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La Battaglia di San Romano di Paolo Uccello, tra geometrie e audaci prospettive

La Battaglia di San Romano di Paolo Uccello, tra geometrie e audaci prospettive

battaglia di san romano paolo uccello uffizi
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Succede quasi tutti i giorni. Qualcuno, durante la sua visita agli Uffizi, rimane incantato davanti alla Battaglia di San Romano di Paolo Uccello: non solo perché è la prima opera di soggetto laico, in ordine di esposizione, della Galleria, ma anche per quel suo aspetto così insolito, diversissimo – nelle cromie, nella composizione e nello stile – dalle altre sue vicine. In effetti, si tratta di uno dei risultati più riusciti di quella personalità curiosa e singolare che fu Paolo Uccello. Mosso da “ghiribizzi” e “bizzarrie” (come dice il Vasari1), fu capace di unire perizia matematica e dimensione fantastica, raccontando per immagini un fatto storico realmente accaduto.

Un trittico diviso in tre musei

Prima di entrare nel vivo della composizione, è bene ricordare che La Battaglia di San Romano degli Uffizi è parte di un ciclo di dipinti, oggi diviso in tre musei ma originariamente concepito come opera unitaria. Il soggetto è il medesimo, ma i momenti raffigurati sono diversi: l’inizio della battaglia nella tavola della National Gallery di Londra, lo scontro e il disarcionamento del nemico in quella fiorentina, l’intervento risolutivo delle truppe alleate al Louvre di Parigi. 
Un inventario mediceo del 1492 menziona il trittico come parte dell’arredamento della camera da letto di Lorenzo il Magnifico nell’odierno palazzo Medici-Riccardi in via Cavour (allora via Larga), a Firenze. A lungo si è pensato pertanto che fosse stato commissionato dal nonno di Lorenzo, Cosimo il Vecchio, per celebrare la vittoria della storica battaglia a lui contemporanea.  

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Battaglia di San Romano, Paolo Uccello (Londra)
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Battaglia di San Romano, Paolo Uccello (Parigi)

Un recente ritrovamento ha però modificato questa ipotesi, plausibile ma inesatta. 
Un documento di pagamento infatti ne attesta l’acquisto, nel 1438, da parte di Lionardo Bartolini Salimbeni, ricco mercante fiorentino che si era distinto in battaglia e che probabilmente aveva ingaggiato Paolo Uccello per le stesse ragioni attribuite a Cosimo. 
Il Magnifico, catturato dalla bellezza delle tavole, deve averle quindi ottenute dagli eredi di Salimbeni e spostate presso la sua dimora. 
Una ricostruzione che aiuta a datare le opere (realizzate tra il 1435 e il 1440) e a spiegare la presenza di integrazioni successive – sempre per mano di Paolo Uccello – nel lato superiore. Inizialmente ricurve, forse perché destinate a delle lunette, vennero completate con ulteriori porzioni dipinte. Nella tavola degli Uffizi, ad esempio, furono aggiunti gli alberi d’arancio della parte sinistra, con chiaro riferimento ai Medici (dal nome mala medica, ovvero pianta medica, con cui erano noti allora i frutti), secondo una simbologia diffusa e presente anche nella Nascita di Venere di Botticelli.
Ma quando avvenne l’episodio raffigurato dall’artista e perché era così importante?

Il soggetto: lo scontro tra Firenze e Siena

Raramente citata nei libri di storia, la Battaglia di San Romano fu uno scontro importante per l’assetto politico dell’epoca. Siamo infatti al tempo delle Signorie e delle faide tra guelfi (vicini al Papa) e ghibellini (più legati all’Imperatore). Firenze, che allora era una Repubblica, difendeva i suoi territori dalle mire espansionistiche dei Visconti, signori di Milano, che da tempo cercavano di conquistare la Toscana per garantirsi un accesso diretto al mare. 

Nel 1432 a San Romano, l’esercito cittadino, guidato dal valente Niccolò da Tolentino, si scontrò con i senesi (da sempre avversari di Firenze) e con i loro alleati, lucchesi e lombardi. 
È il condottiero che vediamo in primo piano sia nella tavola di Londra – mentre si lancia nella battaglia in sella al suo cavallo bianco – sia in quella degli Uffizi, impegnato a disarcionare un altro cavaliere, Bernardino della Carda. Particolarmente inviso ai fiorentini, dopo essersi dichiarato loro sostenitore, Bernardino della Carda li aveva traditi preferendo le file nemiche. La sua sconfitta, al centro del trittico di Paolo Uccello, rappresentava quindi non solo una testimonianza storica, ma anche un motivo di orgoglio e vanto a spese dell’infido avversario. Nell’ultima tavola, quella parigina, riconosciamo infine Micheletto Attendolo da Cotignola, cavaliere il cui intervento fu risolutivo per la vittoria di Firenze, che rischiava di soccombere.

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Battaglia di San Romano, Paolo Uccello (Firenze)

Iconografia e stile della Battaglia di San Romano degli Uffizi

Sullo sfondo di un paesaggio campestre, infuria la lotta tra fanti e cavalieri armati di tutto punto. Le lunghe lance bianche e rosse incorniciano la scena e guidano l’occhio dello spettatore verso il punto di fuga principale del dipinto. Al centro, un cavaliere dal volto coperto (Bernardino della Carda) viene colpito al petto e appare in procinto di capitolare, mentre il suo cavallo si alza sulle zampe posteriori quasi sbalzandolo fuori. Tutt’attorno una confusione di cavalli e cavalieri caduti, volti, corpi e armi rende evidente il tumulto della battaglia.

Capeggiato da quattro cavalieri lancia in resta2, il gruppo di sinistra (quello dei fiorentini, riconoscibili anche per la bandiera sulla tromba) pare dunque avere la meglio, mentre a destra vediamo i senesi in difficoltà: l’inclinazione delle lance e delle balestre suggerisce l’andamento impari dello scontro. In secondo piano, in mezzo ai campi arati, si svolge una battuta di caccia con uno splendido levriero che insegue alcune lepri e che alcuni hanno interpretato come una metafora della battaglia stessa. La firma dell’autore (Pauli Ugeli Opus) è invece leggibile a chiare lettere su un cartiglio impresso su uno scudo abbandonato in basso a sinistra. 

mazzocchio paolo uccello
Mazzocchio, Paolo Uccello

Ancora oggi sono visibili le tracce degli inserti in foglia d’oro e d’argento che dovevano impreziosire i finimenti dei cavalli e altri dettagli delle armature. Tuttavia, ciò che stupisce maggiormente gli osservatori è il carattere moderno della composizione, così diversa da quelle coeve, e l’interesse esplicito dell’autore per la prospettiva e le forme geometriche. Paolo Uccello sfrutta infatti l’impostazione matematica per esplorare punti di vista multipli e il loro effetto, portando a un livello estremo gli esperimenti di rappresentazione e distorsione degli oggetti. Lo si vede bene nel cavallo scorciato che giace in basso o nel cavaliere sdraiato a destra – in una posizione speculare e opposta a quella della tavola di Londra – ma anche nei mazzocchi. Tipici copricapi fiorentini, molto di moda allora, si distinguono qui in due tipologie: rigido, a sezione esagonale o ottagonale, o a tortiglione. Questi costituiscono uno dei soggetti più interessanti per Paolo Uccello che si cimenta moltissimo nella loro raffigurazione, come dimostra un suo disegno conservato oggi agli Uffizi.   

Anche i colori delle tre tavole non sono quelli canonici, ma avvicinano lo stile del toscano a soggetti di fantasia, quasi fiabeschi. A differenza di altri artisti del Rinascimento, infatti, Paolo Uccello non indaga la dimensione psicologica delle figure, ma si concentra sulle “cose di prospettiva”, per dirla con le parole del Vasari.

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Paolo Uccello e la passione per la prospettiva

Parole di ammirazione, ma anche di disapprovazione sono quelle che l’aretino riserva al conterraneo nelle sue Vite. “Paulo Uccello”, scrive, “[…] il quale, dotato dalla natura d’uno ingegno sofistico e sottile, non ebbe altro diletto che d’investigare alcune cose di prospettiva difficili et impossibili, le quali, ancor che capricciose fussero e belle, l’impedirono nondimeno tanto nelle figure, che poi, invecchiando, sempre le fece peggio”. 
Un’ossessione dunque, che Vasari giudicò persino nociva per la qualità delle sue opere e che forse costò all’artista la povertà in cui visse e morì. Certamente gli causò le critiche dell’amico Donatello, che lo esortava ad abbandonare la via della sperimentazione, e della famiglia. 
Secondo il biografo, Paolo Uccello si attardava ogni sera sui suoi lavori di prospettiva e quando la moglie e la figlia Antonia (monaca e artista, una delle poche pittrici del Rinascimento delle quali abbiamo notizia), lo invitavano a coricarsi, egli rispondeva: “Oh che dolce cosa è questa prospettiva!”.
Questa non era però l’unica passione di Uccello, che aveva un simile interesse anche per gli animali ma, poiché non poteva permettersi di comprarli vivi, si accontentava di dipingerli riempiendo le pareti della sua casa con piccoli quadretti a tema. 

Nato da un barbiere e chirurgo (com’era usanza allora) di Pratovecchio, Paolo di Dono aveva frequentato la bottega di Lorenzo Ghiberti all’epoca della prima porta del Battistero di Firenze, manifestando fin da subito la sua predilezione per i volatili: fu forse da questo episodio che deriva il nome con il quale è divenuto famoso. 
La Battaglia di San Romano rivela magnificamente la sua predilezione per la prospettiva e per la rappresentazione degli animali e le combina in un capolavoro che è tale non solo per la sua epoca, ma anche per quelle successive, al punto da far pensare ad anticipazioni ante litteram del Cubismo e del Surrealismo
Stupisce dunque scoprire che la divisione del trittico sia avvenuta a metà Ottocento, quando era ancora integro agli Uffizi: giudicate copie minori, le due tavole laterali furono vendute – con grande pentimento successivo – alla National Gallery e al Louvre. 

Anche se vederli riuniti dal vivo rimane impossibile, per ora almeno, poter ammirare di persona il dipinto degli Uffizi è comunque un’esperienza di grande impatto e permette di avvicinarsi ad una delle menti più particolari e sofisticate del primo Rinascimento fiorentino: prenota ora la tua visita!  

1 Artista, architetto e uomo di lettere alla corte dei Medici, Giorgio Vasari (1511-1574), fu anche autore de Le vite de’ più eccellenti architetti, pittori, et scultori italiani, da Cimabue insino a’ tempi nostri (edito nel 1550 e nel 1568, con aggiunte), opera fondamentale per la storiografia artistica italiana.

2 L’espressione “lancia in resta” deriva dal supporto montato sul lato destro della corazza (la resta), utilizzato per sostenere la base della lancia durante il combattimento. Introdotto intorno alla metà del XV secolo, poteva essere fisso o mobile. Mettere la lancia in resta significa dunque prepararsi al combattimento.

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