Tra i vanti della nostra storia recente sicuramente rientra la cultura dell’arredo e del prodotto industriale che ha reso il design italiano conosciuto e apprezzato a livello mondiale.
L’incontro fortunato di ingegni vivaci e lungimiranti e imprenditoria locale illuminata, ha dato vita a progetti che sono tuttora ammirati per la loro qualità estetica, progettuale e pratica. Caratteristiche che si ritrovano in tutti gli oggetti vincitori del Compasso d’Oro, il più antico e istituzionale premio del settore, nato nel 1954 su iniziativa dei grandi magazzini la Rinascente e oggi gestito dall’ADI – Associazione per il Disegno Industriale.
Del catalogo degli oltre 350 progetti premiati ogni anno fanno parte oggetti iconici e intramontabili, entrati a far parte della nostra quotidianità: abbiamo selezionato i 9 più popolari.
9 oggetti vincitori del Compasso d’Oro d’uso comune
Con i suoi 5.000 metri quadrati l’ADI Design Museum di Milano ospita ed espone i progetti vincitori del Compasso d’Oro: un repertorio che ripercorre l’evoluzione del design italiano e delle sue mille applicazioni. Alcune più comuni di quanto si pensi…
1. Macchina da scrivere portatile Lettera 22
Tra i vincitori del Compasso d’Oro non poteva non esserci Lettera 22, la mitica macchina da scrivere portatile disegnata da Marcello Nizzoli per Olivetti. Con almeno 2 milioni di unità prodotte tra il 1950 e la metà degli anni Sessanta, Lettera 22 si impone in Italia e all’estero come La macchina da scrivere portatile.
In questo modello, che sostituì il precedente MP1, gli ingombri sono minimi per soddisfare l’esigenza di trasportabilità massima: la carrozzeria incorpora così la tastiera e il rullo, ad eccezione della manopola, mentre la leva per l’interlinea si rimpicciolisce.
Tutto questo senza interferire con le prestazioni: materiali costruttivi e martelletti di precisione promettono allo stesso tempo solidità e agilità di utilizzo.
Proprio per ridurre al massimo peso e volume, vennero adottate alcune soluzioni singolari: eliminati i tasti 1 e 0, potevano essere riprodotti attraverso le lettere i e o. Fu però lasciato spazio per funzionalità speciali come: il cambio automatico di direzione del nastro inchiostrato, il tasto di tabulazione, la possibilità di scrivere in nero, rosso o senza inchiostro per la preparazione delle matrici per la stampa a ciclostile. Tra i fattori di successo planetario di questa icona celebrata ancora oggi (è anche esposta al MoMa di New York), fondamentali sono state le campagne pubblicitarie affidate a grandi professionisti dell’epoca e, ancor prima, la scelta del nome. Lettera 22 era memorabile e facile da pronunciare e richiamava esplicitamente l’alfabeto italiano, di cui costituiva una naturale simbolica prosecuzione.
Non è un caso che nel 1954 l’ADI annoveri tra le motivazioni del Premio proprio “i meriti eccezionali dell’intera attività della Olivetti, che rappresenta nel mondo uno dei più elevati esempi di coerenza stilistica di una intera produzione in tutte le espressioni che l’accompagnano, da quelle grafiche e propagandistiche, alla architettura dei negozi, degli opifici, delle case e delle assistenze”.
2. Macchina per cucire Mirella
A Marcello Nizzoli, designer e pubblicitario versatile e prolifico, si deve un’altra macchina iconica, ma da cucire.
Con la Mirella, infatti, la Necchi – storica ditta di macchine per cucire di Pavia – si aggiudica nel 1957 il suo secondo Compasso d’Oro. Entrambi i Premi sono legati all’ingegno di Nizzoli che progetta prima la Supernova e, poco dopo, migliorandone le funzionalità tecniche, la Mirella. Vincitrice anche del “Gran Premio” della XI Triennale di Milano e parte della collezione del MoMa di New York, la Mirella colpì la giuria per efficienza e forma. Quest’ultima “ispirata alla scultura non figurativa contemporanea […] rivela l’importanza di questo alto esempio di collaborazione tra l’industria e il designer”, conservando “un sincero carattere tecnologico”. Meritevole anche la base di lavoro ampia e già integrata nel corpo macchina che testimonia l’attenzione al progetto e alle forme, distintiva tanto del progettista quanto dell’azienda.
3. Automobile Fiat 500
Erede della famosa Fiat 500 Topolino, concepita per diventare la prima automobile popolare italiana, la Nuova Fiat 500 andò in produzione nel 1957. L’obiettivo dell’ingegnere Dante Giacosa era, anche in questo caso, ambizioso: essere la vettura dell’Italia operaia post bellica, in grande ripresa dopo il Secondo conflitto mondiale.
E ci riuscì, diventando internazionalmente il simbolo del design Made in Italy, oggetto di culto, innovativo e accessibile.
Già, perché gli interventi di Giacosa non furono solo estetici, ma anche pratici: compatta e minimale, la Nuova Fiat era lunga meno di 3 metri ed era dotata di un motore a quattro tempi e a due cilindri in linea, con sistema di raffreddamento ad aria. Più potente dei modelli precedenti, era stata costruita secondo precisi criteri di risparmio. Ad esempio, il tettuccio retrattile in tessuto permetteva di impiegare meno lamiera: la produzione era così più economica mentre la vettura acquistava una parvenza di lusso, inedita fino ad allora.A dispetto delle sue dimensioni ridotte, gli interni erano ampi e spaziosi: dettaglio fondamentale per garantire la diffusione tra le famiglie.
Altrettanto fondamentale era il prezzo di vendita.
È curioso scoprire che il lancio della nuova linea rischiò di essere un fiasco: omologata per solo due persone, fu accolta con scarso entusiasmo, anche per via del costo, non lontano da quello della ben più capiente 600. Fu così che dopo soli tre mesi di produzione, venne sostituita da un modello più evoluto: a quattro posti e con prezzo inferiore. È la nascita del leggendario “Cinquino”; sviluppato in diverse serie fino al 1975 e anch’esso esposto al MoMa. Piccola ma grande, economica ma non povera, la Fiat 500 di Giacosa “segna una importante tappa nella strada verso una nuova genuinità espressiva della tecnica”, come si legge nelle motivazioni del Premio Compasso d’Oro che le venne assegnato nel 1959.
4. Lampada da tavolo Eclisse
È ancora in produzione la lampada da tavolo e da parete Eclisse, progettata nel 1966 dall’architetto e designer milanese Vico Magistretti per Artemide® e vincitrice, l’anno successivo, del Compasso d’Oro.
Nelle intenzioni di Ernesto Gismondi, fondatore dell’azienda e committente del progetto, la nuova lampada doveva permettere la regolazione della luce in camera da letto, un problema annoso che il semplice on/off delle comuni abat-jour lasciava irrisolto.
Magistretti è in metropolitana quando butta giù sul semplice biglietto i primi schizzi di quella che diventerà un vero e proprio emblema di praticità ed estetica.
Ispirandosi alla lanterna cieca descritta ne I miserabili di Victor Hugo, Magistretti progetta una lampada costituita da tre calotte sferiche: una base e due paralumi semicircolari, uno fisso esterno e uno mobile interno. Spostando l’involucro interno si nasconde in tutto o in parte la luce della lampadina, permettendo il controllo personalizzato del fascio luminoso.
Realizzata inizialmente in alluminio, materiale favorito per la produzione in serie, presentava però un problema: il metallo surriscaldato dalla lampada bruciava le dita. Venne allora introdotta una ghiera in plastica con la quale era possibile gestire la rotazione della calotta interna senza scottarsi.
“La Commissione”, si legge sul sito dell’ADI, “stima che l’oggetto presentato abbia la doppia qualità di un alto valore progettistico-estetico e di una possibile diffusione di massa. Sottolinea inoltre la novità della soluzione tecnica che, con un semplice movimento a schermo rotante, gradua l’intensità dell’erogazione luminosa.”E anche Eclisse fa parte della collezione permanente del MoMa.
5. Lampada Parentesi
Dopo nove anni di intervallo, nel 1979 si tiene la XI edizione del Compasso d’Oro, che viene assegnato a 42 progetti su 180 presentati. Tra questi rientra anche Parentesi, lampada prodotta da Flos a partire dal 1971 e tuttora acquistabile. Le firme sono delle più celebri: Achille Castiglioni e Pio Manzù e la storia ancor più degna di nota poiché i due designer non si conobbero mai.
Il disegno originario fu infatti opera di Manzù, affermato progettista di automobili (tra cui la Fiat 127) e arredamento, morto prematuramente a 30 anni nel 1969. Durante una visita al suo archivio, Achille Castiglioni notò il progetto e, con il permesso della vedova Manzù, decise di svilupparlo.
“Ho sostituito l’asta (ipotizzata da Manzù) con una corda metallica che, deviata, fa attrito e permette alla lampada di stare in posizione senza bisogno di alcuna vite”, ricorderà successivamente Castiglioni. Parentesi deve il suo nome al tubolare sagomato a forma di parentesi che consente al corpo luce di scorrere lungo il cavo d’acciaio teso tra il plafone e il pavimento. In alto, un disco circolare con un semplice gancio (il plafone) permette di fissare il cavo al soffitto, mentre la base ricoperta in gomma fa da contrappeso a terra. Orientabile in ogni direzione, Parentesi è estremamente versatile anche in virtù delle sue linee essenziali e senza tempo: simbolo di un design partecipato e capillare che progetta anche la confezione. Realizzata in plastica e dotata di maniglia per il trasporto, si presentava come un kit da montare in autonomia.
6. Interruttori e prese Habitat
“Voglio che chiunque possieda un interruttore abbia un oggetto di design di prima classe”. La citazione è di Achille Castiglioni, ma possiamo applicarla perfettamente a un altro oggetto vincitore del Compasso d’Oro del ‘79, espressione di una progettazione inclusiva e universale.
Si tratta del primo interruttore modulare a 45 mm della serie Habitat, interruttori e prese disegnati da Andries Van Onck e Hiroko Takeda per AVE, marchio storico del settore elettrico italiano.
Design rigoroso e praticità si uniscono in questi oggetti di uso comune che, nonostante dati spesso per scontati, sono elementi fondamentali dell’abitare moderno.
La collezione disegnata dalla coppia dimostra che anche azioni banali e consolidate nella quotidianità possono essere rivoluzionate.
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7. Penna pennarello Tratto Clip e Tratto Pen
Non una semplice penna, ma una rivoluzione della scrittura, Tratto Pen e Tratto Clip, furono premiati nella stessa XI edizione. Con questa ambizione, Marco Del Corno, fondatore dello studio Design Group Italia, collaborò insieme a FILA Fabbrica Italiana Lapis ed Affini alla realizzazione del nuovo prodotto.
Il funzionamento prendeva spunto da un brevetto giapponese già noto all’azienda e basato sulla presenza di una punta sintetica resistente e indeformabile, sulla quale colava l’inchiostro a base acqua, senza sgocciolare né macchiare. Una caratteristica che permetteva l’uso di Tratto Pen anche da posizioni insolite, come stesi o molto inclinati.
Anche l’involucro fu curato nei minimi dettagli: il tappo è dotato di 7 dentini che facilitano la presa ed evitano che rotoli una volta appoggiato sul tavolo, mentre i fori presenti all’estremità servono a permettere il passaggio dell’aria qualora un bambino dovesse ingoiarlo per sbaglio.
Primo di una nutrita famiglia di prodotti derivati (tra cui il Tratto Clip), nella primavera del ‘76 la penna pennarello venne venduta in 4 milioni di pezzi in meno di una settimana dal lancio. Tra i suoi affezionati ci sono molti nomi importanti, tra i quali Alessandro Mendini, architetto, designer e artista italiano.
Pochi sanno inoltre che nei tristi giorni del sequestro, il politico ed ex presidente del Consiglio Aldo Moro ricevette proprio una Tratto Pen per poter scrivere alcune delle sue lettere anche da sdraiato.
8. Cassettiere Mobil
Fondata all’indomani della Seconda guerra mondiale da Giulio Castelli, Kartell fin da subito intraprende un percorso di ricerca e sperimentazione del materiale plastico che la porterà ad essere, nel 1999, la prima azienda al mondo a impiegare il policarbonato per la produzione di oggetti di arredo.
Prima ancora di questo notevole traguardo, non mancano i riconoscimenti, tra i quali l’ambito Compasso d’Oro che arriva, e non per la prima volta (oggi l’azienda ne conta 9 in tutto), nel 1994 per il sistema di cassettiere-contenitori Mobil progettato da Antonio Citterio in collaborazione con Glen Oliver Löw.
In quegli anni, Kartell continua a esplorare l’ambiente domestico, ampliando però la ricerca al mondo dell’ufficio. Mobil è espressione di questa nuova fase e viene premiato anche per lo stile innovativo e fresco che regala alla dimensione del lavoro. Grazie al suo carattere flessibile e giocoso, Mobil non tarderà ad entrare nelle case, anticipando la contaminazione tra abitazione e ufficio, così attuale oggi. Alla Giuria dell’ADI non sfuggiranno certo gli aspetti estetici dell’oggetto definendo “esemplare la scelta del chiaro rapporto fra il materiale metallico del supporto e la plastica traslucida e colorata della cassettiera”.
9. Poltrona Sacco
Compasso d’oro alla carriera del prodotto nella XXVI edizione (2020), Sacco di Zanotta è in produzione da oltre cinquant’anni ed è ancora tra i più grandi successi commerciali del design italiano.
Prototipata forse ancor prima che disegnata, divenne celebre pochissimo dopo essere stata lanciata. Ma andiamo con ordine.
È il 1968 e tre architetti torinesi, Piero Gatti, Cesare Paolini e Franco Teodoro, si presentano all’ufficio di Aurelio Zanotta con un’idea. Anzi, con un sacco. È di iuta e simula quello riempito di foglie e castagne utilizzato dai fattori per sedersi in campagna. L’intuizione è chiara: ricreare una seduta altrettanto scomposta, informale, flessibile che permetta a chiunque di accomodarsi come preferisce, senza imposizioni o regole.
Zanotta accoglie con entusiasmo la proposta e avvia subito la ricerca dei materiali più adatti alla produzione in serie: escluse acqua e sabbia per l’imbottitura, si prediligono palline di polistirolo espanso, mentre per l’involucro il poliestere, materiale pratico e accessibile.
Anticonformista, nomade, giocosa, democratica: Sacco è stata definita in tanti modi ed è entrata in tanti mondi, in tanti salotti italiani e non solo. Oggi fa parte delle collezioni della Triennale Design Museum di Milano e del Victoria & Albert Museum di Londra, ma la si può riconoscere anche tra le strisce dei Peanuts o in una scena memorabile del film comico italiano Fracchia la Belva Umana.
“Innovazione tipologica nel settore dell’imbottito, rappresenta nel tempo la libertà daiconvenzionali stili d’uso”: questa la motivazione della Giuria, che ha riconosciuto tutto il valore di una poltrona che, pur avendo rotto gli schemi della seduta classica, non passerà mai di moda.
Il design oltre le cose
Il design, inteso come incontro virtuoso di progettazione, produzione ed estetica, non riguarda solo gli oggetti materiali. Nella vita di tutti i giorni siamo circondati da opere di ingegno che rispondono alle medesime qualità. Ne sono un esempio anche i risultati dell’arte grafica o dell’architettura applicata a realtà pubbliche e private, con cui entriamo in contatto a volte senza nemmeno accorgerci della loro presenza. Prova ne è, su larga scala, la Metropolitana di Milano della quale nel 1963 furono premiati allestimento e segnaletica (a cura di mostri sacri del calibro di Franco Albini e Franca Helg e del grafico Bob Noorda).
Ma anche, in tempi più recenti, il logo delle Gallerie degli Uffizi, realizzato dall’agenzia Carmi e Ubertis e scelto dalla Giuria del 2020 in quanto “sintesi di valori e identità condensati in un monogramma simbolico” al quale “semplicità e unicità garantiscono la riconoscibilità e scoraggiano le imitazioni”.
Il design supera dunque tutti i confini e coinvolge ogni aspetto della nostra vita, dagli spazi, agli oggetti, alla comunicazione. Un motivo in più per prestare attenzione a ciò che ci circonda e certamente un’ottima ragione per visitare l’ADI Design Museum.