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Palazzo Madama
La storia
Palazzo Madama è un’architettura straordinaria, che ancora oggi possiamo leggere osservando i diversi elementi costruttivi e decorativi dell’edificio, per proseguire attraverso una passeggiata nel Giardino Botanico Mediavale ai piedi della torre.
Un vero e proprio angolo verde in epoca medievale le cui prime testimonianze risalgono al 1402, periodo in cui furono avviati i lavori di ingrandimento dell’edificio per volere di Ludovico principe d’Acaia. Grazie ai documenti conservati all’Archivio di Stato si è potuto ricostruire il giardino nella forma e nell’inserimento di piante e erbe, presenti nei diversi trattati dell’epoca.
Il palazzo riassume in sé tutta la storia della città: da porta romana si trasforma nel medioevo in fortezza e poi in castello dei principi d’Acaja. Tra Sei e Settecento le Madame Reali di Savoia lo scelgono come propria residenza e nell’Ottocento Carlo Alberto vi colloca il primo Senato del Regno d’Italia. Dal 1934 il palazzo ospita le collezioni di arte antica del Museo Civico.
Le collezioni
Il Museo Civico di Torino apre al pubblico il 4 giugno 1863, nella sede di via Gaudenzio Ferrari (si trasferirà a Palazzo Madama solo nel 1933). Nei primi anni le collezioni sono molto eterogenee, anche se tutte centrate sulla storia di Torino: reperti archeologici rinvenuti in città durante i lavori di sterro per la costruzione di nuove strade, dipinti piemontesi dell’Ottocento, memorie del Risorgimento, raccolte di monete sabaude; ma anche tante testimonianze della “storia del lavoro dal periodo bizantino al XVIII secolo”: vetri, ceramiche, tessuti, ricami, smalti, avori, oreficerie, bronzetti, argenti, oreficerie, oggetti in ferro e in cuoio, mobili, codici miniati, gemme e cammei. L’interesse per le arti applicate dal Medioevo al Settecento costituirà poi uno dei due assi portanti delle successive acquisizioni, mentre a poco a poco verranno cedute ad altri musei cittadini l’archeologia, i cimeli del Risorgimento e la pittura dell’Ottocento. In chiusura del secolo, prendendo a esempio il South Kensington Museum di Londra – aperto nel 1851 – il Museo Civico si configura quindi come museo d’arte e industria. Un Kunstgewerbemuseum italiano, che condivideva con le istituzioni d’Oltralpe l’utopia di influire sui caratteri qualitativi del coevo artigianato artistico e della nascente produzione industriale, fornendo agli artigiani e designers un gran numero di modelli di tutte le tipologie e tecniche e di grande qualità formale. In parallelo, prima che il nuovo stato unitario si dotasse di Uffici per la Conservazione dei Monumenti (le odierne Soprintendenze), il Museo è attento a salvare dal commercio antiquario e dall’esportazione le sculture antiche delle chiese e castelli di Piemonte, Valle d’Aosta e Savoia. A questi due “filoni”, si aggiungerà, dal 1910 circa, anche la pittura, ma solo quella “regionale”: i primitivi piemontesi del XV e XVI secolo e i pittori legati alla corte sabauda tra Sei e Settecento.
Palazzo Madama, chiuso per restauro a partire dal 1987 per quasi venti anni, ha riaperto a dicembre 2006 con una museografia completamente rinnovata e mantiene oggi inalterata la sua doppia vocazione definita a fine Ottocento: museo della città e del territorio piemontese e museo di arti decorative di ogni epoca e ogni luogo.
Il giardino botanico medievale
Le prime notizie sul giardino del castello di Torino risalgono al 1402 con i documenti che registrano le spese per l’ingrandimento dell’edificio durante il governo di Ludovico principe d’Acaia (1402-1418): le fonti che citano il giardino sono i Conti della Vicaria e Clavaria di Torino, i registri in cui il clavario della città – che nel Medioevo amministrava la città per conto dei principi d’Acaia e poi dei duchi di Savoia – annotava le spese sostenute via via per la manutenzione del castello e delle fortificazioni cittadine.
I Conti esaminati, oggi conservati presso l’Archivio di Stato di Torino (Sezioni Riunite), abbracciano un arco cronologico dal 1402 al 1516. Per ricreare il giardino sono state quindi seguite le indicazioni contenute in questi documenti medievali, rispettando la tradizionale suddivisione dello spazio in hortus (orto), viridarium (bosco e frutteto) e iardinum domini (giardino del principe) come anche la presenza degli arredi tradizionali (falconara, porcilaia, recinto delle galline).
In questo spazio, oltre alle piante e alle specie vegetali citate nelle carte antiche, sono state inserite anche piante e erbe non specificatamente descritte nelle fonti, ma certamente presenti nei giardini medievali tra Italia e Francia, in base alle indicazioni fornite dai trattati di agricoltura e piante medicinali del XIV e XV secolo.
L’Orto (hortus) Organizzato secondo uno schema a scacchiera formato da aiuole rettangolari, l’orto è uno spazio particolare, frequentato dal principe durante le sue passeggiate all’ombra dei peri e dei meli, e dai giardinieri del castello, che curavano le piante necessarie a rifornire regolarmente le cucine di legumi, ortaggi, aromi e erbe medicinali. La recinzione serviva per impedire l’ingresso degli animali. Il Bosco e Frutteto (viridarium) Dal latino “viridis” (verdeggiante), è un boschetto con piante ad alto fusto, spesso posto fuori dalle mura del castello, in un’area in cui trovano posto la porcilaia, la falconara, la colombaia e i mulini.
A Torino era molto la zona del bosco e del frutteto era molto vasto e arrivava a impegnare contemporaneamente anche cinquanta giardinieri. Oltre a castagni, noci, salici, pruni, sorbi, ciliegi, ulivi e palme – tutti citati nei documenti antichi – una parte di questo spazio era occupata dalla vigna del principe, che produceva il vino per la mensa del castello. Il Giardino del principe (iardinum domini) Spazio privato dei principi, per la lettura, la conversazione, il riposo e il gioco.
Nel medioevo si trovava sul limite meridionale della città, vicino alla cinta muraria e alla Porta Fibellona; era chiuso da mura costeggiate da cespugli di more, lastricato in pietra e presentava un pergolato di vite. Il suo aspetto doveva essere molto simile a quello tramandatoci da tappezzerie e miniature del Quattrocento: circondato da un fitto prato “millefleurs”, presentava come arredi fissi la fontana, ricca di rimandi alla letteratura cortese dell’epoca, sedili in laterizio rivestiti d’erba e una serie di vasi in maiolica decorata con piante profumate come lavanda, salvia, maggiorana.
La principessa d’Acaia Bona di Savoia teneva in questa parte del giardino una gabbia di pappagalli. Il Giardino si presta a molteplici usi socio-didattici. Esso rappresenta per Palazzo Madama una grande opportunità di sviluppo e di ampliamento dell’offerta-museo, sia per i percorsi, sia per la possibilità di indirizzare le politiche educative verso nuovi temi legati all’ecologia della città, all’importanza delle aree verdi nella vita delle comunità, alla loro storia e ai problemi della loro tutela di oggi.
La ricostruzione del giardino medievale consente l’approccio a specie vegetali ormai marginali, recuperando il senso e il valore della bio-diversità, favorendo e promuovendo progetti in collaborazione con altre istituzioni cittadine. Il progetto è stato realizzato nel 2011 grazie al significativo contributo di 1 milione e 100 mila euro della Fondazione CRT nell’ ambito del più ampio progetto “Giardini e Parchi Storici”.
Mostre temporanee
Vedova Tintoretto. Conferenze di approfondimento
Vedova Tintoretto. In dialogo. Ciclo di conferenze a ingresso libero
Da ottobre a dicembre 2025, tre conferenze a ingresso gratuito approfondiscono alcuni dei temi presentati nella mostra che indaga il rapporto tra Vedova e Tintoretto e in generale la relazione maestro-allievo. A raccontare Tintoretto ed Emilio Vedova i due curatori della mostra – Gabriella Belli e Giovanni C. F. Villa -, e lo storico dell’arte Stefano Cecchetto, che curò la mostra del 2013 realizzata alla Scuola Grande di San Rocco.
Conferenze a ingresso libero fino a esaurimento posti. Non è richiesta prenotazione.
Lunedì 27 ottobre 2025, ore 17.00
Vedova e Tintoretto. Compagni di strada
Con Giovanni Carlo Federico Villa, Direttore di Palazzo Madama e curatore della mostra
Nella seconda metà del Cinquecento la città di Venezia è segnata dal vortice produttivo di Tintoretto, artista caratterizzato da una capacità di lavoro senza eguali che unisce al saper cogliere appieno lo spirito di tutti i suoi concittadini. Tintoretto non è solo il pittore del “furor” veneziano, ma l’artista che ha trasformato la pittura in teatro e visione. Le sue tele non si contemplano, si attraversano: lampi di luce fendono l’ombra, i corpi si torcono in una tensione che coinvolge lo spettatore. È un narratore che anticipa il cinema, un regista della scena sacra e profana, capace di dare voce all’inquietudine del suo tempo. Guardare Tintoretto significa essere trascinati dentro l’opera, partecipare al dramma, sentire la vertigine di un’arte che ancora oggi interroga e sconvolge.
Giovanni Carlo Federico Villa
Direttore di Palazzo Madama e Presidente dell’Ateneo di Scienze Lettere ed Arti di Bergamo, è docente di Storia dell’Arte Moderna e di Museologia e Museografia all’Università degli Studi di Bergamo. Già componente del Consiglio Superiore per i Beni culturali e Paesaggistici del Ministero della Cultura (2019-2022), è stato direttore onorario dei Musei Civici di Vicenza e Conservatoria Pubblici Monumenti (2015-2018). Ha curato numerosi progetti espositivi all’estero e in Italia, tra cui quelli per le Scuderie del Quirinale di Roma (2006-2013). Autore di oltre trecento pubblicazioni scientifiche e monografie, numerose sono le sue presenze divulgative relative al patrimonio artistico nazionale sui principali canali radiotelevisivi italiani e stranieri.
Lunedì 17 novembre 2025, ore 17.00
Così lontani, così vicini…
Con Gabriella Belli, storica dell’arte e curatrice della mostra
Un confronto a distanza di quattrocento anni tra due giganti dell’arte antica e contemporanea, Tintoretto e Vedova, complice la città di Venezia. L’incontro verterà in particolare sulle ragioni che spingono molti artisti contemporanei a confrontarsi con i grandi Maestri del passato, e su come i contemporanei scelgano i propri padri. Un tema cruciale che ha caratterizzato sempre il passaggio di testimone tra le generazioni, ma che nell’arte del Novecento ha avuto sviluppi singolari dato che il passaggio tra l’allievo e il Maestro non si basa più sullo stile, ma su ben più misteriose affinità elettive.
Nata a Trento, Gabriella Belli si è laureata in Storia dell’arte a Bologna e specializzata in Critica d’arte a Parma. È stata responsabile dal 1981 al 1987 della sezione d’arte contemporanea del Castello del Buonconsiglio a Palazzo delle Albere a Trento, poi Direttore dal 1987 al 2011 del MART – Museo di Arte Moderna e Contemporanea di Trento e Rovereto e dal dicembre 2011 all’agosto 2022 è stata Direttore della Fondazione Musei Civici di Venezia.
Ha svolto la sua attività scientifica nel campo dell’arte del XIX e XX Secolo, con particolare attenzione all’Italia del ‘900, divisionismo, futurismo, realismo magico, e non poche incursioni nell’arte contemporanea internazionale. Ha pubblicato numerosi saggi e diretto e curato più di 300 esposizioni, presentate nelle sedi da lei dirette ma anche in altre istituzioni museali in Italia e all’estero, Milano, Roma, Piacenza, Parigi, Sao Paulo, San Pietroburgo, Mosca, Berlino, Pechino, Toronto, Washington, Lugano.
Ha tenuto il corso di storia dell’arte contemporanea all’Università di Lettere e Filosofia di Trento e quello di storia dell’arte del XX Secolo all’Accademia di Architettura di Mendrisio. Dal 2002 al 2011 è stata Presidente dell’Associazione Nazionale dei Musei d’Arte Contemporanea Italiani (AMACI). Nel 2011 ha ricevuto dal Ministro della Cultura francese l’onorificenza di Cavaliere delle Arti e delle Lettere. Sempre nel 2011 le viene assegnato il premio di miglior museografo dell’anno da ICOM-Italia. Attualmente è consulente per l’attività scientifica e il programma pluriennale di Villa Panza FAI-Varese, membro dell’Accademia Nazionale di San Luca e del Comitato tecnico-scientifico per i musei e l’economia della cultura del Ministero per i Beni e le Attività culturali.
Lunedì 1 dicembre 2025, ore 17.00
Dentro a San Rocco. Dal nero/In precipito
Con Stefano Cecchetto, storico dell’arte e curatore
“Tintoretto è stato una mia identificazione. Quello spazio, appunto, una serie di accadimenti… Di caverne d’ombra da un balenio di luce, di pozzi di luce e di ombra, le ombre dello sprofondamento, in luoghi precipiziali”. Nel 2013 i teleri di Emilio Vedova entrano in dialogo con il ciclo di Tintoretto alla Scuola Grande di San Rocco, un ‘corpo a corpo’ risolto nell’esternazione del segno pittorico, uno stato d’animo condiviso che si ravvisa nell’espressionismo del gesto e nell’istinto “imperfetto” di quell’impeto. Una Conversazione/Lacerazione narrata da uno dei protagonisti di quell’evento.
Storico dell’arte e curatore, Stefano Cecchetto (Venezia, 1954) collabora con importanti musei e istituzioni culturali in Italia e all’estero. Dal 1984 al 1997 ha lavorato per La Biennale di Venezia per il coordinamento editoriale dei cataloghi. Dal 1998 al 2003 è stato consulente artistico alla Fondazione Bevilacqua La Masa di Venezia. Dal 2008 è direttore artistico del Museo del Paesaggio. Dal 2025 è Presidente dell’Archivio Artisti Veneti. I suoi saggi sono pubblicati in numerosi cataloghi d’arte. Nel 2008 ha pubblicato per le edizioni Cicero il volume: La Città, breve storia di una rivista di lettere ed arti a Venezia, 1964-1967; nel 2011 ha pubblicato per Skira: Ezio Gribaudo e Lucio Fontana, Cronaca di un viaggio americano. Nel 2014 ha pubblicato per Skira il volume Giorgio de Chirico, Memorie ritrovate, nel 2020 ha pubblicato per le edizioni Monkey Tintoretto e Vedova, Conversazione/Lacerazione.
Conferenze a ingresso libero fino a esaurimento posti. Non è richiesta prenotazione.
Vedova Tintoretto. In dialogo
Dal 19 settembre 2025 al 12 gennaio 2026 Palazzo Madama – Museo Civico d’Arte Antica di Torino e la Fondazione Emilio e Annabianca Vedova di Venezia presentano la mostra “Vedova Tintoretto. In dialogo”. Un eccezionale percorso espositivo concepito per accostare l’arte di due grandi pittori veneziani, ciascuno tra i massimi interpreti della propria epoca – Jacomo Robusti detto il Tintoretto (Venezia, 1518-1594) ed Emilio Vedova (Venezia, 1919-2006) – letti in parallelo, così da affrontare lo sviluppo dell’opera di Vedova nel suo confronto con quello che è stato il maestro d’elezione, indagando similitudini e temi consonanti (o dissonanti) alla base delle singole scelte espressive.
Informazioni per la visita
- 19 Settembre 2025 – 12 Gennaio 2026
- Ingresso compreso nel biglietto del museo
Bianco al femminile
In occasione del riallestimento della Sala Tessuti, mercoledì 26 febbraio 2025 Palazzo Madama presenta un’esposizione che racconta la stretta connessione, materiale e simbolica, che lega il bianco, il colore naturale della seta e del lino, alla donna.
Attraverso una selezione di cinquanta manufatti tessili custoditi nelle collezioni di Palazzo Madama, di cui sei restaurati per l’occasione e quattordici esposti per la prima volta, la curatrice Paola Ruffino accompagna lungo una storia secolare che passa per ricami minuti, intricati merletti e arriva al più iconico degli indumenti femminili di colore bianco: l’abito da sposa.
Il ricamo in lino medievale, la lavorazione dei merletti ad ago o a fuselli, il ricamo in bianco su bianco sono arti con cui le mani femminili hanno creato capolavori. Questo legame sottile e indissolubile attraversa i secoli e vede le donne nel ruolo di autrici, creatrici e custodi della tradizione, raffinate fruitrici e committenti di tessuti e accessori di moda.
Momento clou della moda del bianco è, in Francia e in Europa, il finire del XVIII secolo. Il fascino esercitato dalla statuaria greca e romana ispira un abbigliamento che guarda all’antico. Le giovani adottano semplici abiti en-chemise, trattenuti in vita da una fusciacca; il modello del cingulum delle donne romane sposate, portato alto sotto al seno, dà avvio ad una moda che durerà per trent’anni. I tessuti preferiti sono mussole di cotone, garze di seta, rasi leggeri, bianchi o a disegni minuti, come le porcellane dei servizi da tè.
Intorno a questo fulcro, illustrato da abiti, miniature, ventagli e accessori femminili, l’esposizione esplora il passato e il futuro. Al XIV e XV secolo riconducono i ricami dei monasteri femminili, in particolare di area tedesca e della regione del lago di Costanza, lavorati in lino su tela di lino naturale, dove il disegno, fatto di punti semplici ma ampiamente variati, è delineato soltanto da un contorno in seta colorata. Un tipo di lavoro che, per la povertà dei materiali e per la facilità di esecuzione, si diffuse poi in ambito domestico laico, per la decorazione di tovaglie e cuscini.
In Italia, sui teli domestici perdurarono a lungo motivi decorativi di origine medievale tipicamente mediterranei, quali uccelli, castelli, alberi della vita, delineati in bianco sui manufatti in tela ‘rensa’, una tela rada e sottile, di cui due rari esemplari sono in esposizione, forse siciliani o sardi.
Tra XVI e XVII secolo nacque in Europa la lavorazione del merletto, che vide protagonisti i lini bianchissimi e la straordinaria abilità delle merlettaie veneziane e fiamminghe. Una scelta di bordi e accessori in pizzo italiani e belgi illustra gli eccezionali risultati decorativi di quest’arte esclusivamente femminile, che nel Settecento superò gli stretti confini della casa o del convento e si organizzò in manifatture.
Nel XIX secolo, l’inizio della produzione meccanizzata causò la perdita di virtuosismo nell’arte manuale del merletto, virtuosismo che riemerse invece nel ricamo in filo bianco sulle sottili tele batista e sulle mussole dei fazzoletti femminili. Quattro splendidi esemplari illustrano l’alta raffinatezza raggiunta da questi accessori, decorati con un lavoro a ricamo che, a differenza di quello in sete policrome e oro dei grandi parati da arredo e liturgici e dell’abbigliamento, fin dal medioevo praticato anche dagli uomini, restò sempre un’attività soltanto al femminile, anche quando esercitata a livello professionale.
L’esposizione si conclude nel XX secolo con uno dei temi che più vedono uniti la donna e il colore bianco nella nostra tradizione, l’abito da sposa, con un abito del 1970, corto, accompagnato da un particolarissimo velo, una scelta non scontata che ribadisce la forza e la persistenza del rapporto tra l’immagine della donna e il candore del bianco.
La selezione di tessuti è accostata nell’allestimento a diverse opere di arte applicata, fra cui miniature, incisioni, porcellane, legature provenienti dalle collezioni del museo.
In occasione del nuovo allestimento delle collezioni tessili, Palazzo Madama propone un laboratorio di cucitura in forma meditativa a cura di Rita Hokai Piana nelle giornate di sabato 15 e 22 marzo e 5 e 12 aprile 2025, dalle ore 10 alle ore 13. Tutte le info sul sito e sul comunicato in allegato.
Informazioni per la visita
- Ingresso compreso nel biglietto del museo
- 27 Febbraio 2025 – 2 Febbraio 2026
Lunedì – Domenica: dalle 10:00 alle 18:00.
Martedì
1-2 ore
Mostre temporanee incluse nel prezzo del biglietto
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