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Beato Angelico

Beato Angelico - main image

Da pittore laico a pittore religioso

Nasce nel Mugello, vicino a Vicchio, intorno al 1395. Il suo vero nome è Guido di Pietro, nonostante sia stato conosciuto anche tra i suoi contemporanei come Giovanni da Fiesole, nome che assume una volta vestiti gli abiti domenicani.

Sappiamo – grazie a dei documenti d’archivio che attestano i pagamenti ricevuti – che lavora a Firenze come miniatore e pittore fin dagli anni 1417-1418, prima ancora di diventare frate. Queste opere potrebbero attestare che l’Angelico si sia formato presso la bottega di Ambrogio di Baldese, pittore fiorentino della tarda età gotica che teneva alcuni cantieri aperti in città. Gli storici ritengono che durante il primo anno di noviziato non fosse consentito dipingere e considerando che la sua prima opera firmata come “frate Giovanni de’ frati di San Domenico di Fiesole” è databile al 1423, è plausibile che abbia vestito gli abiti domenicani tra il 1418 e il 1421.

Alla sua prima attività artistica è attribuita la Tebaide (1418-1420 ca.), conservata oggi alla Galleria degli Uffizi. Dopo una iniziale attribuzione a Gherardo Starnina, per via dei caratteri tardogotici dell’opera, lo storico Roberto Longhi è il primo a ricondurla a Beato Angelico, identificando il corretto uso della prospettiva degli edifici come autografo della mano dell’Angelico, che già applicava, nelle sue opere, elementi quattrocenteschi. Il dipinto rappresenta la vita di ascetismo e preghiera dei monaci, isolati in un paesaggio roccioso che sta a rappresentare l’esempio di vita dei Santi Padri nel deserto di Tebe.

Tebaide, 1420 c., Beato Angelico, Galleria degli Uffizi, Firenze
Tebaide, 1420 c., Beato Angelico, Galleria degli Uffizi, Firenze

Particolarissima, la tavola suscita la curiosità dei suoi osservatori che, grazie all’assenza di un preciso punto focale, possono osservare il vivo microcosmo delle attività monastiche nei minimi dettagli; l’ambientazione semplice e realistica sembra comunque avvolta da un’atmosfera fiabesca.
Nel 2019, la Galleria degli Uffizi ha collocato l’opera ad un’altezza di 65 centimetri, una scelta che permette ai bambini di ‘leggere’ e apprezzare l’opera e incuriosirsi dei suoi numerosi personaggi e delle loro azioni.

L’attività nel convento di San Domenico a Fiesole

Durante gli anni centrali della sua attività, Beato Angelico si dedica principalmente alla produzione di opere per il convento di San Domenico a Fiesole, dove tra l’altro dimora.Tra queste opere vi è la cosiddetta Pala di Fiesole (1424-1425), poi rimaneggiata da Lorenzo di Credi (1459-1537) nel 1501. L’opera ha una composizione assai originale: è la prima volta che le figure sono raffigurate sullo stesso piano senza bisogno di venir separate da paraventi o altri espedienti, ma solo attraverso la creazione di uno spazio concreto e reale.

Pur ricoprendo ruoli di grande rilievo nella comunità domenicana, Beato Angelico non abbandonerà l’attività di pittore e miniatore per tutta la vita, dimostrandosi anche molto attento alla produzione artistica contemporanea della città. Nel Trittico di san Pietro martire, infatti, dipinto per il monastero delle monache domenicane osservanti di San Pietro Martire a Firenze (1428-1429) l’artista svela di essere al corrente delle novità artistiche di Gentile da Fabriano (1370-1427) e di Masaccio (1401-1428): del primo abbraccia il fascino per l’ornato e i dettagli preziosi (caratteristiche tipiche dell’arte Tardogotica), dal secondo l’interesse per una nuova concezione dello spazio: realistico e prospettico.

La notorietà acquisita con queste opere, porta presto altri istituti religiosi a commissionargli repliche e varianti. Questo è il caso della serie delle tavole dedicate all’’Annunciazione: tra le varie dipinte, oggi le più apprezzate sono quelle – originariamente destinate a San Domenico di Fiesole (1435) – ma oggi conservate al Museo del Prado di Madrid; quella del Museo Diocesano di Cortona (1430) e quella di San Giovanni Valdarno (al Museo della Basilica di Santa Maria delle Grazie, 1432). L’opera del Prado rivela sia il persistere dell’influenza dello stile tardogotico – nella ricca descrizione degli elementi vegetali del giardino dell’Eden – ma anche l’avvicinamento alle novità rinascimentali, nella costruzione spaziale del loggiato che accoglie la Vergine e l’arcangelo Gabriele.

All’inizio degli anni Trenta del Quattrocento esegue il maestoso Giudizio universale (1431-1433), oggi al Museo nazionale di San Marco. Il pannello è largo più di due metri e alto più di uno, ed è destinato a decorare la cimasa di un seggio nel coro. L’opera proviene dall’oggi soppresso convento di Santa Maria degli Angeli, gli storici hanno identificato mani di autori meno raffinati del maestro, facendo supporre che Beato Angelico fosse impegnato simultaneamente in altre commissioni, come forse l’Annunciazione di Cortona.

Agli stessi anni risale la Deposizione (1434), dipinta per il banchiere fiorentino Palla Strozzi, e destinata alla sagrestia della chiesa di Santa Trinita, sempre a Firenze. Oggi conservata al Museo nazionale di San Marco, questa bellissima tavola ricostruisce con emozionante raffinatezza la dolorosa scena della deposizione del corpo di Cristo, articolata in una struttura complessa e dai colori vividi.

Tra i suoi capolavori l’Incoronazione della Vergine del 1432, oggi esposta agli Uffizi e che purtroppo è stata smembrata (le predelle della tavola raffiguranti lo Sposalizio e le Esequie della Vergine sono oggi conservate al Museo di San Marco).
Qui Beato Angelico attinge pienamente alla preziosità del Tardogotico, collocando l’intera scena in un sublime fondo oro. Le figure fluttuano armonicamente sopra le nuvole formando un cerchio attorno al Cristo rappresentato nell’atto di incoronare la Vergine Maria.

L’attività a San Marco

Nel 1438, la comunità domenicana si trasferisce da San Domenico di Fiesole a Firenze, nel convento di San Marco che, su incarico di Cosimo il Vecchio, è stato appena rinnovato da Michelozzo.
L’Angelico viene incaricato della decorazione parietale. Un intervento che si estende a tutti gli ambienti pubblici e privati del monastero: dalla chiesa al chiostro, dal refettorio alla sala capitolare, dai corridoi alle singole celle.
Celeberrima è l’Annunciazione che si trova nel corridoio nord del convento: larga più di tre metri e alta più di due. Di impostazione simile alle altre Annunciazioni già realizzate, anche questa scena è collocata in un cortile, sotto un porticato che si affaccia sul giardino – allusione alla verginità di Maria – in un ambiente semplice ed essenziale, senza decorazioni superflue, per far si che l’attenzione sia concentrata tutta sull’avvenimento.
Innovativa, invece, è la posizione dei personaggi: non più al centro bensì posti leggermente a sinistra, così da dare spazio al movimento dell’arcangelo Gabriele e alle divine parole comunicate alla Vergine.

La vastità degli ambienti decorati con affreschi e tavole, fanno del convento di San Marco un unicum per estensione decorativa e pittorica; mai fino ad allora tale magnificenza era stata prevista per un edificio conventuale.
Tutte le decorazioni delle celle raffigurano episodi del Nuovo Testamento o Crocefissioni, oltre alla figura di san Domenico che indica all’osservatore – in questo caso ai frati domenicani – l’esempio da seguire: meditare sui principi e valori religiosi oltre che ai comportamenti virtuosi da intraprendere .
Questo vasto intervento dimostra la grande abilità dell’Angelico quale narratore ma anche maestro morale. Le sue figure sono ben definite, riconoscibili, le scene raffigurate rigorose e facilmente interpretabili; eliminando ogni distrazione decorativa il suo messaggio arriva efficace e diretto.

I soggiorni a Roma, ad Orvieto e nel resto della Toscana

Gli storici ritengono che papa Eugenio IV – dopo aver soggiornato a Firenze per quasi dieci anni e probabilmente apprezzato l’opera dell’artista – nel 1445 lo abbia convocato a Roma. Pare che, tra le proposte del papa, ci fosse anche l’offerta di diventare arcivescovo di Firenze, a conferma della stima di cui il Beato godeva, ruolo che l’artista avrebbe umilmente declinato.
A Roma il Beato rimane fino al 1449 e soggiorna nel convento di Santa Maria sopra Minerva, dove affresca, l’ahimè oggi distrutta, Cappella del Sacramento.
Per papa Niccolò V affresca, assieme ai suoi aiutanti tra i quali Benozzo Gozzoli (1420-1497), la Cappella Niccolina del Palazzo Apostolico in Vaticano (1447-1448). Gli affreschi illustrano Storie di santo Stefano, di san Lorenzo e, nelle volte, gli otto Padri della Chiesa occupando tre intere pareti della cappella. Qui il Beato Angelico con grande abilità, utilizza elementi architettonici per ambientare le scene, inserendo in ogni singola lunetta due storie diverse ma anche introducendo una decorazione di finta tappezzeria che si abbina in modo più naturale ai veri elementi architettonici della cappella. Dal racconto di Giorgio Vasari sappiamo che nell’altare era presente una pala raffigurante la Deposizione, della quale purtroppo non ci sono rimaste tracce.

Negli stessi anni romani Beato Angelico viene chiamato ad Orvieto per lavorare alla cappella di San Brizio, in Duomo; avvia il ciclo di affreschi con Storie degli ultimi giorni, che sarà poi completato nel 1499-1502 da Luca Signorelli (1441-1523).

Sappiamo da documentazioni archivistiche che, prima del 10 Giugno 1450, l’artista rientra in Toscana dove, in quella data, viene nominato priore di San Domenico di Fiesole.
È negli anni seguenti che Beato riceve l’incarico di decorare la cappella maggiore del Duomo di Prato ma, probabilmente a causa dell’eccessiva mole di incarichi è costretto a rinunciare. Delle sue attività successive ci sono arrivate pochissime documentazioni che rendono difficoltosa la datazione di molte opere.

Sappiamo che tra il 1452 e il 1453 è nuovamente a Roma, per lavorare alla chiesa di Santa Maria sopra Minerva, alla quale è molto legato poiché prima casa dell’ordine domenicano.
Sarà infatti proprio in questo edificio che verrà sepolto, qualche anno più tardi, nel 1455, alla sua morte. In suo onore Isaia da Pisa è incaricato di realizzare la lastra marmorea della sua tomba. Un riconoscimento significativo della stima, della fama e del grande consenso riscosso tra i contemporanei per la sua attività di religioso e di artista. Consenso che ancora oggi non teme smentita.

Foto di copertina: Ritratto postumo del Beato Angelico di Luca Signorelli, particolare dell’affresco Gesta dell’Anticristo (1501 circa) nel Duomo di Orvieto.

Dove e quando

Rupecanina, 1395 – Roma, 1455

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