Una curiosa ricorrenza segna felicemente la cultura italiana: la presenza di almeno due Dante tra le personalità più significative del passato e del presente. Il Divin Poeta, autore della celebre Commedia; e Dante Ferretti, scenografo e costumista pluripremiato che ha lavorato accanto a registi del calibro di Pier Paolo Pasolini, Federico Fellini, Terry Gilliam, Martin Scorsese. Ripercorriamo i fatti più salienti della sua carriera e rivediamo insieme, come in una proiezione d’essai, alcuni dei titoli più celebri firmati da questo “mostro sacro” del cinema mondiale.
Una passione precoce e inarrestabile
Dante Ferretti è nato nel 1943 a Macerata, un piccolo comune delle Marche. Quando è ancora in fasce, una bomba degli Alleati – destinata alla caserma vicina – colpisce invece la sua casa: il padre perde una gamba ma si salva, insieme alla madre e alla sorella. Dante viene recuperato da sotto le macerie grazie all’aiuto di una vicina che ne sente il vagito lontano. Una scena quasi da film, che presagisce il futuro del giovane Dante.
Da adolescente frequenta l’Istituto d’Arte della città ma non appena ne ha l’occasione fugge verso il cinema: ruba di nascosto i soldi a suo padre e, invece di studiare, trascorre i pomeriggi davanti al grande schermo, sognando di far parte di quel mondo. Quei sogni si materializzano presto quando, appena diciassettenne, entra finalmente a farne parte. Terminata la scuola, si reca a Roma e viene subito messo alla prova. Come assistente dell’architetto Aldo Tomassini si trova di fatto a seguire per intero e contemporaneamente le scenografie di due film diretti da Domenico Paolella. Un debutto impegnativo, che tuttavia dimostra in modo inequivocabile il suo talento e la sua pronta inventiva.
Subito dopo, la stessa produzione lo richiama per lavorare al film La parmigiana (1963) di Antonio Pietrangeli, accanto allo scenografo Luigi Scaccianoce. Ferretti rimane circa un decennio con Scaccianoce, collezionando esperienze fondamentali per la sua formazione e affermazione.

L’incontro con i grandi maestri e la consacrazione
La sua capacità di interpretare la volontà del regista – realizzando ambientazioni credibili eppure originali e innovative anche in pochissimo tempo – emerge fin da subito. Non passa molto infatti che Dante ottiene i primi incarichi prestigiosi, come quello per il film Medea (1969) di Pier Paolo Pasolini, che lo chiama espressamente sul set, a riprese già avviate. I due si erano già conosciuti per Il Vangelo secondo Matteo (1964), Edipo re (1966), Uccellacci e uccellini (1967), le cui scenografie erano state affidate a Scaccianoce.
Così, nell’arco di due giorni, Ferretti si ritrova in Cappadocia dove, con materiali di fortuna, improvvisa la costruzione del carro su cui appare per la prima volta Medea, interpretata da Maria Callas. La collaborazione con il grande autore bolognese è rosea e prolungata ma – come ha dichiarato lo stesso Ferretti in una recente pubblicazione – mantiene sempre una certa formalità (i due si daranno sempre del lei), molto diversa da quella, travolgente, che instaura con Fellini.

Tra gli anni Sessanta e Settanta, Ferretti lavora con Fellini ma anche con gli altri grandi del cinema nostrano: Elio Petri, Marco Bellocchio, Luigi Comencini. Negli anni Ottanta affianca Liliana Cavani, Ettore Scola, Dino Risi e Terry Gilliam, solo per citarne alcuni. Visionario e fantasioso, proprio Le Avventure del Barone di Münchhausen (1988) di Gilliam consacrano Ferretti al cinema internazionale, che da questo momento in poi si divide tra Roma e Hollywood. Qui crea i set per Martin Scorsese, Neil Jordan, Anthony Minghella, Brian De Palma, Tim Burton e altri ancora, vincendo tre premi Oscar per la miglior scenografia di The Aviator (2005), Sweeney Todd (2008) e Hugo Cabret (2012).
Collaborazioni eccellenti e riuscite. Eppure è quella con Fellini – il regista sognatore, l’altro “adriatico”, per usare le parole dello sceneggiatore – la più nota e celebrata, al punto da meritare un percorso espositivo dedicato all’interno del MIAC Museo italiano dell’Audiovisivo e del Cinema, realizzato dallo stesso Ferretti e dalla moglie, la scenografa Francesca Lo Schiavo.

Dante Ferretti e Fellini: un rapporto speciale ed esclusivo
“Dantino” o “Ferrettino”: chiamava così Fellini il suo fidato Dante. Il primo incontro avviene dopo le riprese di Medea, a Cinecittà, e Fellini è pronto a ingaggiare Ferretti per lavorare insieme a Danilo Donati alla scenografia di Roma. Ma Ferretti non si sente ancora pronto a convivere con un maestro di quella portata e personalità, quindi declina gentilmente l’invito per poter fare pratica.
Esattamente dieci anni dopo i due si ritrovano per girare Prova d’Orchestra (1978) e inizia così un sodalizio durato cinque magnifici film: oltre al titolo già citato, Ferretti segue la scenografia di La città delle donne (1979), E la nave va (1983), Ginger e Fred (1986) e La voce della Luna (1990).
“Era una specie di vampiro, sia di giorno che di notte. […] Pretendeva moltissimo, ma dava anche molto”, ha detto Ferretti in un’intervista qualche anno fa. Il lavoro inizia al telefono alle sei del mattino e finisce a mezzanotte, procedendo per ragionamenti e confronti continui, anche su aspetti che poco c’entrano con la pellicola, come i sogni, dei quali Fellini è curiosissimo. Un rapporto totalizzante, profondo e fecondo, che ha accompagnato entrambi alla maturità creativa.
Uno dei luoghi prediletti dal regista riminese era la sua Fiat 125, che infatti domina la prima sala di Felliniana – Ferretti sogna Fellini, la mostra-installazione permanente a lui intitolata e curata dall’amico collega. Alle pareti, una collezione di poster dei suoi film conduce i visitatori nel suo mondo. Segue la “Casa di piacere”, ambiente dedicato all’immaginario de La città delle donne, con lo scivolo toboga e le soubrettes attorno a Marcello Mastroianni. L’ultima sala ricorda infine il Fulgor, l’omonimo cinema dove il giovanissimo Federico ha scoperto il suo amore per la pellicola. Un percorso fatto di ricordi e suggestioni, una moderna Wunderkammer nel cuore di Cinecittà, luogo emblematico per questi due giganti.
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Le fonti di ispirazione e il metodo di Dante Ferretti
Dante Ferretti ha saputo trasformare la scenografia in arte e proprio dall’arte trae spunto,tra le altre cose, per il suo lavoro. Alla fascinazione per l’astrattismo – che, nella sua visione, si libera dalle costrizioni delle figure – e per le atmosfere pacate e inquietanti della Metafisica di De Chirico, il marchigiano accosta vere e proprie citazioni d’autore. Ad esempio, Paolo Uccello e i dipinti medievali in genere si riconoscono in tutti e tre i film della Trilogia della Vita, anche se nel Decameron (1971) si rifà a pittori nordici come Bosch e Bruegel per le scene infernali. Ancora, l’estetica di Piero della Francesca ha ispirato Il Vangelo secondo Matteo; mentre per film di ambientazione moderna come L’età dell’innocenza (1993) hanno giocato un ruolo essenziale il romanticismo e le altre correnti artistiche ottocentesche.

Questi sono solo alcuni esempi della cultura visiva da cui trae ispirazione, senza che siano né esaustivi né esclusivi. La lettura approfondita di eventuali opere librarie alla base del film e lo studio del contesto storico e sociale sono altri due tasselli importanti del suo lavoro. Così come la visione del regista: Ferretti ha infatti la capacità di calarsi nella narrazione ed entrare subito in sintonia con i diversi modi di fare cinema.
L’idea di una scenografia non segue un percorso necessariamente lineare, può nascere anche da un semplice dettaglio e da lì svilupparsi e prendere forma. Dapprima su schizzi veloci, poi su bozzetti colorati e poi, grazie all’aiuto di assistenti fidati, con disegni tecnici e modellini. Questi diventano anche il tavolo di confronto con il regista, per comprendere meglio le esigenze di inquadratura e movimento di camera, e degli altri professionisti, come il direttore della fotografia. Un connubio di creatività libera e organizzazione ferrea dunque, essenziali perché tutto funzioni nella realtà e nella finzione.
Ferretti – abituato a ricostruire tutto, interni ed esterni, nel teatro di posa – ama usare i materiali veri (cemento, vetro, mattoni) per creare allestimenti credibili, anche quando si tratta di luoghi insoliti o “fuori norma” rispetto all’epoca della scena. La scenografia, nelle sue mani, non fa solo da sfondo ai personaggi, ma diventa una cornice necessaria (a volte persino protagonista) della storia, della quale rivela o esalta i significati. Anche per questo approccio unico e per gli indimenticabili esiti raggiunti, Ferretti è tuttora uno dei maggiori scenografi al mondo, capace di lasciare una firma inconfondibile in tutti i suoi lavori.



