“Le fotografie vogliono volutamente alludere, con lieve ironia, ad una dimensione da cartolina come dispositivo di autodifesa dalla consunzione imposta dalla globalizzazione”. Commenta così Francesco Jodice, artista di fama internazionale, le istantanee realizzate nel 2023, quando ha vinto il Premio Orbital Cultura e ha avuto l’opportunità di immortalare alcuni dei musei più importanti del patrimonio fiorentino.
Lo abbiamo raggiunto per farci raccontare di più di questa esperienza e della sua visione artistica.
Il Premio Orbital Cultura e l’incontro tra Jodice e i musei fiorentini
Napoletano, classe 1967, Francesco Jodice si è laureato in architettura e oggi vive a Milano. Al centro delle sue ricerche, il rapporto tra le città e le comunità, la geopolitica, i nuovi fenomeni del megapolitismo. Interessi che sviluppa in una pratica multiforme tra fotografia, video e installazioni. Proprio la commissione di un servizio fotografico – a fronte di un riconoscimento di 10 mila euro – è l’obiettivo del Premio Orbital Cultura. Realizzato in collaborazione con miart, la Fiera Internazionale di Arte Moderna e Contemporanea, vuole dotare i musei storici italiani di immagini contemporanee, di alta qualità, per favorire un continuo scambio di sguardi tra passato e presente. L’edizione inaugurata da Jodice (rappresentato dalla galleria Umberto di Marino) è stata dedicata alle Gallerie degli Uffizi che comprendono il museo degli Uffizi, Palazzo Pitti, il Giardino di Boboli e il Corridoio Vasariano.

“Ho tentato di liberare quattro luoghi totemici della città dalla convulsione e dall’usura del quotidiano”, ha dichiarato Jodice al momento della premiazione. “Ho cercato di portare questi spazi fuori dal tempo ad essi contingente, esonerandoli dal vincolo di partecipazione al rito del turismo di massa”.
Un’interpretazione inedita che – come spesso accade nella sua attività – ha saputo conciliare con le esigenze della committenza, facendo propri gli obiettivi documentali del Premio e combinandoli con istanze individuali.

Il progetto e il confronto con i “giganti” della cultura italiana
Il paesaggio urbano è un tema caro a Jodice e non è la prima volta che si confronta con delle vere e proprie istituzioni museali. Basta pensare al suo progetto Prado. Spectaculum Spectatoris del 2012: un’indagine fotografica sulla relazione tra spettatori e opere d’arte. Eppure, avvicinarsi a edifici storici, iconici e così visivamente inflazionati come i musei fiorentini e restituirne un’immagine personale non è una sfida semplice. “Ho affrontato queste fabbriche totemiche della storia fiorentina e della storia dell’arte non come architetture ma come portatori di retaggi che sono attraversati annualmente da milioni di viandanti spesso non sufficientemente attrezzati per leggerne lo spessore e le stratificazioni”, racconta. “Ho tentato di traslocare un sentimento schizofrenico: degli artefatti culturali che arrivano da lontanissimo ma animati dall’urgenza di ricollocarsi ogni qualvolta la storia va avanti”.

Un cortocircuito, dunque, tra un passato ingombrante e un presente ansioso di affermarsi senza perdere la propria eredità.
Il rischio però, secondo Jodice, è che si finisca prigionieri di un’identità superata, schiacciata dalla frenesia consumistica dei viaggiatori moderni. “Spesso le amministrazioni che hanno l’onere di gestire la narrazione dell’immenso patrimonio artistico, architettonico e paesaggistico italiano sono vessate dalla necessità di confermare un’immagine di questo patrimonio ferma nel tempo perché alle volte si pensa che sia pericoloso voltare pagina e impostare un racconto nuovo e laterale”. Così, il continuo bisogno di sostenere la propria grandezza storica e culturale diventa un ostacolo alla reale potenza espressiva di ciò che musei e gallerie cercano di valorizzare.
Un controsenso, soprattutto considerando che “i capolavori sono atemporali ed eternizzati, non seguono mode o costumi ma si rinnovano e hanno costantemente l’autorità di produrre nuovi significati in relazione al cambiamento dei tempi”.

In questo, Firenze è al contempo maestra e cattivo esempio. Secondo l’artista infatti è una realtà meravigliosa, dotata di una storia millenaria ma compromessa da un’immagine corrotta. “Una città minuscola che potresti attraversare in un giorno eppure non ti basterebbe una vita per comprenderne la storia”. E prosegue: “Firenze e le sue fabbriche, la sua arte, i suoi cantori e le sue storie mi fanno pensare a Walt Whitman e al verso del suo poema: <<io contengo moltitudini>>”.
Ma allora come approcciare tale molteplicità, carica di fascino e di contraddizioni?

“Non credo negli archivi, nei magazzini, nei depositi di immagini”
A questo punto, chiediamo a Jodice come si è svolto, nel concreto, il suo lavoro per il Premio Orbital Cultura e come è riuscito ad ottenere esattamente quell’effetto di sospensione, al di sopra del tempo e dello spazio, che emana dalle sue fotografie. “Sono un artista algido nella procedura e un pessimo flaneur”, confessa. “La maggior parte del tempo è impiegato nel definire il senso che vorrei attribuire alle opere e ai progetti. Una volta chiarito questo aspetto metodologico, la parte esecutiva è molto semplice, si tratta di dare forma visibile all’idea”. Trovata la linea concettuale si passa alla pratica, che si svolge sempre in maniera misurata: Francesco non crede nell’accumulo ma piuttosto nella precisione puntuale di un’unica opera essenziale. “Sono anche molto avaro circa la necessità di mettere al mondo ulteriori immagini o fotografie innecessarie. Preferisco trascorrere più giorni nel realizzare una sola fotografia, magari attraverso correzioni micrometriche, piuttosto che scattare molte immagini da riguardare poi”.

Un modo di fare coerente con il suo modo di pensare e di leggere il tempo presente, soprattutto quello della fruizione. “In generale credo che ci sia una accelerazione del godimento”, riflette. “Mi sembra che il viaggio turistico sia diventato una sorta di performance: andare in più luoghi possibile e cercare di vedere tutto ciò che dogmaticamente ci viene raccontato come indispensabile. Bisognerebbe re-imparare il viaggio come qualcosa di lento e ruminante, asistematico e sghembo, per osservare in modo daltonico rispetto allo sguardo dominante”.
Sei interessato ad articoli come questo?
Iscriviti alla newsletter per ricevere aggiornamenti e approfondimenti di BeCulture!

Il ruolo della fotografia nella narrazione del patrimonio artistico italiano
E la fotografia, serve a questo? “La fotografia, la pittura e l’arte sono la stessa cosa”, afferma. Sembra una provocazione, ma non lo è. Tutte – a suo parere – ci costringono a fare i conti con i nostri pregiudizi, a riconoscerli e a metterli in discussione. Ecco perché, più che uno strumento di rappresentazione del reale, la fotografia è un mezzo per “coltivare i dubbi e formulare domande con precisione e pertinenza”. Una specie di palestra per allenare l’autonomia di pensiero, anche quando davanti all’obiettivo ci sono opere e luoghi già presenti nel nostro immaginario e apparentemente privi di interrogativi possibili.
Questa, almeno, è la direzione che segue nella sua attività intellettuale e creativa odierna. Ma siamo curiosi di sapere come vede – da insegnante della NABA di Milano, a contatto con i giovani talenti – la fotografia di domani e dove andrà: “Non ne ho la minima idea, e questo mi emoziona”.

Prima di salutarci, rivolgiamo a Jodice un’ultima domanda: cosa significa, per lui, contribuire alla valorizzazione della cultura italiana anche attraverso progetti come il Premio Orbital Cultura? “Theodor W. Adorno diceva che il compito dell’arte è portare il caos nell’ordine. Io sono un artista”.