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Raffaello

Raffaello ritratto - main image

Pittore e architetto, Raffaello Sanzio rappresenta l’apice della pittura del Rinascimento, un genio alla costante ricerca della grazia e dell’armonia. Nonostante la breve vita, il suo talento straordinario ha segnato profondamente la storia dell’arte, influenzandola fino al XX secolo.

La fanciullezza alla corte dei Montefeltro

Nato a Urbino nel 1483, Raffaello cresce nel vivace ambiente artistico della corte di Federico di Montefeltro, uno dei centri più raffinati della cultura rinascimentale. Qui il padre, Giovanni Santi, lavora con un certo successo come pittore. È proprio lui a introdurre all’arte il giovanissimo Raffaello (rimasto prematuramente orfano di madre a soli otto anni): gli impartisce le prime lezioni di pittura e gli mostra le opere di Piero della Francesca, del fiammingo Giusto di Gand e di Antonio del Pollaiolo al Palazzo Ducale di Urbino.
Giovanni non solo gode del privilegio di poter accedere liberamente al Palazzo, ma è anche amico dei numerosi artisti e letterati attivi in città: Raffaello è così esposto a stimoli e idee che si riveleranno fondamentali per la sua personalità e per il suo stile.

Un altro lutto segna però precocemente l’infanzia dell’Urbinate: nel 1494 muore anche il padre e Raffaello passa sotto la protezione dello zio Bartolomeo di Sante. Della sua formazione successiva non si hanno notizie certe. La forte similitudine tra alcune sue opere giovanili e quelle del Perugino ha fatto però pensare a un periodo di apprendistato presso la bottega del maestro umbro, ma mancano prove sicure a conferma di questo rapporto.

Gli esordi artistici e il soggiorno fiorentino

Qualunque sia stato il suo percorso formativo, il talento di Raffaello non rimane a lungo all’ombra dell’altrui bottega e nel 1500, appena diciottenne, firma un contratto per la realizzazione di una pala d’altare.
Il documento riporta il nome latino Rafael Johannis Santis de Urbino associato alla parola magister, ovvero maestro, dettaglio che lascia intuire le già affermate doti dell’artista. Dopo appena due anni riceve la prima commissione fuori dal Ducato: assieme al famoso pittore Pinturicchio, esegue il ciclo di affreschi per la Biblioteca Piccolomini di Siena.

Nel 1504 realizza l’opera che in assoluto ricorda di più il Perugino: Lo Sposalizio della Vergine, oggi conservato alla Pinacoteca di Brera a Milano. Il soggetto, il titolo e persino la raffigurazione della scena sono quasi identici all’omonimo dipinto del maestro umbro, ma con una maggiore attenzione per la prospettiva e la composizione delle architetture sullo sfondo.
Lo stesso anno si trasferisce a Firenze, tappa quasi obbligata per gli artisti dell’epoca, e vi resta fino al 1508. Immerso nell’ambiente artistico e culturale che ha dato i natali al Rinascimento, lo spiccato talento dell’Urbinate sboccia in nuove e grandiose forme. Ispirato dalle opere di Donatello, Masaccio e Luca della Robbia, Raffaello entra in contatto anche con artisti del calibro di Leonardo da Vinci, Michelangelo e Piero di Cosimo e realizza alcune delle sue opere più iconiche.

La Madonna del Cardellino

Prima fra tutti, La Madonna del Cardellino, completata nel 1506 per il ricco mercante Lorenzo Naso e oggi conservata alla Galleria degli Uffizi. In questa tavola dai colori brillanti, è evidente l’influenza di Leonardo nella composizione piramidale e nell’insieme di sguardi e movimenti concatenati, così come nella vaporosa resa del paesaggio. La scena non è però avvolta dalla tipica aura di mistero leonardesca, ma ispira una sincera e calma dolcezza. I gesti sono gentili, familiari, Maria è una madre paziente e felice, non una ieratica raffigurazione del pio dolore per la preannunciata morte del figlio.

I ritratti: la committenza privata e la visione di sé

Pur mantenendo i contatti con la terra d’origine, negli anni fiorentini Raffaello si dedica soprattutto ai temi religiosi ma si avvicina anche alla committenza privata. Tra il 1504 e il 1507, realizza due splendidi ritratti per i ricchi Agnolo Doni e Maddalena Strozzi, oggi esposti agli Uffizi. La coppia era appassionata d’arte e aveva ingaggiato anche altri grandissimi artisti, come ad esempio Michelangelo, autore del celebre Tondo Doni (1505-1506, Firenze, Uffizi). Il dittico di Raffaello conferma la conoscenza dei grandi maestri italiani e fiamminghi del Rinascimento, interpretati però in modo originale: la straordinaria armonia compositiva, la descrizione minuziosa dei particolari, le forme e i colori sono testimonianza di uno stile nuovo e personale.

Molti sono i ritratti completati in quel periodo e tra loro vi è anche, curiosamente, un Autoritratto. Raffaello si dipinge in vesti semplici, una casacca nera sopra una camicia bianca, la classica tenuta da lavoro del pittore. Con questa piccola opera non vuole solo dichiarare il proprio mestiere, lo vuole glorificare, elevare e rendere dunque degno di essere immortalato. Allo stesso tempo creatore e soggetto principale dell’opera, il pittore è per Raffaello una celebrità. Non a caso, nel 1508 parte per Roma, dove diverrà una vera e propria star.

La vita a Roma e la nascita di una fiorente bottega

Su richiesta di papa Giulio II, Raffaello giunge dunque nella Città Eterna per partecipare ai grandi progetti di rinnovamento urbano del pontefice. In pochi anni Roma si riempie di artisti come Michelangelo e il Bramante, con i quali Raffaello collaborerà – e si scontrerà – spesso. La prima grande opera che l’Urbinate compie a Roma sono gli affreschi per le celebri Stanze Vaticane, l’appartamento che Giulio II aveva scelto per sé, non sopportando l’idea di vivere in quello del predecessore Alessandro VI.
Inizialmente il pittore era stato incaricato di fare delle semplici prove nella volta della Stanza della Segnatura. Ma il papa, estasiato da quanto appena abbozzato da Raffaello, decide di affidargli l’incarico dell’intero complesso di stanze, distruggendo persino le parti già realizzate il secolo precedente da artisti come Piero della Francesca e Andrea del Castagno. Non solo, il restauro delle Stanze era già stato avviato da un gruppo di pittori di tutto rispetto, tra cui il Perugino, Lorenzo Lotto e Baldassarre Peruzzi, che vengono così liquidati in un attimo alla vista delle prove del Sanzio. Alla fine, Raffaello e i suoi aiutanti realizzano tre degli ambienti principali degli appartamenti del papa: la già citata Stanza della Segnatura, la Stanza dell’Incendio e quella di Eliodoro.

La fama di Raffaello cresce sempre di più e durante gli anni Dieci del Cinquecento accumula commissioni su commissioni da parte dei più ricchi esponenti del patriziato romano. Attorno a lui, sebbene ancora giovane, si viene a creare così una bottega di prim’ordine, messa su dal maestro per venire incontro alla crescente mole di lavoro. Raffaello è impegnato prevalentemente nella realizzazione dei disegni e dei cartoni preparatori mentre i suoi aiutanti, accuratamente formati per seguire lo stile del maestro, stendono il colore e si occupano delle rifiniture sotto la sua supervisione. Il suo lavoro e quello dei suoi assistenti si sovrappone così tanto che oggi è difficile dare un’attribuzione sicura a molte delle opere risalenti all’ultimo decennio della sua attività.

La Velata: un dipinto dalla paternità incerta

A lungo si è discusso sulla paternità di un dipinto in particolare: La Velata (1512-1515 ca.) esposta nella Galleria Palatina di Palazzo Pitti, a Firenze. Non sappiamo chi la commissionò, né la data precisa in cui fu realizzata, e per secoli gli esperti hanno dibattuto se l’opera fosse di Raffaello o solo nel suo stile. Il primo inventario del Palazzo che la comprende riporta la particolare dicitura “dicono di mano di Raffaello d’Urbino”. Ogni secolo sembra aver visto una nuova interpretazione della questione: nel 1700 venne attribuita a Justus Sustermans, nel 1800 alla bottega di Raffaello.

Oggi è universalmente riconosciuta come autografa. Uno degli indizi rivelatori è il volto della donna ritratta, molto simile a quello di altre opere dell’Urbinate, come la Fornarina (1520 ca., Roma, Gallerie Nazionali Barberini Corsini) e la Madonna Sistina (1513-1514 ca., Dresda, Gemäldegalerie). In tutti questi casi, e in molti altri, la modella potrebbe essere infatti Margherita Luti, prediletta dall’artista. La più amata, ma certamente non l’unica. Oltre alla pittura, pare che Raffaello amasse molto anche le donne, molto più di quanto fosse opportuno per un uomo per bene dell’epoca. Persino il Vasari parla di questa sua “passione” attribuendole la causa della morte prematura del pittore.

La tutela del patrimonio artistico

Nel 1514, Papa Leone X conferisce a Raffaello la carica di Praefectus Marmorum et Lapidum Omnium, ovvero prefetto di tutti i marmi e le pietre della città. Il suo compito è sovrintendere ai lavori di scavo e recupero di marmi e pietre dagli edifici antichi situati a Roma e destinati ad essere riutilizzati per la basilica di San Pietro. Dopotutto Raffaello già da tempo si vantava di essere uno dei massimi conoscitori dell’arte e dell’architettura antiche. Nello specifico, l’Urbinate deve decidere quali pezzi vadano salvati da questa spoliazione, valutandone il valore artistico e supportandone la catalogazione. Per la prima volta uno Stato europeo attesta il suo impegno per la tutela di quelli che oggi conosciamo come beni culturali. Non solo, nel 1519, in una lettera redatta da Baldassarre Castiglioni per conto dell’artista, Raffaello esorta il papa a porre più attenzione alla questione della conservazione. L’epistola attacca i nobili romani che hanno depredato per secoli le rovine e tappezzato i propri palazzi di frammenti della Roma antica, ricordando l’importanza di una mappatura completa della città e delle sue rovine, per evitare ulteriori razzie.

Lo stile e l’eredità

Oggi Raffaello è conosciuto come l’artista della grazia. In ogni sua opera riesce a rielaborare le innovazioni dei maestri precedenti interpretandole attraverso il suo linguaggio armonioso e rasserenante. Di Leonardo si riconosce la grande connotazione psicologica e la morbidezza dei contorni dei soggetti, specialmente in ritrattistica. Di Michelangelo, la plasticità scultorea dei personaggi e l’uso dello spazio.
Suoi tratti distintivi sono invece la raffinatezza e la resa reale della natura, con chiari influssi dall’arte fiamminga nella cura dei dettagli. Il suo stile, quasi divino per i contemporanei, getta le basi per l’arte manierista prima e per quella barocca dopo, e la sua influenza arriva ininterrotta fino al 1900.

Il 6 aprile 1520, a soli trentasette anni, Raffaello muore dopo oltre due settimane di febbre. Nelle Vite del Vasari troviamo scritto: “E così continuando fuor di modo i piaceri amorosi, avvenne ch’una volta fra l’altre disordinò più del solito, perché a casa se ne tornò con una grandissima febbre […]. Poi confesso e contrito finì il corso della sua vita il giorno medesimo ch’e’ nacque”. La malattia, suggerisce il pettegolo biografo, era stata causata dagli eccessi amorosi. Oggi, se ci affidiamo a questa versione, l’unica spiegazione che possiamo darci è che Raffaello avesse contratto una qualche malattia venerea.

Quale che sia la ragione della sua morte, ciò che conta è quello che Raffaello ha lasciato al mondo: un’eredità artistica indelebile, meravigliosa, quasi celestiale.

Foto di copertina: Autoritratto, 1504-1506 circa, Raffaello Sanzio, Palazzo Pitti, Firenze

Dove e quando

Urbino, 1483 – Roma, 1520

Arte

Pittura, architettura

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