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Sindrome di Stendhal: quando l’arte “dà alla testa”

Sindrome di Stendhal: quando l’arte “dà alla testa”

sindrome di stendhal gustave coubert il disperato autoritratto
sindrome di stendhal gustave coubert il disperato autoritratto

“Una bellezza travolgente, allucinante”, “bello da far male”: nel linguaggio comune ci sono diverse espressioni come queste o simili. In questi modi di dire, l’aspetto estetico di qualcosa o qualcuno sembra avere un effetto quasi nocivo per chi guarda. Certo, si tratta di frasi iperboliche, ma nella realtà esiste un fenomeno che non va molto lontano da quello che descrivono: la sindrome di Stendhal
Vediamo di cosa si tratta.

Cos’è la sindrome di Stendhal e quali sono i sintomi

La sindrome di Stendhal non è una vera e propria malattia, ma una condizione psicosomatica che si verifica quando ci si trova davanti a opere d’arte o di architettura o in generale luoghi particolarmente affascinanti. 
Quando si verifica, si ha la sensazione di essere sopraffatti dalla bellezza e di vivere una condizione di estasi contemplativa estrema e insostenibile. 

I sintomi variano per tipologia e intensità da persona a persona, e includono una o più manifestazioni fisiche, psicologiche ed emotive inattese e passeggere quali: vertigini, palpitazioni, difficoltà respiratorie, sudorazione e nausea. Ma anche ansia, euforia o al contrario depressione, confusione mentale e spaesamento, senso di panico e talvolta allucinazioni visive o uditive.
Si tratta di episodi temporanei che si risolvono da soli poco dopo che la persona si è allontanata dall’opera d’arte. Quale opera d’arte? Purtroppo non è possibile prevederlo, poiché non esiste un’unica categoria o un modello ricorrente in grado di scatenare questo malessere, che dipende in gran parte dalla sensibilità del visitatore. 
Ma cosa c’entra Stendhal? 

Chi l’ha scoperta e perché si chiama così

Il termine sindrome di Stendhal fu coniato nel 1977 dalla psichiatra italiana Graziella Magherini, che osservò sintomi simili in numerosi turisti in visita a Firenze (per questo è nota anche con il nome di sindrome di Firenze). Nelle testimonianze raccolte, il contatto con la città, le sue strade antiche, i suoi musei – gli Uffizi in primis –  e il suo tesoro artistico ha sulle persone effetti perturbanti e provoca un improvviso distacco dalla realtà e da sé. 

Reazioni analoghe a quelle descritte dallo scrittore francese Stendhal (pseudonimo di Marie-Henri Beyle) in Rome, Naples, Florence del 1817, Promenades dans Rome del 1829 e in Mèmoires d’un touriste del 1838. Giunto alla Basilica di Santa Croce a Firenze, Stendhal racconta così la sua esperienza: “[…] le Sibille del Volterrano mi hanno dato forse il piacere più vivo che mai mi abbia fatto la pittura. Ero già in una sorta di estasi, per l’idea di essere a Firenze, e la vicinanza dei grandi uomini di cui avevo visto le tombe. Assorto nella contemplazione della bellezza sublime, la vedevo da vicino, per così dire la toccavo. Ero arrivato a quel punto di emozione dove si incontrano le sensazioni celestiali date dalle belle arti e i sentimenti appassionati. Uscendo da Santa Croce, avevo una pulsazione di cuore, di quelli che Berlino chiamano nervi: la vita in me era esaurita, camminavo col timore di cadere”. 
Uno stato di confusione e turbamento, non dissimile da quelli che Magherini riscontra nei suoi pazienti.  

sindrome di stendhal ritratto di stendhal
Lo scrittore Marie Henri Beyle, meglio conosciuto come Stendhal

Secondo la studiosa, infatti, “Stendhal è il primo scrittore della modernità che si applica alla rappresentazione del fatto turistico come evento sentimentale caratterizzato da una emozionalità che non è più regolabile sui parametri dell’ammirazione classico-retorica”. A differenza dei viaggiatori dei secoli precedenti – pellegrini medievali, umanisti e intellettuali sei-settecenteschi –  Stendhal abbandona la lente della religione e della cultura come filtro di lettura e interpretazione del viaggio. Nonostante le aspettative e la preparazione che precede l’esperienza, infatti, lo scrittore lascia ampio spazio all’inatteso e alle emozioni suscitate da ciò che vede: un atteggiamento che ancora oggi definisce il turista moderno. 

Quanto dura e come si tratta la sindrome di Stendhal

La sindrome di Stendhal, lo abbiamo anticipato, è un disturbo transitorio, i cui effetti possono durare qualche ora o al massimo qualche giorno. Può tuttavia ripetersi più di una volta nella vita di una persona. 
Il trattamento è spesso semplice e mira a ridurre i sintomi acuti. Alcune soluzioni includono ad esempio:

  • l’allontanamento dall’opera che ha innescato la reazione: spostarsi in un luogo meno stimolante permette al corpo e alla mente di calmarsi;
  • il riposo, prendendosi del tempo per rilassarsi e riacquistare forze e autocontrollo;
  • idratazione e nutrizione: bere acqua e mangiare qualcosa di leggero può aiutare a stabilizzare il corpo.

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Una reazione potente all’arte e alla bellezza

Sono molti gli studi condotti nel corso degli anni per indagare i possibili meccanismi neurobiologici causa della sindrome. Tuttavia, ad oggi, non ci sono prove scientifiche per poterla definire come un disturbo psichiatrico vero e proprio e molti rimangono scettici circa la sua natura (i più critici attribuiscono il fenomeno a stanchezza e jet-lag). 
Questo non toglie il fatto però che la sindrome di Stendhal è una testimonianza sensibile del profondo impatto che l’arte può avere sulla psiche umana. Sebbene possa essere un’esperienza disorientante e a volte spaventosa, sottolinea il potere emotivo delle grandi opere d’arte. Conoscere questa sindrome e sapere come gestirne i sintomi può aiutare a vivere in modo più sereno e consapevole le meraviglie artistiche del mondo, a partire da quelle fiorentine

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