A poca distanza dalla Basilica di San Giovanni in Laterano e dalla Stazione Termini, a Roma, sorge la palazzina Samoggia, ex-caserma Principe di Piemonte. Qui ha sede uno dei più importanti musei della capitale: il Museo Nazionale degli Strumenti Musicali, che custodisce un’imponente collezione di strumenti antichi e contemporanei, di tutte le tipologie e provenienti da tutto il mondo.
Un patrimonio affascinante che non solo illustra l’evoluzione della tecnica, ma rivela anche – in maniera diretta e indiretta – modi diversi di vivere e di concepire la musica. Ecco perché consigliamo la visita a chi conosce bene la materia, ma anche al pubblico meno esperto: qui ci sono opere che sapranno conquistare entrambi.
Evan Gorga e la nascita del Museo
Il Museo deve la sua nascita a Evan Gorga (all’anagrafe Gennaro Evangelista Gorga), tenore italiano vissuto tra il 1865 e il 1957. Gorga esaurì presto la sua carriera musicale, ritirandosi dalle scene dopo soli quattro anni. Anni intensi nei quali ricopre ruoli prestigiosi, come quello di Ridolfo nella prima rappresentazione di Bohème – il 1° febbraio 1896 al Teatro Regio di Torino – scelto direttamente da Puccini e diretto da Arturo Toscanini.
Oltre che un grande tenore, Gorga era un collezionista appassionato, potremmo dire compulsivo. Abbandonata la lirica, si dedicò esclusivamente alla raccolta di oggetti di varia natura: arnesi sanitari, reperti archeologici, marmi, arredi, armi, ceramiche, giocattoli e libri per un totale di oltre 30 collezioni e circa 150 mila pezzi.
La collezione di strumenti musicali, una delle sue preferite, oggi costituisce il nucleo fondante del museo.
Una prima selezione venne rivelata al pubblico nel 1911 a Castel Sant’Angelo durante l’Esposizione Internazionale di Roma, organizzata per celebrare il 50° anniversario dell’Unità d’Italia. In quell’occasione, pare che il miliardario Pierpont Morgan offrì ben due milioni di lire per acquistarla. Nonostante le difficoltà economiche crescenti, Gorga rifiutò e continuò a farlo anche dopo, davanti ad altre offerte simili, convinto che la collezione dovesse rimanere in Italia. Distribuiti in ben dieci appartamenti (che Gorga aveva preso in affitto in via Cola di Rienzo 275 a Roma), strumenti e reperti versavano tuttavia in condizioni di conservazione precarie. Tra il 1929 e il 1943 le collezioni subirono varie vicissitudini: sottoposte a sequestro amministrativo, vennero distribuite tra i depositi di diversi musei.
Nel 1949 la raccolta degli strumenti musicali fu acquistata dallo Stato Italiano che accettò di saldare i debiti di Gorga e di pagargli un vitalizio, ma fu solo nel 1964 che venne riunita nella palazzina Samoggia. La sede fu quindi sottoposta a lavori di ristrutturazione, che terminarono dieci anni dopo con l’inaugurazione del Museo Nazionale degli Strumenti Musicali.
La collezione: un viaggio dall’antichità ai giorni nostri
I circa tremila pezzi – dei quali ottocento esposti – che costituiscono la collezione del museo derivano principalmente dal fondo di Gorga, ma anche da acquisizioni o lasciti successivi.
Oggi chi visita il museo può ammirare pezzi storici che vanno dall’antichità al Medioevo, dal Rinascimento all’Ottocento, fino ad arrivare ai giorni nostri, secondo un programma di valorizzazione del patrimonio strumentale e musicale che vuole coinvolgere anche i più giovani.
Non mancano poi strumenti di tradizioni lontane, non solo nel tempo ma anche nella geografia, con esemplari provenienti dall’Asia, dall’Oceania, dall’Africa. Molti anche i richiami tematici alle varie occasioni d’uso degli strumenti: in Chiesa, sul campo di battaglia, in casa.
Tra gli strumenti più curiosi per rarità, forma o provenienza, che raccomandiamo di non perdere durante la visita, puoi trovare:
- l’aes thermarum, una specie di gong che serviva a segnalare l’apertura e la chiusura delle terme;
- la quijada, mandibola di asino che suona quando percossa con la mano ed è tuttora usata nelle orchestrine afro-cubane;
- il ribechino turco con cassa in doghe di avorio, ebano e intarsi di tartaruga, talmente voluto da Gorga che intraprese tre viaggi a Vienna per acquistarlo;
- il mandolino del 1904 dalla bizzarra forma Liberty, opera di Nicola M. Calace, membro di una famiglia di artigiani attiva fin dalla metà dell’Ottocento;
- le serinettes, dal francese “serin” (canarino), piccoli organi meccanici da tavolo usati nel XVIII e nel XIX secolo per incoraggiare i canarini a cantare;
- il p’i-p’a, classico liuto cinese a 4 corde, dalla linea affusolata, con il corpo piatto e con il manico ripiegato all’indietro. Sul piano sono rappresentate 4 musiciste cinesi, intente a suonare altrettanti strumenti tipici e raffigurate con i piedi deformati, secondo la tradizione vigente fino al secolo scorso;
- il violino muto del 1893: strumento di studio ridotto alle sue parti essenziali di sostegno e appoggio per favorire così il trasporto, ma che riduceva la sonorità;
- il clavicembalo da viaggio pieghevole in 3 parti, costruito da Carlo Grimaldi alla fine del Seicento e decorato con figurine colorate. Si tratta di uno strumento raro perché è l’unico, tra gli otto sopravvissuti e conservati in vari musei del mondo, realizzato da un italiano. Gli altri sono infatti quasi tutti costruiti da Jean Marius che nel 1700 ottenne da Luigi XIV il brevetto per la costruzione e la vendita;
- la glassarmonica o armonica a bicchieri, strumento inventato nel 1761 da Benjamin Franklin e composto da una serie di coppe di cristallo allineate lungo un asse orizzontale. Grazie al perno centrale che le collega, le coppe vengono fatte ruotare per mezzo di un pedale e, sfiorate con un dito inumidito, producono note musicali. Il principio è lo stesso di quando tutti noi, per gioco, facciamo risuonare i bicchieri di cristallo con il passaggio delle dita bagnate attorno al bordo;
- il clavicembalo costruito nel 1573 a Lipsia da Hans Müller, il più antico clavicembalo tedesco esistente al mondo, oggetto di straordinario valore antiquario;
- il clavicembalo verticale (o claviciterio), italiano questo, della seconda metà del Seicento, dalla forma davvero insolita. Ad oggi è noto solo un altro esemplare simile, conservato a Vienna.
Non mancano certo archi, percussioni, fiati, tastiere di periodi e stili eterogenei; tutti oggetti che testimoniano la vocazione e la necessità di musica che da sempre accomuna popoli e culture.
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3 pezzi unici su cui soffermarsi
Di pezzi unici, come abbiamo visto, il Museo degli Strumenti Musicali ne conserva in quantità, ma questi tre, anche da soli, valgono la visita: il pianoforte di Bartolomeo Cristofori, l’arpa Barberini e il violino di Andrea Amati.
Il pianoforte è uno dei più importanti di tutto il museo. Costruito nel 1722 dall’inventore stesso dello strumento, il padovano Bartolomeo Cristofori appunto, è l’unico rimasto in Italia dei tre esistenti in tutto il mondo (uno antecedente, conservato a New York, e un terzo successivo, oggi a Lipsia). Si tratta di un esemplare particolarmente pregiato per la sua unicità e per l’innovativo sistema di spostamento della tastiera che è all’origine del pedale che troviamo nel pianoforte contemporaneo. Grazie ad un congegno manuale, è possibile infatti far scorrere tastiera e martelliera di circa mezzo centimetro verso sinistra. Questo fa sì che i martelli percuotano una sola corda invece che due, riducendo la sonorità: un effetto noto come una corda, riportato spesso nella letteratura pianistica fin dall’inizio dell’Ottocento.
Vera e propria opera d’arte, l’arpa Barberini prende il nome dalla famiglia che l’ha posseduta, anche se non in modo continuativo. L’arpa venne infatti commissionata nella prima metà del XVII secolo dal cardinale Antonio Barberini per Marco Marazzoli, uno dei più amati musicisti e compositori dell’epoca. Alla morte di Marazzoli, lo strumento – magnificamente intagliato da Giovanni Tubi – tornò al cardinale e, seguendo la linea dell’eredità familiare, giunse al principe Don Maffeo. Questi sostituì lo stemma del porporato con il suo, modificando il cappello cardinalizio con la corona e aggiungendo il Toson d’Oro, onorificenza che gli era stata conferita. Il valore di questo strumento si misura dunque su tre piani: quello storico – che abbiamo appena accennato; quello artistico, dato dalla straordinaria decorazione sulla colonna, con statuine di legno intagliate e dorate, e sulla spalla, dove spicca una meravigliosa testa di leone. E infine quello musicale, poiché le tre file di corde permettono di eseguire anche le note cromatiche, effetto altrimenti reso possibile solo un secolo dopo grazie all’introduzione del pedale.
Il Portoghese, violino tra i più preziosi al mondo e acquisizione recente del museo, fu realizzato nel 1567 da Andrea Amati, padre della liuteria cremonese. Fu Caterina de’ Medici a commissionare l’opera per regalarla al figlio Carlo IX re di Francia.
Nelle fasce d’acero sono ancora visibili resti in oro del motto pietate et iustitia, mentre sul fondo è presente la traccia di una ricca decorazione pittorica, che tuttavia alcuni ipotizzano essere di epoca successiva.
Con questo capolavoro termina la nostra introduzione alla visita. Se ti abbiamo incuriosito, cogli l’occasione e acquista subito il biglietto per accedere al Museo Nazionale degli Strumenti Musicali!