (dove anch’ella, come già l’Anguissola, si raffigura allo scrittoio) conservato oggi agli Uffizi. Nonostante la bellezza di questo ritratto, è su un altro dipinto che vogliamo soffermarci, noto per indiscussa qualità e per il primato che detiene.
Lavinia Fontana è infatti la prima a dipingere soggetti mitologici e questo è il primo nudo dipinto da una donna. Si tratta della Minerva in atto di abbigliarsi (1613, Roma, Galleria Borghese), realizzato a Roma per il cardinale Scipione. La dea, svestita e di spalle, rivolge lo sguardo allo spettatore mentre si avvicina all’abito, sontuoso, poggiato su un ripiano. Ai suoi piedi giace l’armatura e, poco più indietro, un amorino seduto maneggia l’elmo. L’ambiente si apre su una veduta di Roma – riconoscibile dalla cupola di San Pietro – visibili l’asta, l’ulivo e la civetta, attributi della divinità. Le belle fattezze della dea si stagliano sul fondo scuro che contribuisce a enfatizzare la dimensione intima e raccolta della scena.
È probabile che il cardinale Borghese avesse visto un dipinto simile realizzato qualche anno prima dalla stessa autrice, e avesse richiesto una tela analoga per sé. D’altra parte, era pratica comune realizzare numerose copie dello stesso tema, anche come forma di autopromozione. Per una donna era infatti difficile guadagnare notorietà e assicurarsi nuove committenze. Un modo poteva essere quindi omaggiare i potenti con i propri dipinti, così come crearne diverse versioni e inviarle ai possibili acquirenti. In questo modo, si spiegano le numerose varianti del Ritratto di dama con cagnolino di Fontana.
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Marietta Robusti (1554-1590)
Decisamente meno permissivo fu invece il padre di Marietta Robusti, primogenita del celebre Tintoretto (pseudonimo di Jacopo Robusti) nata dalla relazione prematrimoniale con una cortigiana. Molto affezionato alla figlia e deciso a tenerla vicino a sé, il padre la istruisce alla pittura, come fa con i figli avuti dalla moglie Faustina Episcopi, arrivando persino a travestirla da uomo pur di introdurla all’attività di bottega. Marietta manifesta ben presto il suo talento, tale da essere richiesta sia alla corte spagnola di Filippo II, sia a quella austriaca dell’imperatore Massimiliano. Tintoretto, però, non le permetterà di partire.
Niente può separarli, neanche il matrimonio, architettato accuratamente da Tintoretto con un gentiluomo del posto, così da tenere Marietta sempre a Venezia, dove però muore precocemente di parto.
Della Tintoretta – come era stata soprannominata – oggi ci resta poco. È tuttavia possibile che il suo ritratto del 1580 circa, oggi agli Uffizi, sia una sua opera, e quindi un suo autoritratto. Qui la giovane donna è raffigurata di tre quarti con lo sguardo verso il pubblico, l’abito bianco di seta finemente plissettata e al collo un unico gioiello, una collana di perle.
Nella mano sinistra regge uno spartito, mentre la destra si posa su un clavicembalo. Ancora una volta, un’ambientazione non pittorica, che rivela l’abilità musicale per la quale la fanciulla era altrettanto nota.
La sua fama, unita al rapporto simbiotico con il rinomato padre, ha alimentato la curiosità degli storici, tuttora impegnati nella disamina delle sue opere autografe.
Oltre alle artiste qui menzionate, vogliamo ricordare la scultrice Properzia de’ Rossi (1490-1530) che partecipò al cantiere di San Petronio a Bologna e Plautilla Nelli (1524-1588), prima pittrice fiorentina della quale conosciamo le opere.
Autrici che anticipano la figura della celeberrima Artemisia Gentileschi, la cui bravura, forza e carattere impetuoso sono impossibili da ignorare e che inaugurano la stagione Barocca.
Ma questa è, come si dice, un’altra storia e anche un’altra epoca, che saranno presto protagonisti di un nostro approfondimento.
Nell’attesa, ricercare nelle collezioni pubbliche e private le opere di autrici femminili è un omaggio alla memoria di queste donne e al ruolo fondamentale che hanno avuto nella storia dell’arte.
1 Artista, architetto e uomo di lettere alla corte dei Medici, Giorgio Vasari (1511-1574), fu anche autore de Le vite de’ più eccellenti architetti, pittori, et scultori italiani, da Cimabue insino a’ tempi nostri (edito nel 1550 e nel 1568, con aggiunte), opera fondamentale per la storiografia artistica italiana.