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La Maestà di Simone Martini, portavoce della pittura gotica in Italia

La Maestà di Simone Martini, portavoce della pittura gotica in Italia

la maestà di simone martini palazzo pubblico siena
la maestà di simone martini palazzo pubblico siena

Nella nostra guida ai musei da visitare a Siena non manca certo il Museo Civico, che conserva – tra gli altri – la meravigliosa Maestà di Simone Martini. Un affresco imponente, che sorprende i visitatori non solo per la sua dimensione, ma anche per l’unicità del suo stile e il suo messaggio. Emblema della pittura gotica italiana, la Maestà si distingue per le novità che introduce: ripercorriamole assieme.

Origine dell’opera e cenni biografici

La Maestà domina la parete d’onore della Sala del Consiglio, detta anche Sala del Mappamondo da un’opera perduta di Ambrogio Lorenzetti. Questa era la sede delle riunioni del governo senese, formata da Nove rappresentanti della città, scelti anche tra ceto medio e artigiani. 
Furono loro a commissionare l’affresco, preferendo Simone Martini all’allora più celebre Duccio di Buoninsegna, probabilmente perché quest’ultimo aveva meno dimestichezza con le pitture parietali. 
Non conosciamo con esattezza l’inizio del lavoro, si presume intorno al 1312. Conosciamo però la data della fine che l’artista inserì, insieme al suo nome, nella decorazione a finti marmi del lato inferiore: 15 giugno 1315. Un’iscrizione importante – rinvenuta nell’Ottocento – non solo per il dipinto in sé, ma anche perché risulta essere la prima attestazione certa della vita dell’artista. Non si ha certezza infatti del luogo e dell’anno di nascita di Simone, tanto che la sua intera biografia è ricostruita dai documenti e dalle opere eseguite a partire proprio da questa data. Secondo Vasari, Martini visse sessant’anni e poiché è noto l’anno della sua morte, avvenuta ad Avignone nel 1344, possiamo dedurre che doveva essere nato intorno al 1284, in Toscana. 

maestà di simone martini
Maestà, Simone Martini

È probabile che il giovane Martini si sia formato nella cerchia di Duccio da Buoninsegna ed è ipotizzabile che alcuni aiutanti del maestro lo avessero seguito nell’esecuzione della Maestà del Palazzo Pubblico. Era pratica comune, per gli artisti dell’epoca, circondarsi di collaboratori e creare delle vere e proprie imprese, le botteghe. 
Molto più sicuri sono invece i contatti che ebbe con Memmo di Filippuccio, attivo nella bottega di Giotto intorno al 1290 durante la decorazione della basilica superiore di Assisi. 
Nella città umbra giunse anche Simone Martini (pare già nel 1312, in concomitanza con l’esecuzione dell’affresco senese): qui realizzò i disegni delle vetrate e, successivamente, gli affreschi della cappella di San Martino nella basilica inferiore. 
Nel 1321 fu chiamato a rimettere mano nuovamente alla Maestà per restaurarla: un intervento corposo, spesso identificato come una vera e propria rilavorazione dell’opera.

I significati della Maestà di Simone Martini

Seduta in trono e incoronata, la Madonna rivolge lo sguardo, solenne, verso un punto lontano; mentre il Bambino, ritto in grembo alla Madre, con la mano destra benedice gli astanti e con l’altra sorregge un cartiglio (di vera carta incollata alla parete). Tutt’attorno, si raccolgono in più file angeli e santi, non tutti facili da indentificare. 
Osservando l’affresco da sinistra a destra, è stato possibile riconoscere San Paolo, in piedi, l’Arcangelo Gabriele, la Maddalena, San Giovanni Evangelista e, dalla parte opposta, San Giovanni Battista, Sant’Agnese (un poco più arretrata), l’Arcangelo Michele e San Pietro, intento a sorreggere uno dei pennoni verticali del baldacchino. Le due sante incoronate con le braccia conserte ai due lati del trono sono probabilmente Santa Barbara e Santa Caterina d’Alessandria, come la torre e la ruota – loro attributi iconografici – quasi cancellati dal tempo lasciano presupporre. 
Inginocchiati in prima fila, due angeli offrono alla Famiglia Sacra gigli e rose, simboli di purezza e maternità. Accanto a loro, nella medesima posizione, i quattro santi patroni di Siena: Sant’Ansano e San Savino a sinistra, San Crescenzio e San Vittore a destra. 

maestà simone martini santa caterina
Maestà, Simone Martini (particolare)

Il trono è riccamente decorato e riluce d’oro come le aureole, impreziosite da una lavorazione a stampini di foglie, fiori e motivi geometrici che ricorda quelle dell’oreficeria senese. Su tutte risplende quella della Vergine, finemente ornata. È ormai accettata l’ipotesi secondo la quale Martini tornò proprio sulle aureole e su diverse teste durante il restauro del 1321, rifacendone molte ex novo (il che spiega le variazioni di stile e dimensione di alcuni volti). 

madonna in trono maestà simone martini
Maestà, Simone Martini (particolare)

Un ampio baldacchino sormonta la scena e, nei lembi di stoffa ricadenti, sono visibili lo stemma bianco e nero di Siena (noto anche come “balzana”) e quello del Capitano del Popolo, il rosso leone rampante. Gli stessi si alternano anche in alcuni degli oculi minori che compongono la cornice, affrescata dallo stesso autore. Anche qui si dispiega un fitto programma iconografico: nel medaglione centrale in alto possiamo distinguere Cristo Benedicente, agli angoli quattro Evangelisti e nel resto, santi e profeti. 
Nella fascia inferiore, in corrispondenza del Redentore, una figura di donna bifronte cattura la nostra attenzione. Si tratta della Legge Vecchia (col capo velato) e della Legge Nuova. Attorno alla prima si leggono i nomi delle quattro Virtù (Prudentia Iustitia Fortitudo Temperantia), mentre vicino alla giovane sono citate le tre virtù teologali (Fides Spes Charitas). Entrambe mostrano delle tavole bianche a mo’ di cartelli dove sono riportati i dieci comandamenti e i sette sacramenti. 
Queste non sono gli unici testi presenti nell’affresco che proprio alle parole affida il suo messaggio etico-politico.  

Le iscrizioni e il loro significato

La Maestà unisce la dimensione religiosa del soggetto a quella “laica”, consona alla sede in cui si trova (un Palazzo di Governo) e alla sua committenza. Inoltre è la prima opera dove la Madonna “parla” ai fedeli. E lo fa in versi endecasillabi. Sono quelli che si leggono nella fascia scura in basso e in quella sottostante, prima della cornice. 
Queste le sue parole: “Li angelichi fiorecti rose [e] gigli / onde s’adorna lo celeste prato / no[n] mi diletta più ch’e buon consigli / [m]a talor veggio chi [per] proprio stato / disprezza me [e] la mia ter[r]a inganna / e quando parla peggio è più lodato / guardi ciaschedun cui questo dir condanna”, e più sotto: “Dilecti miei ponete nelle menti / che li devoti vostri preghi onesti / come vorrete voi farò contenti / ma se i potenti a debil fien molesti / gravando loro con vergogne o danni / le vostre oraçon non son per questi / né per qualunque la mia terra inganni”. 
Un monito eloquente indirizzato agli angeli – dei quali cita i fiori – e ai santi, e indirettamente anche ai senesi, esortati a non disprezzare la Madonna, a non ingannare la propria terra con lusinghe vacue e a rispettare i più deboli. 

Anche Cristo ci parla, in latino, nel carteggio che sorregge: citando il primo versetto del Libro della Sapienza, si rivolge così ai governanti: “Diligite Justitiam qui judicatis terram” (Amate la giustizia, voi che siete giudici in terra). La combinazione di questi messaggi doveva essere chiara al Consiglio, invitato a seguire le leggi del buongoverno e a far prevalere la pace sociale. Siena infatti era stata a lungo attraversata da discordie tra le potenti famiglie dei Salimbeni e dei Tolomei, quietate dai Nove solo pochi mesi prima la fine dell’affresco: il timore di nuovi disordini e lo spauracchio dell’incertezza politica dovevano essere dunque molto forti e sentiti.

Il confronto con Duccio e Giotto

Ma cosa rende la Maestà un capolavoro del Gotico italiano? Sicuramente lo stile grafico, netto, la linea che, sinuosa e leggera, definisce i corpi e gli spazi. Stupisce il realismo dei volti e dei gesti e l’introduzione di nuovi materiali e tecniche, fino ad allora estranei alla pittura. È subito evidente l’inedita qualità ornamentale delle vesti e del trono: svettante e traforato, abbonda di elementi che richiamano l’architettura francese dell’epoca. Il tratto raffinato, la preziosità delle decorazioni, l’equilibrio compositivo: tutto contribuisce all’unicità dell’opera.
La scena, pervasa di elegante armonia, ricorda quasi un raduno cortese più che mistico.
Il confronto con l’altra Maestà senese, la tavola di Duccio di Buoninsegna per il Duomo di Siena (1308-1311, Museo dell’Opera di Siena), terminata solo pochi anni prima, aiuta a comprendere la portata dell’innovazione martiniana. 

maestà duccio di buoninstegna siena
Maestà, Duccio di Buoninsegna

Nella versione di Duccio, i santi sono disposti in modo ordinato e quasi rigido: un’impostazione che Martini modifica, adottando invece un assetto più movimentato, con le aureole che si sovrappongono e i volti parzialmente nascosti.
Le figure sono descritte da Duccio in modo più marcato e risultano quasi appesantite se paragonate a talune dell’allievo. Basta guardare Santa Caterina e Santa Barbara o, ancora, la Vergine. Rimaneggiate dal Martini, che ne ingentilisce i tratti e l’incarnato durante la seconda fase dell’affresco, si discostano sensibilmente dalla lezione duccesca (ancora visibile invece in San Pietro, quasi una copia di quello di Duccio). Anche i volti delle formelle e le foglie di cardo del lato inferiore della cornice sono molto più fini e allo stesso tempo carnosi. 

maestà simone martini sant'orsola
Maestà, Simone Martini (particolare)

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Soluzioni che, oltre alla rappresentazione del trono con il suo pronunciato sviluppo in profondità, indicano un’influenza diversa: quella di Giotto. Come abbiamo accennato, è certo che Simone Martini abbia avuto occasione di vedere il lavoro del mugellano durante il suo soggiorno ad Assisi. È quindi probabile che le novità giottesche – dal naturalismo a una spazialità concreta – abbiano sedotto il giovane pittore.
La capacità di armonizzare lo spirito aggraziato e gentile d’Oltralpe con l’innovativa indagine del reale diffusa in Italia, porta Simone Martini a essere considerato l’iniziatore dello stile gotico italiano e la sua Maestà, con le sue caratteristiche, ne è un fulgido esempio. 
Un viaggio a Siena è raccomandato!

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